Home Lavoro Come e quanto l'Italia ha lavorato da casa durante la pandemia

Come e quanto l’Italia ha lavorato da casa durante la pandemia

Workday ha realizzato un studio condotto da Yonder sull’impatto della pandemia avuto nella vita lavorativa e sulla forza lavoro.

Secondo lo studio nel 2020 due terzi dei dipendenti in Italia hanno lavorato da casa (65%), una cifra più alta rispetto alla media di tutti i mercati europei monitorati.

Il 49% di questi lavoratori non aveva mai lavorato in remoto prima della pandemia, un dato ancora una volta significativamente superiore alla media europea (27%), ma la maggior parte di essi è riuscito a ritagliarsi un proprio spazio di lavoro (79%).

Il 56% ritiene di essere stato più produttivo e meno logorato grazie al lavoro svolto da casa, malgrado l’essere sempre connesso sia stato un grande svantaggio dichiarato dal 59% degli intervistati.

Nonostante la situazione, un terzo dei dipendenti ha dichiarato di sentirsi più isolato nella situazione contingente, una percentuale notevolmente inferiore rispetto al resto d’Europa.

La motivazione però non è mancata anche se due lavoratori su cinque hanno trovato difficoltà, soprattutto nella fascia dei giovani 18-34 anni (47%) e a scendere nelle fasce di età successive (38% fascia 35-54; 32% fascia 55+).

Come è stato fatto lo studio

Yonder (ex Popolus) ha condotto il sondaggio online tra il 28 ottobre e il 18 novembre 2020 su 17.054 dipendenti che erano al di sotto del livello di direttore e lavoravano in un’organizzazione con più di 250 dipendenti in varo mercati europei: Italia, Belgio, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.

Il report ha analizzato quattro settori: servizi finanziari, servizi professionali, tecnologia, telecomunicazioni/media e IT e vendita al dettaglio/prodotti alimentari, bevande e ristoranti.

Un campione di 2.000 intervistati in ogni mercato è stato l’obiettivo del lavoro sul campo, in quanto fornisce una base solida da cui condurre l’analisi. Il margine di errore su un campione di 2.000 persone è di +/- 2,2% a un livello di confidenza del 95%, il che significa che se il sondaggio venisse condotto di nuovo 100 volte, 95 volte su 100 ci si aspetta che i risultati cambino di un massimo di +/- 2,2%. Raggiungere i dipendenti con una metodologia online in Svizzera è più difficile perché ci sono meno persone iscritte ai panel online. È stato quindi deciso di scendere a compromessi e di utilizzare una base più piccola. In Svizzera è stato raggiunto un totale di 1.004 intervistati. Va notato che la dimensione della base più piccola di 1.004 in Svizzera crea un margine di errore di +/- 3,1% a un livello di confidenza del 95%.

Le origini di queste difficoltà sono da ricercarsi nella leadership nei team di lavoro che non sono stati percepiti capaci di rispondere in modo adeguato alla crisi (dichiarato dal 29%).

Insieme a questa percezione negativa si è aggiunto in parte il timore di non ricevere equi e meritati aumenti di stipendi (19%), apportare cancellazioni di bonus o ritardi (21%), tanto da influenzare le possibili conseguenze sulle scelte del futuro, come ad esempio la valutazione di cercare un nuovo lavoro nei 12 mesi successivi.

Comunque le remunerazioni non sono state tra le preoccupazioni maggiori. Quasi la metà degli intervistati (49%) ha dichiarato di percepire minori opportunità nell’acquisire nuove responsabilità e competenze nel 2020, un dato relativamente importante rispetto alla media europea (38%).

I giovani tra i 18 e i 34 anni hanno maggiormente avuto la percezione di vedere sgretolarsi opportunità di carriera e l’acquisizione di competenze (54%) mentre le fasce di età superiori hanno ritenuto che un focus sulla crescita personale della propria carriera fosse egoista vista la situazione.

Il tema della leadership

Nonostante la leadership tra i dirigenti italiani nella fascia di coloro che non hanno lavorato da casa si sia dimostrata la più debole in Europa, ha però portato un generico consenso positivo dimostrando caratteristiche quali, al primo posto la competenza (47%), a seguire disponibilità, onestà, collaborazione, affidabilità e attenzione verso i propri dipendenti.

Tuttavia, nonostante oltre la metà dei dipendenti abbia percepito un aumento della comunicazione da parte dei propri leader (55%) e una chiara visione a lungo termine (51%), sembra che i colleghi europei abbiano performato meglio.

Appena il 28% dei dipendenti italiani si è sentito coinvolto nelle decisioni dei leader in merito al futuro dell’organizzazione. Il merito ai leader, però, è andato ad aspetti importanti come l’aver dato priorità alla salute e alla sicurezza dei dipendenti e soprattutto, l’aver dimostrato spirito aziendale concentrandosi sulle esigenze dell’azienda e non individuale.

Secondo lo studio di Workday l’impatto della pandemia è stato comunque gestito in modo positivo da parte delle aziende che hanno assicurato ai propri dipendenti l’accesso adeguato alle informazioni, gli strumenti necessari e i percorsi di formazione, maggiori rispetto agli altri paesi europei. Un dato rilevante – oltre la metà – riguarda la garanzia del ritorno nel luogo di lavoro in sicurezza.

Cosa rimarrà del remote working

Dei prossimi 12 mesi i dipendenti non hanno una visione rosea. Il 31% si sente intrappolato nel proprio ruolo attuale a causa dell’incertezza economica e la metà non pensa che il proprio stipendio potrebbe incrementare (18%). In un futuro più immediato, uno su cinque è pessimista rispetto alla sicurezza dell’attuale lavoro nei prossimi 6 mesi. In particolare, coloro che lavorano nel settore della ristorazione e le donne, dimostrano aspettative più basse.

Uno stipendio competitivo è l’aspetto più motivante nella ricerca di un nuovo ruolo (11,2), seguito da un buon schema di bonus e opportunità di crescita e sviluppo. I più giovani tra i 18 e i 34 anni attestano di essere maggiormente motivati nella ricerca di un nuovo ruolo che ha come obiettivo la crescita e le opportunità di formazione e crescita.

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