Media digitali: un mercato da quasi 5 miliardi di euro

Rispetto al 2009 la crescita è di circa il 9%. La diffusione dei tablet e la fruizione da smartphone stanno rivoluzionando il settore, ma è difficile delineare un modello di business condiviso. E gli editori devono passare da Media Company a Media Entrepreneur. L’analisi della School of Management

Dopo un 2009 da dimenticare, il settore dei Media mostra qualche segno di risveglio. Secondo i dati dell’Osservatorio su New Media & Tv, realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano, il mercato dei Media tricolore nel 2010 fa registrare un +3% a quota a 16.942 milioni di euro. Una nota certo positiva, ma che va confrontata con un -10% accumulato nel 2009, quando il mercato crollò da 18.124 a 16.408 milioni di euro.

Per capire di cosa stiamo parlando, il settore dei Media comprende stampa, radio, Internet, Tv (sia ricavi pay che pubblicità), ma non ad esempio la cartellonistica, il cinema, il download di film, le varie forme di entertainment. Insomma, viene considerato solo quello che ha una forte valenza di contenuti erogati con continuità e non l’advertising puro.

Il 2010 ha confermato una serie di trend. Primo fra tutti: la televisione non solo è il componente che pesa di più (55%) ma che è anche in crescita (+4% rispetto al 2008) a scapito della stampa (-6%).

Cresce Internet (passa dal 4% al 6,5% del mercato totale), mentre soffre il Mobile (dal 2% all’1,5%), a causa di un cambio di modello che dagli Sms a valore e dal Wap sta migrando verso le Apps.

Focalizzando l’attenzione sui Media digitali (Internet, Mobile, Sofa-Tv, ovvero le piattaforme televisive digitali), i dati dell’Osservatorio evidenziano una crescita complessiva del 9% per quasi 5 miliardi di euro . E’ il frutto di una buona crescita della pubblicità su Internet (+13%), di un aumento del 9% dei ricavi da Sofa-Tv e una sostanziale stabilità della componente Mobile.

E mentre il mondo Internet è dominato dal modello advertising, per la componente Mobile e per quella Sofa-Tv è il modello pay a farla da padrone”, spiega Andrea Rangone coordinatore degli Osservatori Ict & Management della School of Management del Politecnico.

In particolare, per quanto riguarda la componente Media su Internet, i ricercatori del Politecnico evidenziano due dinamiche di mercato interessanti per il 2010: l’importante sviluppo dei Social Media (21 milioni sono gli utenti italiani registrati ad almeno un Social Network) testimoniata anche dal tempo medio speso sui social (7 ore al mese, il che fa dell’Italia il secondo paese a livello mondiale dopo l’Australia).

Il secondo trend è la proliferazione dei video, usati ormai da qualsiasi editore per arricchire l’offerta: tanto che a fine 2010 erano quasi 15 milioni gli utenti unici mensili che fruiscono di video online.

Parallelamente si osservano altri due fenomeni: la migrazione repentina del concetto di Application Store dal mondo degli smartphone a quello dei Pc e il lancio dell’iPad e in generale dei Tablet come nuovi terminali per fruire dei contenuti Internet.

Su questo versante, i ricercatori del Politecnico hanno trovato 126 applicazioni di editori tradizionali su iPad. Nel 54% dei casi però, non si tratta di applicazioni per una property specifica (sia essa testata giornalistica, canale radio o canale tv) ma di un App generica dell’editore.

Considerando che la Ricerca ha riguardato ben 1.182 property, si evince quindi che solo il 5% delle property dispone di un’applicazione iPad (i dati sono aggiornati a gennaio 2011). Il fenomeno quindi è solo agli albori.

Il rimanente 46% di applicazioni iPad legati alle property, nella quasi totalità dei casi, fa riferimento a editori di carta stampata (quotidiani e periodici). E se i periodici contribuiscono per il 70% di queste Apps, è anche vero che solo il 4% dei periodici censiti ha una presenza su iPad. I quotidiani al contrario, nel 47% dei casi, hanno una presenza sulla tavoletta di Apple.

Cosa dire dei modelli di business per l’editoria su iPad? Certamente, siamo ancora in una fase di sperimentazione. “Nel 21% dei casi – osserva Giovanni Toletti, responsabile della Ricerca – si deve pagare l’applicazione. Nel restante 81%, la App è gratuita e in 2 casi su 3 si pagano i contenuti a maggiore qualità”. Il prezzo medio delle applicazioni è di 4,8 euro.

Ma ci sono numerosi tentativi da parte degli editori di sperimentare su iPad un modello di advertising” continua Toletti.

La sensazione insomma è che si proceda per sperimentazioni. Da un lato gli editori cercano nuove fonti di ricavi, dall’altro si assiste a fenomeni molto dinamici e turbolenti.

Per esempio: i Tablet andranno in sostituzione ai Pc o saranno un prodotto di nicchia? La nuova modalità di fruizione di contenuti resa possibile dalle tavolette potrà essere a pagamento nel lungo termine, andando oltre la classica accoppiata browser+Pc? Come evolverà il mondo delle App? Si tornerà a un modello verticale pre-browser? Che impatti ci saranno sulla filiera? Come evolverà il mondo dell’advertising su queste piattaforme?

La vera risposta – ammette Rangone – è che una risposta non c’è. E in modo un po’ provocatorio, posso dire che non serve neanche. Non è sufficiente cercare di interpretare le potenzialità e i segnali, ma occorre qualcosa di più complesso e profondo”. Cosa? Rangone propone 5 punti sui quali gli editori dovrebbero riflettere:

  • Rifuggire dalla one best way e dall’effetto moda. Nel mondo digitale non esiste una strada uguale per tutti. Le risposte non si trovano nell’iPad o nelle Apps
  • Cercare la propria identità digitale dentro se stessi. Bisogna comprendere il proprio Dna in termini di risorse e competenze e coerentemente inventare una propria strategia digitale, anche e soprattutto in modo creativo
  • Innovare value proposition e fonti di ricavo. Nel mondo digitale non esistono i soliti clienti e i soliti competitor. “Ho incontrato editori che vendono ai loro inserzionisti ricerche di mercato od organizzazioni che hanno trasformato i loro contenuti in intelligence”, spiega Rangone
  • Puntare su una strategia veramente multicanale (mobile, Pc, Tv, Tablet)
  • Costruire un’organizzazione flessibile fondata sulla sperimentazione e sull’apprendimento.

In sintesi  – conclude Rangone – bisogna passare dal concetto di  Media Company a quello di Media Entrepreneur“”. Perché al centro di tutto – aggiungiamo noi – ci sono i contenuti, che mai come in questo periodo sono l’asset fondamentale di ogni editore.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome