Google, la privacy e la lobby

Il ceo Eric Schmidt scrive sul Financial Times: «servono nuovi criteri di riservatezza per Internet». Posizione giusta, ma interessata.

Alcuni giorni fa il sito del Financial Times ha pubblicato un intervento firmato da Eric Schmidt, di professione amministratore delegato di Google.

L’articolo, titolato “Abbiamo bisogno di standard di privacy globalmente riconosciuti” conteneva alcuni spunti interessanti e, su un piano di lettura secondario, dava anche l’aire a una riflessione più ampia.

Cominciamo coi primi. Schmidt ha detto che per Google è importante che si creino nuove regole di riservatezza, perché l’utilizzo intensivo che la gente sta facendo di Internet potrebbe consentire di tracciare completamente le abitudini e i comportamenti.

Per sostenere il messaggio, Schmidt ha ricordato che Google ha deciso di rendere irrintracciabili gli indirizzi Ip degli utenti che fanno ricerche tramite il suo portale oltre i 18 mesi. In sostanza, la ricerca che uno ha fatto 548 giorni fa non è più recuperabile.

In secondo luogo, il Ceo della società ha rilevato come una normativa generale di gestione della privacy si imponga, dato che in America ne esistono tante quanti gli stati federali, e che in Europa, dove un tentativo di uniformità si è fatto, il meccanismo trovato è ancora ruvido e ampiamente perfettibile.

L’invito che Schmidt rivolge, pertanto, è quello di mettersi attorno a un tavolo per disegnare il futuro della privacy. Tenuti a sedersi sarebbero i governi. Ma anche, crediamo, le società che creano e fanno usare Internet.

A chi si chiede il perché di tale intervento si può fornire un ulteriore dettaglio.

Recentemente Google ha fatto un passo deciso nel mercato cosiddetto business, trovando un alleato di calibro in Capgemini, che avrà il compito di aiutarla a diffondere il concetto e l’utilizzo delle GoogleApps, ossia le applicazioni di uso aziendale, rivedute e adattate all’era Web.

Un’idea buona, elaborata anche da Ibm, tanto per rimanere sulla cronaca.

Il principio ispiratore di tali applicazioni è tanto semplice quanto valido: usare Internet come grande computer per scambiarsi i documenti di lavoro.

Esempio: anziché inviare un documento a cento persone, creando di fatto altrettanti oggetti che viaggiano su Internet, se ne crea uno solo, lo si mette in un punto e lo si fa raggiungere e usare da tutti. È il principio della newsletter adattato al lavoro d’ufficio.

Logico che un sistema siffatto richiede che si diano ampie garanzie di integrità del documento e di riservatezza a chi lo usa.

Ecco il motivo della lettera di Schmidt.

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