Home Digitale Clubhouse, cronaca di una settimana vissuta a squarciagola

Clubhouse, cronaca di una settimana vissuta a squarciagola

La parola magica del momento è Clubhouse, il social che va per la maggiore in questa prima, fredda settimana di febbraio. È un mondo che sembra muoversi e lievitare a livello esponenziale, sgorgando a velocità forsennata come un’eruzione digitale incontrollabile.

Si tratta di un’impressione che non accenna a sfumare anche dopo una settimana di frequentazione, un’impressione che ben riassume i mille e più input che vengono a chi abbia colto la novità e le potenzialità della cosiddetta “frontiera più avanzata dei social network”.

Clubhouse è incredibile: permette di recuperare sensazioni e abitudini ormai dimenticate, permettendo di intervenire in prima persona, organizzare flussi informativi, scegliere fra argomenti infiniti e recuperare quella dimensione audio che tanto ha dato, qualche decennio fa, alle generazioni oggi diversamente giovani.

Con una differenza: non si corre a casa per sintonizzarsi sul canale audio preferito. Tutto è nelle nostre mani, tutto si fa attraverso lo smartphone (per il momento solamente iPhone post-6, ma presto anche Android), in tempo reale, con la magica sensazione di prendere parte in diretta al nostro programma radio preferito.

Certo, Clubhouse potrebbe anche essere una bolla di sapone e dissolversi con l’evanescenza con cui è comparso, ma le potenzialità di cui parlavamo sembrano veramente tante, soprattutto a livello del mestiere che normalmente esercito: cioè acquisire e trasmettere informazioni in modo diretto, senza intermediari, in tempo reale.

Ma, andiamo con ordine.

Giorno 1 – Dell’entusiasmo. Ovvero, come muoversi nei corridoi di Clubhouse

L’accesso a Clubhouse, lo ha spiegato bene Donato Corvi esattamente una settimana fa, è semplice: bisogna essere invitati da qualcuno per accedere a Clubhouse.

Un limite, certo, che nasconde due problematiche di fondo: da una parte la responsabilizzazione degli utenti e, dall’altra, il mantenimento just in time del flusso delle informazioni, senza che queste possano essere registrate o riprodotte in alcun modo.

La responsabilizzazione dell’intera catena dei contatti – almeno secondo le voci che circolano sul social – è singolare.

Se io invito un contatto e questo viene espulso per motivi di vario genere (ad esempio per essere stato scoperto a registrare una trasmissione o per aver insultato un moderatore), a mia volta vengo espulso. Una bella responsabilità, niente da dire.

Ma per il momento siamo ancora tutti newbie, come si diceva ai tempi di Second Life. Lo dimostra la presenza a fianco del nostro nome di una trombetta, una sorta di icona/cornucopia festosa che indica l’entusiasmo del nuovo arrivato.

Scomparirà presto, dopo una settimana dall’iscrizione. Un “presto” che, nei tempi di Clubhouse, è un intervallo lunghissimo.

Accenno i primi passi facendomi coinvolgere da discussioni in tedesco e in inglese, poi capisco come fare e compaiono i primi contatti italiani. Parlano tutti di questo nuovo sistema di socializzazione. Intervengo e scopro di avere ottenuto due follower. Vado a dormire soddisfatto.

Photo: James Duncan Davidson – Copyright: CC BY-NC 3.0

Giorno 2 – Elon Musk e i viaggi su Marte. Ovvero, l’effimero di Clubhouse

Mi sveglio con il telefono in mano. Soffro d’insonnia, quindi i miei orari non corrispondono ancora alle frequentazioni locali. I due contatti di ieri sera sono diventati tre e mi sento appagato. Clubhouse, intanto, è un pullulare di stanze americane.

I numeri sono incredibili: 15 speaker e 450 partecipanti di media; ma non è niente rispetto a quello che succede un’ora più tardi. Elon Musk si presenta in Clubhouse anticipandolo con un tweet che in 5 minuti ottiene 4,6k like.

I server di Clubhouse vanno in tilt. Tento di entrare nella sua stanza, ma è un’illusione. 5000 contatti nello stesso momento è il limite massimo e le richieste sono cinque volte superiori. Compaiono improvvisamente un’altra mezza dozzina di stanze di utenti che trasmettono in streaming il discorso del tycoon della Tesla, operazione che costa agli stessi radiazioni immediate dal social network.

A poco a poco anche gli italiani si rendono conto del fenomeno, ma ripartono con le lunghe e monotone discussioni su cosa sia Clubhouse, quanto ci servirà rispetto a Facebook e quanto si possa pensare di guadagnare con questo nuovo sistema di comunicazione.

Mille dialoghi che si perdono in altrettanti rivoli informatici. Una cosa però è interessante, è questa la giornata dei professionisti della comunicazione: giornaliste di Radio24, direttori di quotidiani, youtuber, media manager, si incontrano di stanza in stanza.

