Attivare la cassa integrazione guadagni straordinaria

In dettaglio, tutte le modalita da seguire per avviare la procedura CIGS, sia dal punto di vista amministrativo sia da quello dei pagamenti. Ma anche della riqualificazione dei lavoratori posti in cassa integrazione.

Procedura sindacale
L’imprenditore che intenda richiedere l’intervento della CIGS è tenuto a darne comunicazione (anche in caso di chiusura di un’intera unità produttiva: Cass. 16.6.2005, n. 12940) alle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia (art. 2, c. 1, D.P.R. 10.6.2000, n. 218).
Entro tre giorni dalla comunicazione, l’imprenditore o i rappresentanti dei lavoratori devono presentare domanda di esame congiunto della situazione aziendale all’Ufficio competente della regione nel cui territorio si trovano le unità aziendali interessate.
Costituisce oggetto dell’esame congiunto il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonché delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione (Cass. 29.11.2005, n. 25952, ha chiarito che la rotazione, a norma dell’art. 1, c. 7, L. n. 223/1991, forma oggetto di “esame congiunto”; pertanto, se l’esame congiunto sfocia in un accordo, questo è la fonte dell’obbligo di rotazione, se non vi è accordo, scattano le procedure ministeriali di cui al medesimo art. 1, c. 8, ossia il Ministro del lavoro invita le parti a raggiungere un accordo e, con proprio decreto, dispone l’adozione della rotazione con modalità determinate tenendo conto delle proposte formulate dalle parti).
La procedura sindacale deve esaurirsi entro 25 giorni (10 giorni per le aziende fino a 50 dipendenti).

Rotazione dei lavoratori
Il datore di lavoro deve alternare tra loro i lavoratori sospesi o a orario ridotto che espletano le medesime mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata dalle sospensioni, in modo che la minore retribuzione derivante dall’integrazione salariale non venga a gravare solo su alcuni di loro.
L’impresa che non intenda adottare meccanismi di rotazione deve indicarne i motivi nella richiesta di intervento e la mancata applicazione dei criteri di rotazione stabiliti comporta, per il datore di lavoro, la corresponsione del contributo addizionale per ciascun lavoratore interessato in misura doppia e in misura ulteriormente maggiorata se il trattamento di integrazione si protrae oltre il 24° mese..

