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I tre volti di iWork

Gli
utenti Apple più affezionati sanno bene che ci sono
momenti in cui a Cupertino si decide che per fare bene una cosa bisogna rompere
con il passato, fare quasi tabula rasa e ripartire da pochi elementi, i più
importanti e i più adatti agli sviluppi futuri. È
stato così per i primi iMac, per il MacBook Air e per diversi software
tra cui il caso più emblematico è
probabilmente Final Cut Pro X. Bene, questo destino adesso è
toccato a Pages, Keynote e Numbers, ossia le applicazioni della suite iWork.
Sin dal primo lancio appaiono palesemente figlie delle versioni ’09,
ma come tutti i figli sono anche molto diverse dai genitori e le loro
potenzialità sono ancora per buona parte inespresse. Così
chi si è abituato a usare Pages, Keynote e Numbers siglati ’09
si trova spiazzato di fronte alle nuove versioni – a
proposito, niente più anni ma solo numeri per Pages 5, Keynote
6 e Numbers 3 – e all’inizio non ne vede che le carenze
rispetto ai software precedenti mentre i vantaggi, che pure ci sono, si
scoprono solo lavorandoci e con un po’ di pazienza. Non è un caso
d’altronde che i tre aggiornamenti siano in effetti installazioni
separate che lasciano sul Mac anche le vecchie versioni.

Perché
Apple ha deciso di correre ancora una volta il rischio, quasi la certezza, di
scontentare una fetta di utenti? Per far sì che le tre versioni (OS X, iOS, ora
anche web con iWork for iCloud) di ogni applicazione siano uniformi tra loro e
che sia davvero possibile passare file dall’una all’altra senza problemi: all’atto
pratico il centro di tutto diventa il documento, lo strumento software o
hardware (Mac, iPad, iPhone, iPod touch, anche PC) per modificarlo passa (il più
possibile) in secondo piano. In ogni transizione del genere Cupertino deve fare
i conti con dei “danni collaterali” e anche in questo caso gli utenti
che disapprovano le nuove evoluzioni non sono mancati. Vediamo perché,
e quali sono le ragioni sia loro sia di Apple.

Il nuovo Pages

Già
dall’icona dell’applicazione – addio al
calamaio con la stilografica, ora ci sono più sensatamente un foglio e una penna
normale – si capisce che per Pages siamo in un nuovo corso “alla
Ive” e l’impressione si conferma all’apertura
di un documento: tutto è più essenziale e lineare, più
semplice o più semplicistico a seconda dei gusti. La
barra strumenti superiore è più stilizzata e per questo sembra
addirittura comprendere meno opzioni della versione precedente, quando invece
ce n’è una in più – ma va detto che due riguardano la
condivisione e la presentazioni di suggerimenti sull’uso dell’interfaccia,
quindi c’entrano poco con le opzioni vere e proprie –
e se proprio vogliamo affollarla abbiamo sempre la possibilità
di personalizzarla con un comando ad hoc nel menu Vista. In questo senso però
è chiaro che a Cupertino preferiscono la semplificazione,
lasciando molte opzioni che prima erano potenzialmente in primo piano, come ad
esempio tutta la barra Formato che si posizionava sotto la toolbar principale,
alla nuova barra laterale destra Impostazioni, suddivisa nelle due parti
Formattazione e, per alcune opzioni che riguardano tutto un documento,
Configurazione. Questa grossa barra laterale prende il posto della palette
flottante Impostazioni ed è molto più lineare: non comprende dieci tab ma solo
due, che cambiano automaticamente contenuto e opzioni a seconda di cosa stiamo
selezionando in quel momento. Traspare subito l’idea di voler dare una libertà
di manovra paragonabile a quella di Pages ’09, ma con meno complessità.