È il loro momento, ma durerà poco. Pochi si sono resi conto della portata della presenza dell’uomo più ricco del mondo sulla piattaforma. Una vera e propria rampa di lancio che proietta clubhouse verso remote orbite marziane.

Giorno 3 – L’ossessione latente della killer application

In termini tecnici, con la denominazione killer application (o killer app) ci si riferisce a un prodotto di successo costruito su una determinata tecnologia, grazie alla quale la tecnologia stessa penetra nel mercato, imponendosi rispetto alle tecnologie concorrenti.

Ecco l’argomento principe del terzo giorno: Clubhouse decreterà la morte dei podcast? Quanto potrà affiancare LinkedIn per fare business? Rappresenta uno sbocco obbligato per gli influencer di TikTok?

Tutta una serie di argomenti che mettono in luce una grande approssimazione nelle conoscenze dei frequentatori delle stanze.

Ma come si fa a gestire una stanza? È semplice. Basta fare un tap sul pulsante verde che si trova in basso allo schermo e il gioco è fatto. Ci si trasforma improvvisamente in moderatori (una stellina bianca su campo verde apparirà accanto al nostro nome ).

Basta fare tap sul + e invitare i nostri contatti. Da quel momento avremo il potere di ammutolire i partecipanti, invitarli sul palco, rimandarli fra il pubblico o cacciarli definitivamente dal sistema.

La nostra voce aumenterà di qualche decibel e così come quella di chi condividerà con noi il potere immenso del moderatore. La stanza ha un titolo, con relativo argomento, giusto per attrarre gli eventuali visitatori.

Si possono creare stanze di tipo diverso: a libero accesso, limitate ai propri contatti o private. È questa forse la parte più interessante, che potrebbe essere studiata per monetizzare questo nuovo social network. Ma pensate un po’ quanto sarebbe bello organizzare un convegno fra persone specializzate in un certo argomento senza il rischio che qualche disturbatore possa romperci le uova nel paniere. Strade da esplorare, mondi in evoluzione.

Intanto le stanze si susseguono e dal chiacchiericcio noto che molti dei personaggi presenti stanno confessando di aver (temporaneamente) abbandonato Instagram e Twitch ed essere stati catturati nel vortice di Clubhouse. È questo un primo esempio di come certe abitudini possano scricchiolare; la nuova killer application sembra dare le prime spallate.

Giorno 4 – Il fenomeno di massa: è l’ora degli influencer

Prima era su youtube, poi compariva sui banner laterali delle homepage dei quotidiani, ora è su Clubhouse. Era solo questione di tempo. Parlo di Marco Montemagno, l’influencer italiano con base a Brighton, che non si è fatto scappare un’occasione così ghiotta per moltiplicare i suoi già tre milioni e mezzo di follower sui social media. Lo incontro il quarto giorno.

È strano che non sia arrivato prima, anche se in un giorno i suoi fedelissimi affollano la sua stanza con numeri elevati da abitudini americane. Ma non è l’unico in questo quarto giorno. Mi dirigo verso la stanza in cui compare Michelle Huntziker: i follower televisivi e il fascino della presentatrice fanno il miracolo.

Numeri da capogiro, un po’ come i numeri della room gestita da quel mattatore che è Fiorello (996 era il numero di visitatori alle 8:10 del mattino…). Mi sono immediatamente allontanato perché gli argomenti non sono di mio interesse (Sanremo, Rai, ecc.), ma i numeri comunque colpiscono.

Invece, nel mio peregrinare, noto una delle stanze più interessanti. Anzi, vengo letteralmente fagocitato, perché la moderatrice mi conosce: è una stanza organizzata dall’attrice Sara Laratro, un’artista che vive e opera a Los Angeles.

Lei ha deciso di organizzare uno dei primi spazi-training dall’interno di Clubhouse, cioè insegna ai neofiti italiani come operare con questo nuovo social. Sono settimane che lei frequenta la piattaforma e le sue competenze sono approfondite.

Siamo diventati amici e mi ha dato una serie di dritte che mi hanno permesso di organizzare questo pezzo. È bello, perché si sta dando uno scopo che condivido fortemente: risolvere i problemi della gente che bighellona (come me) fra le stanze.

Uno scopo che ricorda molto l’operatività geniale di Salvatore Aranzulla: quello cioè di diventare il punto di riferimento per chi voglia suggerimenti e soluzioni su Clubhouse, senza perdersi in particolari e in tecnicismi da nerd. Un bel lavoro, niente da dire.

Giorno 5 – Logorrea digitale e dritte sui podcast?

Il quinto giorno si apre con uno spirito da commuter. Sono le 7:35 del mattino e sto cercando di arrivare a Milano sgomitando fra macchine rimaste in lockdown per tre mesi. Stranamente non mi esaspero.

Sarà perché Clubhouse si può tranquillamente seguire dalla macchina come una qualsiasi radio digitale. Basta avere un contratto flat con una compagnia telefonica e il gioco è fatto.