Scelta dei lavoratori da sospendere
Secondo un consolidato orientamento della Cassazione, in materia di scelta dei lavoratori operano i seguenti principi: i criteri, fissati dal datore di lavoro o dall’accordo collettivo, devono essere obiettivi e razionali (Cass. 21.9.2006, n. 20455), rispettare i principi di equità, correttezza e buona fede e, comunque, evitare qualsiasi discriminazione (sulla differenza tra i concetti di scelta non conforme ai criteri concordati con gli accordi sindacali e alle finalità specifiche dell’istituto – c.d. limite interno del potere datoriale di sospensione – e quello di scelta discriminatoria – c.d. limite esterno del potere di sospensione, vedi Cass. 5.8.2005, n. 16537); il provvedimento del datore di lavoro rimane unilaterale anche se recepisce un accordo sindacale e, come tale, sempre impugnabile anche dai lavoratori iscritti; la violazione dei criteri inficia la scelta in maniera diversa, a seconda del tipo di illegittimità commessa: la rende nulla, con effetti ripristinatori, se determinata da motivi illeciti o discriminatori; la rende invece annullabile, con effetti solamente risarcitori, se effettuata in malafede o commettendo scorrettezze, senza razionalità o obiettività. Il Ministero del lavoro ha chiarito che per la comunicazione e diffusione dei dati dei lavoratori posti in mobilità, anche se di natura sensibile, non è necessario acquisire il consenso degli interessati né un’autorizzazione del Garante per la privacy e che la divulgazione dei dati a soggetti pubblici è ammessa quando sia necessaria per svolgere le funzioni istituzionali delle amministrazioni interessate (M.L. nota n. 5818/2006).
Di recente la Suprema Corte ha precisato che qualora sia intervenuto un accordo tra datore di lavoro e sindacato con il quale vengono concordati i criteri di individuazione del personale da porre in cassa integrazione, può farsi a meno della comunicazione di cui all’art. 1, comma 7, L. n. 223/1991, mentre se mediante l’accordo sindacale si pongono solo alcuni limiti alla scelta discrezionale del datore di lavoro, che rimane tuttavia espressione del suo unilaterale potere direttivo, è necessario comunque, per la piena realizzazione dell’esigenza informativa ad essa sottesa, che il datore di lavoro effettui la comunicazione prescritta dalla norma citata (Cass. 3.5.2004, n. 8353 cfr. anche, sulla violazione dell’accordo, Cass. 7.2.2006, n. 2555). L’intervenuto accordo tra datore di lavoro e sindacato supera ogni eventuale anomalia formale attinente alle modalità di consultazione, essendo stata comunque raggiunta la finalità dalle stesse perseguite (Cass. 2.8.2004, n. 14721).
Riguardo all’effettività dei criteri di scelta individuati dall’accordo sindacale, la Suprema Corte ha affermato che la procedura di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 223/1991 è finalizzata alla tutela non solo di interessi delle organizzazioni sindacali, ma anche dell’interesse pubblico, correlata all’occupazione in generale ed ai costi della mobilità e dell’interesse dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro e, in particolare, alla verifica dei criteri di scelta sotto il profilo del loro carattere di generalità, obiettività e coerenza con il fine dell’istituto della mobilità, sicché è da escludere che l’accordo tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali faccia perdere rilevanza al radicale stravolgimento della procedura medesima. In secondo luogo, secondo la Corte deve essere considerato nullo, per contrasto con norma imperativa (art. 5 della legge n. 223/1991) un accordo che (di fatto) individui direttamente lavoratori da licenziare anziché dettare effettivi criteri di scelta (Cass. 15.5.2006, n. 11101).
Modalità di rotazione
In ordine al criterio della rotazione (che per legge costituisce la regola per l’integrazione straordinaria, anche in assenza di accordo sindacale), con un intervento a Sezioni Unite la Suprema Corte ha precisato che il datore di lavoro che non ritenga di adottarlo ha l’obbligo di indicare i motivi ostativi; pertanto, la violazione di tale obbligo configura un’ipotesi di condotta antisindacale ex art. 28 della L. n. 300/1970 e, incidendo direttamente sul provvedimento finale di concessione del beneficio di sospensione dell’attività lavorativa, può essere impugnato anche dai singoli lavoratori al fine di conseguire, previo accertamento incidentale dell’illegittimità del decreto ministeriale di autorizzazione, il pagamento dell’intera retribuzione per il periodo di sospensione dal lavoro (Cass. S.U, 11.5.2000 n. 302; Cass. 19.8.2003, n. 12137).
Sulle conseguenze del mancato rispetto del criterio di rotazione, vedi Cass. 12.10.2006, n. 21820, secondo cui il lavoratore collocato in cassa integrazione in base ad un accordo che preveda la rotazione ha diritto al risarcimento del danno contrattuale in caso di mancato rispetto, da parte dell’azienda, della clausola. La cassa integrazione determina, infatti, nella vigenza del rapporto lavorativo, una quiescenza della funzionalità del sinallagma fra prestazione e retribuzione: in questo stato di quiescenza, la lesione del diritto del lavoratore è inadempimento contrattuale. Come l’illegittimo allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro per effetto di un non corretto esercizio dei poteri del datore, in egual modo la violazione del diritto del lavoratore a rientrare in servizio, dopo un periodo di cassa integrazione in base a prefissati criteri di rotazione costituisce un illecito contrattuale, da cui consegue il diritto del dipendente al risarcimento del danno (ex art. 1218 cod. civ.); il diritto resta assoggettato alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2948 n. 4 cod. civ.
Comunicazione dei criteri di scelta
Più in generale, la giurisprudenza è consolidata nel senso che la mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori renda illegittimo il loro collocamento in cassa integrazione, perché preclude la verifica del corretto esercizio dei poteri imprenditoriali 288_359.qxd 22/03/2010 18.15 Pagina 351 (Cass. 26.1.2006, n. 1550).
La Suprema Corte ha infatti rilevato che il nono comma dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui fa obbligo all’impresa di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, è diretto a rendere trasparente la scelta operata dall’imprenditore, così da porre i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizione di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi eventualmente raggiunti. Così, non soddisfa tale esigenza la sola trasmissione dell’elenco dei lavoratori licenziati con i rispettivi dati personali, pure richiesta dal comma nono, e l’astratta indicazione dei criteri di scelta adottati. L’effettiva garanzia di imparzialità viene invece assicurata dalla conoscenza delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta, e pertanto le comunicazioni di cui al comma nono dell’art. 4 assumono importanza decisiva, assolvendo la funzione di fornire di concreta motivazione i singoli recessi (nel caso in esame, a fronte dell’indicazione che erano stati applicati in concorso tra loro i criteri di legge, erano mancate sia la precisazione delle modalità concrete con cui gli stessi erano stati fatti interagire, sia l’indicazione di tutti i lavoratori su cui i criteri di scelta erano stati applicati e dei relativi dati significativi: anzianità, carichi di famiglia ecc.): Cass. 20.12.2004, n. 23607.
Riduzione di personale
Ultimamente la Cassazione è intervenuta a specificare che, in caso di riduzione di personale, la soppressione di un reparto non è sufficiente a giustificare il licenziamento dei dipendenti ad esso addetti, se la loro professionalità consente di utilizzarli in altri settori (Cass. 3.5.2006, n. 10198). Infatti, argomenta la Corte, seppure nel licenziamento collettivo per riduzione del personale l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al “complesso aziendale”, cui fa riferimento l’art. 5 della legge n. 223/1991 ciò tuttavia non può avvenire in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro ma richiede che la predeterminazione del limitato campo di selezione (reparto, stabilimento ecc., e/o singole lavorazioni o settori produttivi) sia giustificata dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale.
Nei casi in cui il datore di lavoro, che procede alla riduzione del personale ai sensi dell’art. 24 L.
n. 223/1991, intenda sopprimere in applicazione del criterio tecnico-produttivo (cui la riferimento l’art. 5 della legge) un reparto della sua impresa, non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei – per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda con positivi risultati – a occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. In tali casi, per il criterio della correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. deputato a presiedere la soluzione in forma equilibrata di conflittuali interessi delle parti – ha affermato la Corte – la scelta dei lavoratori da porre in mobilità non può essere limitata ad un solo reparto, ma deve riguardare un ben più esteso numero di dipendenti (nello stesso senso, Cass. 11.3.2005, n. 5353). D’altronde la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che anche in caso di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo si debbano rispettare, nella scelta dei destinatari del provvedimento, le regole di correttezza di cui all’art. 1175 cod. civ., che si concretano nella comprovata impossibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore licenziato fra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità (Cass. 2.5.2006, n. 10111).
Le scelte del datore di lavoro sono comunque soggette al controllo del giudice: in caso di impugnazione del licenziamento per riduzione del personale, il datore di lavoro deve provare di avere applicato correttamente i criteri di scelta, raffrontando la posizione del lavoratore licenziato con quella dei dipendenti rimasti in servizio e dimostrando che tutti i lavoratori mantenuti in servizio erano stati correttamente esclusi, in base a tali criteri, dal licenziamento (Cass. 10.4.2006, n. 8307).