L’operazione
secondo i critici non è riuscita, perché in nome
della semplicità e della trasversalità molte funzioni sono state eliminate o indebolite.
Se si esplora l’applicazione partendo proprio dalla
sezione Impostazioni e poi navigando per i menu e transitando dalle Preferenze,
ormai ridotte all’osso, diventa impossibile pensare che
queste critiche siano del tutto infondate. Considerando Pages 5 in quanto
programma “a tutto tondo”, come è ancora Pages ’09, si
conclude che alcune funzioni importanti sono del tutto scomparse, come ad esempio
la stampa unione e le caselle di testo collegate per far scorrere fra loro i
contenuti. Addio anche ad altri elementi meno critici ma ugualmente utili, come
il righello verticale, la selezione di spezzoni di testo non adiacenti o la
ricerca avanzata sui caratteri nascosti. Altre funzioni sono state indebolite
(dal supporto per AppleScript e Automator sino al conteggio parole) e altre ci
sono ancora ma sono stranamente più complesse da usare, come ad esempio il
riordinamento delle pagine con il drag-and-drop delle miniature e la
duplicazione di una pagina sempre dalle miniature.

Dalle
funzioni citate si comincia a cogliere il nocciolo dell’evoluzione
di Pages 5: da programma sempre in mezzo al guado tra essere un word processor
e un impaginatore, ora vira verso la direzione word processor. Ecco quindi
scomparire molte funzioni legate all’impaginazione e al layout delle pagine,
mentre per quelle più generiche che al momento non ci sono più
possiamo solo fidarci di ciò che ha affermato Apple in un suo documento:
alcune saranno ripristinate, in Pages come nelle altre applicazioni iWork, nel
corso dei prossimi mesi. La personalizzazione della toolbar che abbiamo citato,
ad esempio, è stata reintrodotta con la versione 5.0.1
del programma.

I
vantaggi ci sono

Chi usava Pages ’09 basandosi molto sulle sue funzioni di
impaginazione non sarà magari “convinto” dal nuovo
Pages, almeno in questa sua versione, ma le polemiche del debutto non devono
far passare in secondo piano le novità positive che il word processor ha acquisito
e che impattano sull’utilizzo da parte di una grande massa di
utenti. In primo luogo la maggior potenza: l’applicazione è a 64 bit
e gestisce con facilità documenti che Pages ’09
faceva fatica anche ad aprire. Poi la nuova organizzazione degli strumenti base
e dell’interfaccia di Pages è effettivamente più comoda
per tutti, “power user” inclusi. Il passaggio dalla palette flottante
di Pages ’09 alla barra laterale è comodo perché questa
adatta i suoi contenuti all’elemento selezionato e non costringe a
cercare l’opzione giusta di tab in tab. Al cambio di selezione cambiano
leggermente i contenuti della tab Stile, che contiene opzioni trasversali come
la gestione dei bordi e delle ombreggiature, e cambia del tutto la tab
centrale, che include le funzioni più legate al tipo di elementi selezionato,
ad esempio gli attributi del testo invece che l’ottimizzazione di una immagine (in questo
senso c’è una palette flottante molto completa, attivabile con il
pulsantino contrassegnato da tre cursori). Alcuni hanno criticato il fatto che
la nuova barra laterale Impostazioni occupi più spazio della vecchia palette e questo è
certamente un fastidio se si mantiene Pages in finestra, ma ancora una volta va
notato che il software, come tutto iWork, appare studiato per un utilizzo
diverso, ossia a pieno schermo dove si può tenere la barra visibile e avere il
documento ingrandito anche al 200 percento (su uno schermo almeno da 15
pollici). A proposito di ingrandimenti, ora tutte le applicazioni iWork
supportano il “pinch to zoom”, quindi il livello di ingrandimento di
una pagina si può regolare dalla trackpad invece che
andando a cercare il solito menu Ridimensiona in alto a sinistra.

A parte le funzioni mancanti e le novità
introdotte nella barra Impostazioni, non ci sono molte considerazioni da fare
su Pages per OS X in sé. In generale la ridistribuzione delle
funzioni porta qualche scomodità per chi non lavora a pieno schermo, ad
esempio l’utilizzo degli stili per i paragrafi è meno
immediato che in Pages ’09 perché il menu dedicato si trova nella barra
Impostazioni e non immediatamente nella toolbar. A controbilanciare queste
scomodità ci sono alcune opzioni minori nuove come, sempre in tema di
stili di paragrafo, il fatto che Pages ci avvisa quando abbiamo modificato un
paragrafo con uno stile e ci indica di aggiornare anche gli altri che usano il
medesimo stile, anche se la gestione di queste modifiche non è
sempre chiara. Come non è chiarissimo che la “logica”
del layout di pagina non è del tutto scomparsa, è
solo molto nascosta. Selezioniamo del testo e portiamoci nella barra
Configurazione e poi nella tab Documento: qui notiamo l’opzione
Corpo documento, selezionata di default. Se la deselezioniamo Pages torna a una
modalità di lavoro in stile impaginazione: le pagine e le sezioni sono
cancellabili dalle loro miniature, si possono duplicare le pagine e in generale
agire sul documento a un livello più elevato. Lo scotto è
che, come ci segnala Pages, in questo passaggio tutto il testo “in
linea” (quello inline, che non è all’interno di una casella di testo) e le
immagini altrettanto inline scompaiono, lasciando solo i contenuti che sono all’interno
di una loro casella. In sostanza, Pages 5 non permette di combinare
indifferentemente un editing “liscio” con elementi inline e uno da
impaginazione con elementi a blocchi: al primo passaggio dal primo al secondo
perderemo qualcosa.

