Tempo, fiducia, coerenza, scopo: sono le quattro misure per valutare l’attitudine, la coerenza e l’operato di manager al cospetto della trasformazione digitale. La visione sul futuro del ceo di Ammagamma.

Nei prossimi anni assisteremo ad una profonda trasformazione del lavoro e degli stili di vita: la tecnologia digitale ci permetterà di lavorare al di fuori dei perimetri fisici delle nostre aziende.

Il confine tra lavoro e vita privata diventerà sempre più labile fino a scomparire, in questo nuovo contesto il manager assume una rilevanza straordinaria: sarà chiamato a gestire risorse in modo remoto e non per prossimità, a valutare il risultato e non le ore di lavoro, a delegare e fidarsi e non a comandare e controllare.

Nel fare una sintesi di ciù che sta accadendo ho scelto quattro termini con cui ogni manager si troverà a dover relazionarsi in modo diverso: tempo, fiducia, coerenza, scopo.

Tempo

Se incontrate un manager e gli chiedete come stia, nella maggioranza dei casi vi risponderà con un elenco infinito di impegni e cose da fare, che con buona probabilità si concluderà con l’espressione del desiderio di giornate più lunghe, o di ore più lente. Anche le frasi rispettano un copione: “Sono distrutto, avrei bisogno di trentasei ore per poter fare tutto”, e loro giornate non finiscono mai. Se si accetta la legittimità della mitologia del manager impegnato oltre ogni limite, probabilmente saremo portati a generare, tollerare e legittimare il “manager maleducato”, quello sempre in ritardo, che ti fa aspettare mezz’ora fuori dal suo ufficio, che cancella i meeting poco prima dell’orario fissato perché “sono sopraggiunti impegni imprevisti di altissima priorità”; quello che per poterlo incontrare occorre aspettare settimane o mesi ma che invece esige una risposta tempestiva, immediata, se è lui a convocare una riunione.

Quello per intenderci sempre puntuale con i clienti ma in ritardo con i fornitori, puntuale con il suo capo ma sempre in ritardo con i suoi collaboratori.

Un manager che non sa gestire il proprio tempo, i propri impegni e la propria agenda non è un manager molto impegnato, probabilmente è soltanto un manager modesto che deve essere misurato per il modo in cui le risorse preziose, non rigenerabili, come il tempo, vengono considerate, amministrate e valorizzate.

Fiducia

Dal mio punto di vista, in ambito aziendale, parlare di concessione di fiducia è anche linguisticamente limitante, se non addirittura errato. La questione non è semplicemente quella di “concedere” fiducia, o di riceverla, ma di costruirla, necessariamente in un percorso condiviso, che corresponsabilizza e che unisce.

La fiducia diventa un atto di apertura al superamento della staticità, perché permette – a chi la concede, a chi la riceve e a chi la genera – di alimentare processi di apprendimento permanente, di condivisione permanente del potenziale.

Riconoscere il valore del contributo di tutti significa fondare la relazione professionale non sulla ripartizione di funzioni, ma sulla creazione di uno spazio che permetta l’espressione di una competenza e la liberazione progressiva del potenziale.

Coerenza

Il concetto di coerenza ha implicazioni profonde per un manager, nei comportamenti individuali, nelle dinamiche relazionali e nelle strategie aziendali. Potremmo definirla all’interno della cornice che disegna la distanza tra il modo in cui ci percepiamo, il modo in cui vogliamo comunicarci, il modo in cui crediamo che gli altri ci percepiscano e il modo in cui gli altri ci percepiscono realmente.

Per provare a semplificare con un’immagine, si tratta della tensione che si genera tra il soggetto, la fotografia e lo specchio, tra la realtà e la sua proiezione, rappresentata o autopercepita.

La coerenza, l’affinità tra ciò in cui si crede e ciò in cui crede l’azienda è la prima condizione, forse la più basilare, per riuscire a vivere il proprio spazio lavorativo senza retorica di superficie e senza indossare maschere. In assenza della coerenza tra i valori personali e i valori dell’azienda, si viene a creare una dinamica in cui la maschera rischia di mangiarsi l’attore.

Scopo

Nel 2011, Michael Porter e Mark Kramer rischiavano di passare per eretici, affermando che lo scopo di una società è certamente quello di raggiungere il profitto per gli azionisti, ma anche e soprattutto quello di generare un impatto sociale.

Il problema su cui credo ci dovremmo interrogare è se si tratta realmente di rinnovamento sociale, di riconoscere il ruolo dell’azienda come attivatore di processi di crescita territoriale e di responsabilizzazione per cause globali, e quanto invece, semplicemente di “ethics washing“.

Lo scopo di un’azienda si raggiunge non solo nei grandi proclami o con i grandi progetti, ma attraverso l’esercizio quotidiano e coerente dei propri valori. Come ha egregiamente osservato Jeff Beer: “Nessuno vuole sapere come stai costruendo comunità se non paghi alcuna imposta sul reddito. Nessuno vuole sapere del tuo impegno per l’uguaglianza di genere se i tuoi dirigenti sono tutti maschi. E nessuno vuole sapere quanto ami il pianeta se la tua catena di approvvigionamento sta contribuendo alla sua scomparsa”.

 

 

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