Procedura amministrativa: il decreto ministeriale
Entro 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro, l’impresa deve presentare o inviare la domanda di concessione della Cigs (mod. CIGS/Solid-1) al Ministero del lavoro – Direzione generale degli ammortizzatori sociali. Nel caso di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale la domanda è presentata anche al Servizio ispezione del lavoro della Direzione provinciale competente in base all’ubicazione dell’unità interessata all’intervento.
Il termine di presentazione sopra indicato si applica anche alle domande di proroga della concessione della cassa integrazione straordinaria. Nel caso di presentazione tardiva della domanda, l’eventuale trattamento non potrà avere luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione (per l’inapplicabilità di tale criterio sanzione ai casi di aziende che  hanno comunque garantito la continuità retributiva anticipando ai lavoratori il trattamento a carico Inps: ML nota n. 1601/2008). Qualora dall’omessa o tardiva presentazione della domanda derivi a danno dei dipendenti la perdita totale o parziale del diritto all’integrazione salariale, l’imprenditore è tenuto a corrispondere ai lavoratori stessi una somma d’importo equivalente all’integrazione salariale non percepita.
Qualora l’impresa richieda la concessione della Cigs con pagamento diretto ai lavoratori da parte dell’Inps delle integrazioni salariali – e con riferimento alle sospensioni successive al 1° aprile 2009 – la la domanda deve essere presentata o inviata entro 20 giorni dall’inizio della sospensione o della riduzione di orario (art. 7 ter, c. 2, D.L. n. 5/2009, conv. L. n. 33/2009).
La domanda – che può essere inoltrata anche per via telematica – deve essere riferita ad un periodo massimo di 12 mesi e deve recare in allegato il verbale dell’esame congiunto con le rappresentanze sindacali (art. 3, c.1, D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218).
Il decreto di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale è emanato entro i seguenti termini:
30 giorni dalla data di ricezione della domanda, nei casi di crisi aziendale e, relativamente al primo periodo semestrale di intervento nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale;
30 giorni dalla data di ricezione della relazione ispettiva della Direzione provinciale, relativamente al secondo periodo semestrale nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale;
60 giorni dalla data di ricezione della domanda, relativamente ai periodi successivi ai primi 12 mesi di intervento nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale.
Qualora i programmi di ristrutturazione, conversione o riorganizzazione aziendale riguardino imprese con più di mille dipendenti con unità situate in almeno due regioni i termini stabiliti per l’emanazione del decreto sono i seguenti:
60 giorni dalla data di ricezione della domanda, relativamente al primo periodo semestrale di intervento;
30 giorni dalla data di ricezione della relazione ispettiva della Direzione provinciale, relativamente al secondo periodo semestrale ovvero 60 giorni se viene richiesta la valutazione del comitato tecnico;
90 giorni dalla data di ricezione della domanda, relativamente ai periodi successivi ai primi 12 mesi di intervento.
I termini di cui sopra possono essere sospesi per motivate esigenze istruttorie per un periodo non superiore a 20 giorni, prorogabili di altri 10 in presenza di difficoltà tecniche.

