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Banche: che lavoro faranno i bot

Eric Kline, Vice President Eastern Europe di Citrix, parla del futuro del retail banking e del lavoro che sarà affidato ai bot.

I servizi di messaggistica di testo sono attivi da anni ma è stato solo lo scorso anno che abbiamo assistito alla nascita dei chatbot, in parte grazie a Facebook che ha lanciato all’inizio di marzo Bot for Messenger.

Dal lancio di Facebook, gli sviluppatori hanno creato circa 11.000 bot ed alcune banche sono state abbastanza coraggiose da sperimentare già quest’opzione per capire quale ruolo potrebbero avere i bot nel retail banking.

American Express ha recentemente lanciato un bot Messenger che offre ai clienti l’accesso ai loro conti, dicendo quando è stato fatto un acquisto con la loro carta AMEX e offrendo informazioni sugli acquisti passati. La banca danese Lunarway ha anche introdotto un bot Facebook che risponde a semplici domande come il controllo dell’estratto conto o l’esecuzione di un bonifico, ma ha in progetto di proseguire ulteriormente su questa linea.  In Francia, Société Générale ha lanciato un bot su Facebook Messenger e Bank of America ha in progetto di fare lo stesso.

Presto i clienti potranno usare le loro app di messaggistica favorite – Slack, Messenger, Skype o Telegram – per comunicare anche con una serie di servizi online (inclusi quelli bancari) in un flusso naturale di conversazione.

Ma solo poche banche sono nella posizione di potersi permettere di sperimentare; per la maggioranza, questo rappresenta uno spazio ambiguo che deve essere capito bene, prima che venano fatti investimenti significativi.

Dove entrano in gioco soldi e informazioni sensibili, infatti,  la posta è molto alta. Un recente studio di Forrester afferma che le banche dovrebbero aspettare due o tre anni prima di investire in servizi chatbot di customer service, mentre per il presente raccomanda di lavorare con i propri partner tecnologici per focalizzarsi su iniziative digitali di base che permetteranno di abilitare bot migliori e servizi basati in futuro sull’intelligenza artificiale.

Ci sono diverse ragioni per agire così, ma essenzialmente si tratta del fatto che la tecnologia non è ancora matura e non è possibile creare una vera conversazione dando al cliente ciò che chiede. Affinché i bot possano diventare di comune utilizzo, devono essere facili da usare, con capacità altamente funzionali di elaborare il linguaggio naturale. Lo studio di Forrester dimostra che sebbene alcuni chat bot siano in grado di offrire una risposta veloce ed efficace, circa un terzo dei bot esistenti finisce per non soddisfare pienamente le esigenze del cliente, offrendo infine un’esperienza utente piuttosto povera. È bene infatti tener presente che nessun cliente di una banca è disposto ad accettare problemi nelle operazioni di pagamento o nei trasferimenti di denaro con ripercussioni significative.

I bot sono le nuove app?

Le ricerche sono concordi nel dimostrare che gli utenti di smartphone dedicano il tempo che trascorrono sullo smartphone a poche app selezionate, spesso un browser, un paio di chat e di social, e un gioco o due, mentre un quarto  delle app scaricate vengono abbandonate dopo un utilizzo o due.  È chiaro che in un simile scenario le banche si stiano senz’altro chiedendo se i bot sono le nuove app.

Siamo in realtà in un momento in cui la linea tra app e bot è abbastanza confusa, soprattutto nel settore bancario. Digit, per esempio, è un’app intelligente che si connette al conto di un cliente e analizza i suoi guadagni e le sue abitudini di spesa,  e ogni pochi giorni individua una piccola somma che può essere risparmiata senza che il conto del cliente vada in rosso.

Anche ING ha lanciato un’app di pagamento peer-to-peer-chiamata Twyp, che permette di pagare piccolo somme di denaro a contatti presenti sul dispositivo mobile dei cliente nel giro di pochi secondi.

In un contesto di mercato in cui le app di messaggistica sono sempre più popolari, non c’è motivo di pensare che, a fronte di un’adeguata sperimentazione app e bots non possano coesistere sugli smartphone degli utenti insieme alle applicazioni  e altre tecnologie future che saranno inventate.

La strada verso il digital banking

Non c’è dubbio che le banche debbano essere sicure di avere un’infrastruttura capace di rispondere alle sfide digitali del prossimo futuro ma questo richiede tempo, soldi e una comprensione profonda di dove gli sforzi debbano essere indirizzati. Invece di fare importanti investimenti oggi sui chat bot o altre innovazioni emergenti, le banche dovrebbero utilizzare i prossimi due anni per focalizzarsi sull’integrazione dei sistemi di back-end, migliorare le infrastrutture dati, rimuovere ogni Sistema legacy e silos che possa in qualche modo limitarle. Devono in conclusione essere capace di soddisfare i loro clienti oggi e nel prossimo futuro sviluppando nuovi servizi e incubando nuove idee.

Per molte si tratta di una sfida non da poco, ben rappresentata dal modelli IT bimodale, ossia la pratica di gestire due stili di lavoro separati ma coerenti: uno focalizzato sulla prevedibilità, l’altro sull’esplorazione. Così, mentre le banche dovrebbero concentrarsi sulla digital transformation, devono anche esplorare e sperimentare modi di risolvere nuovi e vecchi problemi senza mai perdere di vista la soddisfazione del cliente.

Equilibrio tra la tecnologia e l’interazione umana

La corsa delle banche per essere le prime banche digitali è aperta ma è ancora all’inizio. Le più evolute stanno imparando come adottare un approccio mobile first e reimmaginare l’esperienza cliente, dall’aprire un conto corrente al comprare una casa o stipulare un prestito. Mentre molte hanno iniziato a migrare i propri clienti dalla filiale o dal call center a un canale digitale, bisogna considerare le differenze culturali e le specificità di ogni Paese prima di decidere quale ritmo imprimere al cambiamento. In Olanda, per esempio, le banche stanno diventando mobili molto velocemente, e secondo un recente studio di Bain, l’utilizzo dei servizi mobili è cresciuto di 4 volte negli ultimi due anni, mentre le filiali hanno un ruolo sempre meno importante. Il contrario accade invece in Italia, che è invece molto indietro (in particolare l’Italia è in fondo alle classifiche europee con il 26% della popolazione che usa l’internet banking contro il 44% nella EU-28).

Mediamente, per le banche, la priorità attuale è trovare il modo per migrare le attività di routine dalla filiale ai canali digitali self service.  Ma è importantissimo che l’esperienza mobile o digitale sia sufficientemente piacevole per il cliente e rimuova ogni tipo di frustrazione che poteva avere in filiale. Oggi, i clienti non sono per lo più pronti a un’esperienza completamente automatizzata che rimuova del tutto il fattore umano, sebbene vedano sempre più spesso il passaggio da filiali e call center per effettuare le transazioni di cui hanno bisogno più come un ostacolo. È importantissimo trovare il giusto equilibrio, le interazioni umane sono ancora importanti e secondo Bain, i clienti che usano sia i canali fisici che quelli digitali tendono essere più fedeli alla loro banca principale.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che il ruolo delle filiali e degli staff front desk si stia evolvendo in modo significativo. I dipendenti hanno ancora un ruolo importante da giocare, soprattutto per quanto riguarda le transazioni più complesse, ma si vedranno sempre di più interagire con clienti attraverso chat o video. Dutch bank ABN Amro, per esempio, ha iniziato a offrire consulenze sui mutui via webcam, in modo che i clienti non debbano andare in filiale a ritirare opuscoli cartacei.

Tempi interessanti si prospettano per le banche, soprattutto in Europa. Mentre i chatbot potranno essere i futuri impiegati bancari, oggi per le banche è importante considerare il quadro nel suo complesso, e focalizzarsi sulle iniziative che aiutino a mantenere intatta al fedeltà del cliente.

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