Saltano i meccanismi formali: 1 top manager su 2 va per intuizione. Fondamentale è la qualità dei dati in input. I risultati dell’indagine commissionata da Business Objects.
I c-level hanno una fiducia limitata nell’efficienza dei processi decisionali
aziendali. È quanto emerge da una recente ricerca effettuata da The Economist
Intelligence Unit (e commissionata da Business Objects) su un campione di 154
senior executive di tutto il mondo, appartenenti a realtà di 19 settori
diversi con un fatturato per il 47% dei casi sotto i 500 milioni di dollari.
Oltre a nutrire dubbi sull’efficienza dei processi, gli intervistati
hanno denunciato anche una scarsa fiducia nella qualità delle decisioni
(solo uno su 10 ritiene che le scelte si rivelino sempre corrette).
I dati sono considerati l’input più rilevante, a patto che siano
di qualità (il 56% del management è preoccupato, infatti, di prendere
decisioni sbagliate proprio a causa di dati errati, imprecisi o incompleti).
Le differenze a livello geografico e dimensionale
Negli approcci al decision-making abbondano, comunque, differenze geografiche.
Gli asiatici, per esempio, si fidano più dell’intuito e della capacità
di giudizio, mentre gli europei tendono a confrontarsi con i propri pari: tutte
differenze che mostrano come sia difficile applicare in modo uniforme gli stessi
processi decisionali all’interno di culture diverse.
A livello dimensionale, dall’indagine emerge anche che, rispetto ai colleghi
di imprese dalle dimensioni maggiori, gli executive delle realtà più
piccole credono di più nell’efficienza dei propri processi, sono
più inclini al confronto e, soprattutto, meno preoccupati del sovraccarico
di dati.
«Nel 55% dei casi delle aziende intervistate – ha chiarito
Gareth Lofthouse, director Europe industry and management Economist Intelligence
Unit – il processo decisionale è ampiamente informale e non strutturato,
basato su consultazioni ad hoc. In generale, la maggior parte degli executive
si dichiara soddisfatto di questo tipo di scelta: solo il 29% ritiene che strutture
decisionali carenti siano causa di scelte sbagliate, mentre per molti le decisioni
strategiche richiedono soprattutto forte intuizione». Eppure, non
c’è dubbio che una metrica comune e un maggiore uso di strumenti
automatizzati (come le dashboard) offrirebbero un grande supporto decisionale.
«Sicuramente – ha proseguito Lofthouse – i responsabili
aziendali ritengono che la tecnologia possa giocare un ruolo chiave nell’ottimizzazione
dei processi decisionali, velocizzando e semplificando l’accesso a grandi
quantità di dati. Tuttavia, al momento molti executive non si sentono
ancora pronti a usare tool in grado di affinare le scelte». È
un segnale per i vendor: offrire strumenti più user-friendly è
fondamentale per conquistare anche gli uomini di business meno tecnici.
Nella pratica questi sono i cinque ingredienti per un buon processo decisionale:
- Qualità elevata del dato
- I dipendenti devono essere tecnicamente formati
- Sana capacità di giudizio
- Trasparenza nelle decisioni del management
- Flessibilità dei processi decisionali





