Home Mercato Apre Forum PA, tra Spid, AgId e voglia di trasformazione

Apre Forum PA, tra Spid, AgId e voglia di trasformazione

Anche Forum PA esce dalla digitalizzazione della cosa pubblica, abbracciando le istanze del social business e integrandole con le azioni di modernizzazione interna. È questa la coppia motrice dell’edizione 2016 del Forum, che si apre oggi al Palacongressi di Roma, che lo ospiterà fino al 26 maggio.
Il piano triennale di attuazione dell’Agenda digitale sembra essere il punto di gravità principale d’un evento che per forza di cose presenta quest’anno numerosi punti secondari d’attrazione. AgId presenterà una prima versione di questo piano il 25 maggio.
Il Piano è al centro della trasformazione reale della PA centrale e locale, delle aspettative sulla piena realizzazione di Italia Login non prima del 2017 (Anagrafe unica, Spid e PagoPA) e del piano banda ultralarga 2014-2020, della lenta evoluzione della Sanità digitale.

Siamo ancora un cantiere digitale

Come si può vedere, nelle date non c’è nulla di percentualmente concreto, ma solo lavori in corso che inizieranno a mostrare il reale avanzamento ad inizio 2018. La metafora usata dagli organizzatori del Forum per annunciare l’intensificazione dell’impegno d’informazione è proprio questa: i Cantieri della PA digitale sono dieci nuovi canali tematici di approfondimento, un grande sforzo che verrà ben ripagato se le date di completamento delle infrastrutture digitali saranno quelle degli ultimi annunci, al più con qualche mese di ritardo. Ma c’è di più.

L’avvento della società ibrida

Un elemento che ormai è chiaro ai commentatori è l’impossibilità per la cosa pubblica di svolgere la funzione di redistribuzione economica e di guida al mercato (vecchio e nuovo) che era al centro dei compiti per i quali è nata. Così come la politica è stata scavalcata dalla società civile, adesso lo Stato viene scavalcato dal social business, al quale spesso ci rivolgiamo nell’ambito dell’economia collaborativa.
Anche Forum PA sente questo cambiamento. Per trattarlo adeguatamente esce dalla PA, cataloga le nuove forze esterne al sistema e si chiede come possano modificare la cosa pubblica. Ad analizzare la pressione esterna è chiamato Jeremy Rifkin, molto dedito a progetti reali sul ruolo della Pa in una società ibrida, in parte old economy, in parte collaborative commons (altro modo di definire il nuovo ambito).
A priori la nuova spinta sociale dovrebbe essere valorizzata dal settore pubblico, ed anzi incrementata per mostrare il suo pieno valore. Ma apparentemente non è così, almeno in Italia, come sembra mostrare la proposta di legge su Sharing economy e Pa collaborativa: sviluppata grazie al lavoro del meritorio intergruppo parlamentare sull’innovazione, la proposta sembra impostata su un antico approccio “permission based”, che favorisce le grandi aziende e penalizza le nuove iniziative che grazie alla sperimentazione mappano il nuovo mondo che vanno creando con nuove soluzioni di servizi disintermediati. Un forte esempio nella sanità arriva dal modello del Centro medico Sant’Agostino di Milano, come raccontato da Michele Buono su Report, nel quale la social enterprise scavalca la cosa pubblica con beneficio di tutti, semplicemente ridisegnando i processi di erogazione dei servizi sanitari, includendo anche il cliente.

Stato e Regioni come legacy system

Se la cosa pubblica diventa un mainframe, insomma, è il momento di gestirla come un legacy system. L’esperienza Ict mostra che smantellarla è rischiosissimo e comunque costosissimo, ed è meglio imparare ad interfacciarlo con il nuovo, che ancora cerca la sua formula di successo.
Nel modello digitale sembra essere insita una contraddizione, un paradosso, che si vede chiaramente nella gestione della cosa pubblica.
La disponibilità d’infrastrutture che generano e gestiscono grandi quantità di dati impone una gestione quantitativa, da fare attraverso metriche certe basate proprio sulle grandi molti di dati raccolti e disponibili, ovvero big open data.
La raccolta di questi dati richiede l’omogeneità dei sistemi in analisi.
D’altro canto, la disintermediazione rende più facile creare e sperimentare con strutture libere, tutte diverse tra loro. In una sola parola, la disintermediazione frammenta.
È qui il paradosso: il digitale richiede omogeneità, ma in realtà frammenta. La ricomposizione d’una immagine completa attraverso la giustapposizione di tante piccole situazioni diverse richiede un forte lavoro d’interpretazione e pulizia dei dati, che a questo punto sono stati elaborati avendo in mente un punto d’arrivo, e non in purezza. Quello che è aperto è quindi l’interpretazione dei dati, più che i dati grezzi.

 

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