Google denuncia: i governi vogliono controllare i dati degli utenti

Da Mountain View un allarme: drasticamente aumentate le richieste di accesso ai dati degli utenti avanzate dalle autorità governative di tutto il mondo.

Si chiama “Transparency Report” o “Rapporto sulla trasparenza“, in italiano, lo strumento con cui Google misura la censura online. Consultabile a questo indirizzo,
il servizio – che è stato lanciato all’inizio del 2010 – si prefigge di
evidenziare in quali Paesi del mondo le attività di censura sono più
pesanti e frequenti. I vertici di Google, infatti, hanno sempre
dichiarato di attivarsi tempestivamente per eliminare dal motore di
ricerca e degli altri servizi dell’azienda i riferimenti a contenuti
pubblicati in Rete in modo illegale, senza l’autorizzazione degli aventi
diritto. Più intransigente è invece la posizione di Google nei
confronti di quei governi che, ad esempio, avanzano richieste di
rimozione di contenuti semplicemente perché questi ultimi ne criticano
l’attività o la esaminano in chiave satirica.

Dorothy Chou, Senior Policy Analyst di Google ha presentato quest’oggi i dati aggiornamento del Rapporto sulla trasparenza relativi al periodo gennaio-giugno 2012: “un aspetto appare ben evidente; i governi stanno sorvegliando le attività degli utenti“, scrive la portavoce del colosso di Mountain View. La Chou sottolinea come siano drasticamente aumentate le richieste di accesso ai dati degli utenti avanzate dalle autorità governative di tutto il mondo.
Nei primi sei mesi dell’anno, infatti, Google ha dovuto gestire quasi 21.000 richieste relative a circa 35.000 account utente.
Per quanto riguarda le richieste di rimozione dei contenuti,
tramesse anch’esse dagli enti governativi, Google ne ha registrate
quasi 1.800 facenti riferimento, complessivamente, a quasi 18.000 pagine
pubblicate online.

L’Italia si pone ai primi posti della
classifica con 841 richieste di accesso ai dati di utenti registrati su
Google (il 34% di esse sono state accolte in tutto od in parte dal
colosso di Mountain View), dopo Stati Uniti, India, Brasile, Francia,
Germania e Regno Unito.
Per ciò che concerne le richieste di
eliminazione di contenuti, nel primo semestre dell’anno, l’Italia ne ha
trasmesse a Google 274: le più ricorrenti riguardano violazioni del
copyright (link presenti nel motore di ricerca che puntano a risorse
pubblicate senza autorizzazione degli aventi diritto) ed il reato di
diffamazione (su Google Gruppi e sul servizio Blogger in primis; vedere questa pagina).

La
Chou spiega che Google sta facendo di tutto per cercare di filtrare le
richieste di rimozione dei contenuti che quotidianamente pervengono alla
società. Ci sono stati diversi casi in cui alcuni soggetti hanno
trasmesso falsi provvedimenti giudiziari producendo documenti fasulli.
Google, ovviamente, ha in questi casi rigettato le richieste avanzate.

È possibile verificare chi ha inviato delle contestazioni a Google e rispetto a quali contenuti?

L’elenco delle contestazioni in materia di copyright viene aggiornato in tempo reale (qui
sono disponibili i dati più recenti). Quando Google accetta una
contestazione e rimuove un contenuto dai suoi servizi, appone un
messaggio simile al seguente: “In risposta a una lamentela ricevuta
ai sensi della legge americana Digital Millennium Copyright Act (Legge
sul copyright digitale), abbiamo eliminato N risultato(i) da questa
pagina
“. In ogni caso viene offerto un link al sito Chilling Effects a cui Google usa inoltrare, per conoscenza, ogni singola contestazione: “ogni
notifica legale che riceviamo viene inviata a una terza parte che
potrebbe pubblicarla e/o chiosarla. In particolare, la comunicazione
(priva dei dati personali) viene altresì inoltrata al sito Chilling
Effects per essere pubblicata. (…) Al posto dei contenuti rimossi, nei
risultati di ricerca di Google viene visualizzato un link alla
comunicazione pubblicata
“, chiarisce il colosso di Mountain View.
Facendo una semplice ricerca sul database di Chilling Effects
è immediato stabilire quali e quante richieste vengono inviate a Google
così come ad altre società che ospitano contenuti pubblicati da parte
di terzi.

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