Dal dire al fare…Parla un system integrator

L’esperienza italiana di Accenture mette in luce uno spaccato locale dominato da forti contrasti. Ad agire da traino come sempre, la riduzione dei costi

Dagli studi degli analisti all’esperienza di un system integrator. Per verificare come stanno realmente le cose in casa degli utenti abbiamo incontrato Giorgio Di Paolo, partner responsabile della Strategic It effectiveness presso la filiale italiana di Accenture, società particolarmente attiva sul campo open source.

Secondo la vostra esperienza, a che livello è la conoscenza dei decisori delle aziende italiane delle possibilità offerte dalle soluzioni open source?
Direi piuttosto diffusa, almeno nella fascia di aziende clienti di Accenture. Uno stimolo ad approfondire questo tema è venuta dalla spinta esercitata negli anni 2004-2005 alla riduzione dei costi che ha fatto mettere in secondo piano le titubanze per la novità. Ma oggi anche le aziende che avevano fatto di necessità virtù, dopo aver verificato che molti dubbi erano infondati, hanno continuato a dare la preferenza alle soluzioni open source anche oggi, ossia in un periodo in cui gli investimenti hanno ripreso a crescere.

Ci può descrivere l’investitore in open source ideale?

Noi rileviamo quotidianamente diverse propensioni all’investimento in funzione del settore d’industria e della personalità dei singoli decisori, più o meno disposti ad accettare i rischi che una simile alternativa comporta. In genere le persone tecnicamente più preparate sono quelle che riescono a valutare in modo più distaccato e oggettivo i rischi dei progetti. Se vediamo la cosa per settore d’industria, quello che in assoluto appare il più predisposto all’adozione è quello dell’Università e ricerca in cui l’open source è praticamente lo standard. I settori dove si sviluppa maggiormente l’open source sono, quindi, quelli più a contatto con queste realtà come le Telecomunicazioni e l’Industria farmaceutica. Un altro settore dove l’open source è sempre più diffuso è la Pubblica amministrazione, anche per un discorso di tipo ideologico, legato alla scelta strategica di non essere dipendenti da soluzioni proprietarie. Viceversa, i settori d’industria meno propensi ad adottare Linux sono quelli tradizionalmente meno disposti ad accettare dei rischi come le Banche e soprattutto le Assicurazioni. Infine, se passiamo alle aziende, quelle predisposte ad adottare soluzioni basate su Linux sono quelle dove è più diffuso Unix, per l’affinità dello skill richiesto.

E in quali settori d’industria si ottengono effettivamente i maggiori benefici?
Quelli dove è più diffuso lo sviluppo ad hoc, e qui il discorso si riallaccia a quello dei framework. Viceversa, quelle che possono ottenere minori benefici sono quelle dove sono più diffusi i pacchetti standard come gli Erp. Perciò sono proprio le aziende finanziarie, che sono molto fredde verso l’open source, che paradossalmente potrebbero trarre i maggiori benefici da questa scelta.

Se sbagliano a non scegliere l’open source, perché lo fanno?
 Perché non applicano una gestione strategica delle infrastrutture. In ogni azienda ci sono applicazioni o servizi Ict che sono mission critical, dov’è naturale che il cliente si muova con grande prudenza. Ma ci sono altre applicazioni che non lo sono, dove si possono tranquillamente sperimentare soluzioni open source per ottenere una maggior flessibilità, indipendenza dal fornitore e costi ridotti. Ci sono, poi, aree dove le soluzioni open source hanno dimostrato di essere le migliori sul mercato. Un esempio per tutte: il Web server Apache.

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