Pages per iOS

Rispetto alla rivoluzione che ha toccato in maniera evidente
Pages per OS X, la nuova versione di Pages per iOS inizialmente appare solo un
buon aggiornamento che adotta un’estetica alla iOS 7. In realtà
l’App è stata completamente riscritta per il
passaggio ai 64 bit del sistema operativo e per usare un nuovo formato di file,
come le altre “colleghe” Keynote e Numbers per iOS. Le principali
funzioni a disposizione sono le stesse della versione desktop o quasi, nel
senso che i limiti presenti sono più legati alle caratteristiche di iOS, ad
esempio ancora non tutti i font di sistema di OS X sono presenti nel sistema
operativo mobile e quindi quelli meno diffusi possono andare persi nel
passaggio da Mac a iPad, che all’impostazione dell’App.

Funzionalmente, una delle novità più evidenti di Pages per iOS è
l’aver acquistato quella toolbar di formattazione che la versione
desktop del software ha invece perduto. Proprio sopra la tastiera virtuale è
presente una sezione con i principali elementi di formattazione: allineamento,
tipo e dimensioni del font, attributi. Tutto questo c’è anche
nella palette Formattazione (su iOS non è stata adottata la sidebar fissa
Impostazioni, troppo ingombrante) ma averlo immediatamente a portata di dito
aiuta nella gestione del testo sul relativamente piccolo schermo dell’iPad,
a maggior ragione dell’iPhone o dell’iPod
touch. Tra desktop e tablet transitano senza problemi anche le annotazioni
associate al testo e queste possono essere distinte tra i due ambienti, dato
che alla prima annotazione viene chiesto di indicare un “nome” per
chi associa la nota e ogni dispositivo può avere il suo. Le possibilità
di intervento sul documento sono tutte quelle di un word processor e sono d’altronde
quelle già viste per la versione precedente. Possiamo inserire
praticamente di tutto sulla pagina, con l’eccezione del testo inline se non era già
presente nel documento di partenza.

Sono state adeguate alla controparte desktop alcune funzioni non
di primissimo piano, come il conteggio parole che anche qui fluttua nella parte
bassa della pagina, e sono state potenziate le funzioni di condivisione via
iCloud: è possibile inviare a chiunque un link al documento per come è
memorizzato su iCloud, tenendo presente che chiunque abbia il link può
modificare il documento e le sue modifiche appariranno su tutti i nostri
dispositivi che usano quel documento. Non si può condividere in questo modo un documento
per il quale abbiamo attivato il tracciamento delle modifiche, perché
tale funzione (che in questo caso sarebbe molto utile) non è
supportata da iWork for iCloud. Anche l’apertura verso le altre App residenti sul
dispositivo sembra maggiore: previa scelta della conversione in formato Word,
ePub o PDF è possibile inviare un documento alle applicazioni che
interpretano la nostra selezione (tra cui sempre Dropbox, nel caso iCloud non
ci basti come snodo tra iOS e OS X).

I dolori apparenti di Keynote

Keynote ha avuto un ruolo fondamentale per l’affermazione
di iWork, nel confronto implicito tra questo e la suite Office di Microsoft.
Pages era un passo indietro a Word ma colmava le sue lacune funzionali con la
semplicità d’uso, Numbers non ha mai cercato di fare
la gara su una corazzata come Excel, ma nel suo campo Keynote ribaltava la
situazione: produceva presentazioni più d’impatto rispetto a Powerpoint. Ecco anche
perché gli utenti affezionati di Keynote sono forse ancora più
pronti a vedere i lati deboli della transizione che anche il loro programma sta
vivendo: come Pages, anche Keynote è cambiato profondamente in nome della
trasversalità.