Procedura amministrativa: l’autorizzazione da parte dell’Inps
Dopo la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, il datore di lavoro presenta la domanda di autorizzazione (mod. I.G.I. 15/Str) alla sede INPS competente per territorio. La domanda deve essere presentata entro 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana nella quale il decreto è stato pubblicato.
Tranne il caso di concessione con pagamento diretto, l’INPS autorizza il datore di lavoro a porre a conguaglio le integrazioni erogate e comunica l’eventuale obbligo di corrispondere il contributo addizionale cui sono tenute le imprese che si avvalgono dell’intervento della Cigs, escluse quelle soggette a procedure concorsuali.

Pagamento diretto
Il Ministero del lavoro può disporre il pagamento diretto ai lavoratori, da parte dell’Inps, del trattamento straordinario di integrazione salariale quando per l’impresa ricorrano comprovate difficoltà di ordine finanziario.
Il pagamento diretto è disposto contestualmente all’autorizzazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria, fatta salva la successiva revoca nel caso in cui il Servizio ispettivo accerti l’assenza delle accennate difficoltà di ordine finanziario (art. 2, c. 6, L. n. 223/1991, come da ultimo modificato dall’art. 7 ter, c. 1, D.L. n. 5/2009, conv. L. n. 33/2009).

Formazione e riqualificazione dei lavoratori in cigs
In via sperimentale, per il biennio 2009 – 2010, al fine di incentivare la conservazione e la valorizzazione del capitale umano nelle imprese, i lavoratori percettori di trattamenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro possono essere utilizzati dall’impresa di appartenenza in progetti di formazione o riqualificazione che possono includere attività produttiva connessa all’apprendimento. L’inserimento del lavoratore nelle attività del progetto può avvenire sulla base di uno specifico accordo stipulato, in sede ministeriale, dalle medesime parti sociali che sottoscrivono l’accordo relativo agli ammortizzatori. Il datore di lavoro corrisponde al lavoratore la differenza tra l’importo del trattamento di sostegno al reddito e la retribuzione. Tale somma addizionale ha natura retributiva
(art. 1, c. 1, D.L. n. 78/2009, conv. L. n. 102/2009; Inps mess. n. 16508/2009).

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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