Tutti aderiscono al Manifesto per l’innovazione. E ora?

Firme autorevoli di adesione al Manifesto servono a trasformarlo in aizone concreta?

17 luglio 2003 Anche Umberto Agnelli ha aderito al Manifesto
per l’innovazione di Smau
al quale aveva apposto la sua firma pochi
giorni fa anche il presidente di Confindustria Antonio D’Amato.

I due importanti personaggi si aggiungono a una eterogenea
lista
che comprende anche Luigi Angeletti, segretario generale della
Uil, Enzo Bianco, presidente del comitato permanente per i servizi
d’informazione e sicurezza e segreto Stato, Massimo Cacciari, preside della
facoltà di filovia dell’Università del San Raffaele di Milano, Mario Giordano,
direttore del Tg Studio aperto, oltre a un buon numero di docenti universitari e
manager di importanti aziende come Elio Catania presidente di Ibm.

Bene, e adesso?
Perché il punto è proprio questo.

Cosa succede ora?
E poi servono a qualcosa questo tipo di appelli?

Il manifesto parla di banda larga, e-government, sicurezza, temi che sono di
destra o sinistra ma vitali per lo sviluppo di questo Paese. Su questo nono
possono non essere d’accordo i manager delle aziende Ict che hanno firmato, i
docenti universitari che conoscono la situazione del paese e chiunque segua
anche in maniera superficiale l’evolversi della situazione economica.
Il
manifesto però alla fine somiglia a uno dei tanti appelli in voga soprattutto
qualche anno fa che chiedevano firme contro il razzismo o contro la guerra.

Sì, siamo tutti d’accordo ma dopo la firma cosa succede? Appunto.

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