Al primo lancio di Keynote 6 la sensazione di avere davanti una
toolbar poco popolata è anche più forte che in Pages e stavolta è
motivata: da 21 pulsanti-comando immediatamente disponibili siamo passati a 14,
di cui due come in Pages assegnati alla condivisione e ai suggerimenti. Ma se l’impatto
è peggiore che in Pages, in realtà non c’è molto di cui preoccuparsi. In Keynote
molte delle funzioni che sembrano scomparse (e molte funzioni in generale) sono
solo passate alla barra laterale Impostazioni, che per questo programma è
suddivisa in tre parti: Formattazione, con le funzioni dedicate tra l’altro
al layout della slide e alle diapositive master; Anima, con tutte le opzioni
per le transizioni e le animazioni; Configurazione, con le opzioni legate alla
presentazione in generale, tra cui in primo luogo il tema prescelto e la
colonna sonora. Come abbiamo già indicato per Pages, anche in Keynote
questo spostamento delle funzioni richiede qualche tempo per prenderci l’abitudine
ma si rivela poi sostanzialmente positivo: selezionando un elemento le
informazioni e le opzioni che appaiono nella barra laterale sono solo quelle
che ci possono interessare, mostrate più chiaramente. In particolare, delegare a
una buona fetta della finestra di lavoro la parte dedicata alle transizioni e
alle animazioni ha i suoi vantaggi perché le opzioni sembrano più
chiare, anche alla fine sono le stesse di Keynote ’09 e solo
per il tipo di transizione/animazione è stata aggiunta una icona-simbolo che in
qualche modo le rappresenta. Sull’altro piatto della bilancia va messo il
fatto che se non si seleziona un elemento non è dato sapere se ha associato un effetto,
mentre prima il Build inspector lasciava almeno intuire qualcosa.

Keynote conserva la consueta abbondanza di temi, animazioni e
transizioni, anche se per i temi la scelta si è ridotta da 44 a 30, tutti però
disponibili in formato sia 4:3 sia widescreen 16:9. Transizioni e animazioni
sono state riorganizzate in categorie nuove e hanno perso qualche elemento ma
anche guadagnato qualche altro, il bilancio è che c’è qualcosa in meno ma più
che abbastanza per continuare a realizzare presentazioni d’effetto.
Tra l’altro è stata introdotta, tra le azioni, una
nuova categoria Enfasi che serve a dare una maggiore evidenza a un elemento
della slide: può saltare, capovolgersi, brillare,
rimbalzare, fremere… tutto pur di catturare l’attenzione
degli spettatori. Il lato negativo di questa parte di Keynote è
che l’analogo del Build inspector è assai poco comunicativo. La palette
Ordine animazione si attiva cliccando l’omonimo pulsante della sezione Anima e
mostra le animazioni e le transizioni definite per gli elementi di una slide,
nell’ordine in cui avvengono. Ma senza indicare che tipo di azioni
sono (animazioni o transizioni in entrata o in uscita) e le immagini sono
identificate tutte con la generica dicitura “immagine”. Se vogliamo
capirci qualcosa possiamo solo selezionare gli elementi della pagina uno per
uno o avviare le animazioni per vedere a cosa si riferiscano.

Dopo, è più chiaro

Come per Pages, anche molte delle modifiche in Keynote sono
improntate alla ricerca della semplicità e di una maggiore immediatezza nell’applicare
determinate opzioni o funzioni, pensando a un’utenza probabilmente meno “power
user” di prima. Vale la pena segnalare in questo senso la modifica delle
diapositive master, che non è una novità rispetto a Keynote ’09
ma avviene con un’interfaccia molto più
chiara e che evidenzia nettamente come si stia operando su una slide speciale.
Peccato solo che per ora non sia più possibile inserire animazioni nelle
diapositive master.