Mi collego con una delle stanze che aprono alle sette del mattino. Personaggi stellati si susseguono moderati da altri personaggi che sembrano i padroni del sistema. La gente va e viene dal palco. Gli argomenti si susseguono.

Si tratta di gente preparata, di una certa età, con potenziali comunicativi abbastanza elevati. Hanno capito una cosa: il segreto – come nella pubblicità sulle riviste – è quello di creare spazi d’incontro costanti: tutti i giorni alla stessa ora.

Ma forse sarebbe il caso di darsi una regolata sui tempi: alle cinque del pomeriggio ci sono ancora gli stessi che continuano a parlare. Il numero dei visitatori è diminuito, ma loro continuano in eterno, senza tregua, come in un’apoteosi della logorrea. Mi chiedo cosa facciano nella vita di tutti i giorni e passo oltre.

Esco dalla redazione indossando le cuffiette dell’iPhone. Si parla di podcast, un argomento che mi attrae da sempre. Il podcast è un prodotto che sto sperimentando da tempo, che richiede preparazione tecnica, contenuti, gusto, sensibilità, idee. Tutto si gestisce con una produzione che fa perdere quasi completamente l’aspetto della spontaneità. Il podcast è la ricerca della perfezione e della programmazione. Eppure, per la sua dimensione audio, il podcast viene continuamente paragonato a Clubhouse, anche se ne è esattamente il contrario.

In Clubhouse non c’è nulla di preparato (entro certi limiti), la spontaneità la fa da padrona, gli errori, se ci sono, fanno al massimo perdere qualche follower. Nulla rimane, tutto si perde in un turbine evanescente di dati digitali.

Ne parla un gruppo a cui mi sto affezionando e che seguo da un paio di giorni. In realtà lo seguo trasversalmente su LinkedIn attraverso il gruppo Podcaster Italiani. Stanno facendo un lavoro eccellente quei ragazzi, spiegando finalmente quello che vuol dire veramente fare podcasting.

Hanno creato una stanza che si presenterà al pubblico settimanalmente e che aiuta i potenziali (ed effettivi) podcaster a fare le migliori scelte in un campo che è ancora poco esplorato, pieno di tranelli e ricco di potenzialità. Mi piace il format e mi piace il calore con cui mi accolgono. Ho scoperto dopo qualche giorno che i miei follower hanno magicamente sfondato quota cento. La cosa mi elettrizza.

Giorno 6 – Tiriamo le somme

Prima del suono della sveglia l’iPhone mi avverte che c’è un messaggio in arrivo. Mi comunica che in giornata, alle 16:45, si aprirà una stanza sull’allevamento dei mastini.

Non c’è niente da ridere.

Finalmente non si parla più di Clubhouse e si cominciano a cercare nuovi argomenti. La cosa interessante è che il sistema mette a disposizione uno strumento per programmare l’apertura delle stanze.

I follower del moderatore vengono avvertiti dell’imminenza dell’appuntamento collegandosi direttamente al Google o all’Apple Calendar, permettendo a chiunque di programmarsi la giornata.

Sono le sette meno un quarto e il mondo di Clubhouse si sta svegliando: noto il titolo di una stanza che mi fa scappare come un vampiro di fronte a un’acquasantiera: “Regime forfettario e partita IVA“.

È una stanza serissima tenuta da esperti in giacca e cravatta, competenti, raffinati, professionali. Subito sotto (le stanze si presentano a cascata sulla pagina principale dell’app) compaiono un paio di stanze sulla crisi politica e su Mario Draghi, un’altra sulla meditazione e un’altra ancora sui commenti alle partite del fine settimana. È pazzesco: altro che spendere soldi in consulenze fiscali o in consigli psicologici. Basta collegarsi a Clubhouse e s’incontra qualcuno che la sa lunga su un argomento e che è disposto a darti un parere. Fantastico.

Guardo i follower e scopro di aver sfondato quota 180. Incredibile, davvero. Dopo neanche una settimana.

Certo, ho dedicato un po’ di tempo negli ultimi giorni a questo nuovo giocattolo digitale, ma non me ne pento. Sono riuscito a vedere potenzialità incredibili, ma anche criticità come quella di perdere giornate intere ascoltando un chiacchiericcio che può diventare ingombrante e senza scopo. Eppure, come fonte di relazioni, Clubhouse mi ha rapito e sono convinto che non sia solo un’impressione.

Ne parlo in modo entusiasta come parlavo di Internet nel 1993, con la frenesia del giocattolo di cui intravedevo grandi possibilità. E alla fine il tempo mi ha dato ragione.

Certo, potrebbe alla lunga diventare una dipendenza, soprattutto con l’idea di acquisire quanti più follower possibile. Eppure non lo reputo un limite, anzi. I contatti oggi sono moneta sonante.

Riccardo Busetto è su Clubhouse: @riccardobusetto

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