Decisamente pollice su anche per tutto quello che Keynote ha
imparato da Pages in quanto a gestione del testo: ora è
possibile applicare a qualsiasi elemento di testo uno tra nove diversi stili
paragrafo predefiniti e anche definire dei propri stili a partire da testo
formattato in maniera particolare. Questo è molto utile per dare una certa coerenza
all’impostazione del testo nelle varie slide di una presentazione
ma anche, volendo, in tutta una sequenza di presentazioni. Keynote eredita
anche la gestione “intelligente” degli stili paragrafo che abbiamo
descritto per Pages, anche se qui l’indicazione di aggiornare uno stile
modificato appare meno importante.

Da Numbers viene invece un altro elemento interessante: i
grafici interattivi, su cui ci soffermiamo anche nella parte dedicata proprio
al programma per spreadsheet. Si tratta in sintesi di grafici indicati per
mostrare come varia un determinato parametro (ad esempio le vendite) in
funzione di un secondo (ad esempio il tempo o l’area geografica) senza mostrare una
successione di barre o di linee, che finiscono per essere confuse. In fase di
creazione della slide un grafico interattivo presenta solo i valori iniziali
usando uno dei tipi di rappresentazione previsti (barre, colonne, bolle,
dispersione): immediatamente sotto troviamo un cursore da far scorrere (o due
pulsanti da premere) per animare il grafico facendolo variare i suoi elementi a
seconda di come varia il parametro rappresentato. Durante una presentazione non
ci sono cursori o pulsanti, la rappresentazione dei dati è
un’unica animazione fluida. E infatti al grafico interattivo viene
automaticamente e implicitamente associata un’animazione in entrata di un tipo (Grafico
magico) che non è normalmente visibile: nella sezione
Anima possiamo quindi variare la durata standard dell’animazione.
Non è proprio una opzione intuitiva, ma funziona.

In linea con le altre applicazioni iWork, le novità
di Keynote 6 oltre quelle descritte sono legate più che
altro a dettagli, funzioni che si sono probabilmente indebolite ma che non sono
cambiate sostanzialmente rispetto a prima e che in parte (ad esempio le
animazioni e le build, o la finestra del presentatore) Apple ha già
dichiarato di voler man mano ripristinare. La mancanza più
sentita per alcuni utenti è anche in questo caso il supporto ad
AppleScript ma Apple lo ha citato in maniera specifica tra le funzioni che
verranno “migliorate”, a differenza di Pages per il quale questa
annotazione non è stata nemmeno fatta.

Keynote per iOS

In questa tornata di aggiornamenti chi ama la versione iOS di
Keynote è probabilmente tra gli utenti più soddisfatti. L’App iOS
infatti non perde quasi nulla (di importante solo le transizioni e le azioni
che non sono più nemmeno nella controparte desktop) e
acquista invece diverse novità interessanti per il tablet, derivate
dalle novità già viste per l’applicazione
desktop. A parte l’estetica in stile iOS 7 l’impostazione
generale dell’App non è cambiata e l’interfaccia
è rimasta efficace, con le miniature delle slide sulla sinistra,
la slide principale che occupa quasi del tutto lo schermo e gli strumenti tutti
nascosti nelle palette Formattazione e Strumenti. Anche in questo caso la
mega-palette Impostazioni scelta per le applicazioni desktop è
rimasta in OS X, opportunamente.

Rispetto a quanto abbiamo indicato per Pages, nel caso di
Keynote la “distanza” fra l’App iOS e la versione Desktop è
maggiore, anche se non di molto, in termini di spazio di manovra. Su OS X sono
rimaste molte opzioni legate alla creazione e all’impostazione iniziale delle
presentazioni, come la modifica delle slide master o la definizione di nuovi
stili per il testo. L’App iOS recepisce pienamente le modifiche
fatte su Mac ma non può farle autonomamente, quindi chi usa
Keynote sul tablet non può arrivare al massimo livello di
personalizzazione e dettaglio. Ciò premesso, la dotazione di template e
opzioni è comunque più che sufficiente per creare slideshow d’effetto
anche restando solo su iPad e sugli altri dispositivi iOS.

La novità di maggior rilievo in Keynote per iOS
sta nel recepimento dei grafici interattivi, che sono certamente d’effetto
ma anche tutto sommato semplici nella loro configurazione, abbastanza da essere
impostati e ottimizzati anche su tablet. Quelli che vengono definiti usando
Keynote su desktop sono importati con i loro parametri inalterati anche in iOS.

L’ampliamento delle funzioni di
esportazione che abbiamo indicato per Pages c’è anche in Keynote e qui risulta spesso
utile: condividere una presentazione direttamente dal tablet è
una bella comodità e la nuova App permette in particolare
di convertire uno slideshow Keynote in PDF o formato PowerPoint per poi
passarlo a un’altra App presente sul medesimo
dispositivo iOS. In questa fase di conversione, anche verso PowerPoint, l’unica
vittima illustre sono i grafici interattivi, trasformati in grafici statici
impostati sull’ultimo valore della loro animazione.

I numeri di Numbers

Gli utilizzatori di Numbers non potevano sottrarsi alla
sensazione di spaesamento che caratterizza questa tornata di iWork e infatti
anche per loro c’è una sorpresa iniziale: tutta la barra
laterale sinistra, dove si trovavano elencate le varie tabelle del nostro
foglio elettronico e poi gli stili tabella, è scomparsa. Gli stili prevedibilmente li
ritroviamo nella nuova barra destra Impostazioni, che c’è anche
per Numbers e in questo caso si divide in Formattazione e Filtri, mentre l’elenco
delle tabelle è stato trasformato in un menu a discesa
associato al nome del foglio attivo, presentato immediatamente sotto la toolbar
principale. Se i nostri fogli elettronici hanno molte tabelle troveremo la
soluzione scomoda, perché non dà una visione immediata di che cosa
contenga il foglio, in caso contrario – e fatta l’abitudine – concluderemo che in questo modo si
guadagna spazio per la cosa più importante, ossia i dati. Il piccolo
apparente danno collaterale in questo caso è rappresentato dal collegamento immediato
con le formule di calcolo che si trovavano sotto gli stili tabella e che
potevano essere trascinate sul foglio elettronico. Niente paura, ci sono
ancora: basta selezionare un gruppo di celle e appaiono nella parte più
bassa della finestra, trascinabili come prima. E in più
cliccando sull’icona a forma di ingranaggio questa
collezione può essere ampliata con altre 25 funzioni.

La vera grossa novità nell’utilizzo di Numbers non si nota subito
perché non è visivamente macroscopica ma ha un
impatto rilevante sulla semplicità d’uso: la barra delle formule è
scomparsa e se clicchiamo su una cella il suo contenuto non appare più
sotto la toolbar pronto per essere modificato. Se è un
valore numerico possiamo editarlo direttamente nella cella, come in Numbers ’09,
mentre se è una formula un clic solo sulla cella non porta effetto e
dobbiamo cliccare di nuovo. A questo punto appare il nuovo editor delle
formule, in pratica una barra delle formule flottante ridimensionabile che si
può trascinare per lo schermo dal suo lato sinistro (il cursore
del mouse diventa una piccola mano passando per la sua “impugnatura”)
e in cui possiamo modificare la formula preesistente. Lo stesso editor appare
se in una cella vuota cominciamo a scrivere una formula con il tasto di
uguaglianza (=). In ogni caso, quando appare l’editor la sezione laterale Formattazione
mostra l’elenco delle funzioni disponibili, che si possono inserire nell’editor
con un doppio clic. Al di là di uniformare l’interfaccia
dell’applicazione OS X con quella della controparte iOS, in cui il
campo dove editare una formula (o anche semplicemente inserire un valore)
appare solo quando attiviamo la tastiera virtuale, non ci sembra che la scelta
dell’editor flottante abbia senso: lo spazio risparmiato in pixel è
minimo e c’è un clic in più da fare ogni volta che si deve
modificare una formula. Stranamente, poi, è l’unico elemento importante in cui c’è
un’incoerenza delle interfacce, dato che in iWork for iCloud per
ora Numbers ha mantenuto il tradizionale editor delle formule posto sotto la
toolbar.

L’altra perdita curiosa è
legata all’anteprima di stampa editabile. In Numbers ’09
possiamo cambiare i contenuti delle celle di un foglio elettronico anche mentre
si visualizza la sua anteprima di stampa e sempre in questa visualizzazione è
possibile addirittura “prendere” le singole tabelle e spostarle sul
foglio vedendo come occupano l’area di stampa. Nel nuovo Numbers 3 il
comando per l’anteprima di stampa non esiste neanche più
e il comando Stampa passa per un’anteprima di stampa statica che permette
solo di scalare il contenuto per adattarlo alle dimensioni della stampa.


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