Tutela dei diritti del lavoratore (parte V)

Rivalutazione dei crediti di lavoro Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore …

Rivalutazione dei crediti di lavoro

Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto (art. 429 cod. proc. civ.).
Interessi legali
A norma dell’art. 1284 cod. civ., il saggio degli interessi legali è determinato annualmente con decreto ministeriale sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno. Qualora entro il 15 dicembre non sia fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l’anno successivo. Riportiamo le variazioni degli interessi legali nel più recente periodo.
Periodo di riferimento Tasso annuo Fonte della variazione

Dal 1° gennaio 1997 al 31 dicembre 1998

5,00%

L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, c. 185

Dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2000

2,50%

D.M. 10 dicembre 1998

Dal 1° gennaio 2001al 31 dicembre 2001

3,50%

D.M. 11 dicembre 2000

Dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2003

3,00%

D.M. 11 dicembre 2001

Dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2007

2,50%

D.M. 1° dicembre 2003

Dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2009

3,00%

D.M. 12 dicembre 2007

Dal 1° gennaio 2010

1,00%

D.M. 4 dicembre 2009

Rivalutazione del credito
Per i periodi antecedenti al 1° gennaio 1998 l’onere per rivalutazione viene calcolato sulla base dell’indice calcolato dall’Istat per la scala mobile dei lavoratori dell’industria (art. 150 disp. att. cod. proc. civ.); per i periodi successivi viene utilizzato l’indice elaborato dall’Istat per la rivalutazione del trattamento di fine rapporto (art. 54, c. 12, L. n. 449/1997).
Cumulo tra interessi legali e rivalutazione
Con effetto dal 1° gennaio 1995 l’art. 22, c. 36, della legge n. 724/1994 aveva stabilito l’incumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria. L’estensione di tale disposizione ai crediti di lavoro dei dipendenti da datori di lavoro privati è stata peraltro ritenuta illegittima dalla Corte costituzionale (sentenza 2.11.2000, n. 459).
A seguito di tale pronuncia le Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 29.1.2001, n. 38), componendo il precedente contrasto interpretativo, hanno ritenuto che gli interessi relativi ai crediti in esame si sommano all’onere per rivalutazione e devono essere calcolati non sull’importo originario del credito ma sul capitale periodicamente rivalutato (nella fattispecie esaminata dalla Corte il calcolo degli interessi era stato effettuato sul capitale rivalutato annualmente), atteso che la rivalutazione tende ad annullare la perdita patrimoniale del creditore soddisfatto tardivamente (danno emergente) mentre gli interessi compensano in misura forfetaria e senza necessità di prova il mancato vantaggio della liquidità (lucro cessante) (Cass. 2.12.2002, n. 17071).
Una recente sentenza della Cassazione ha statuito che l’art. 429 cod. proc. civ. è applicabile anche ai rapporti di lavoro autonomo ex art. 409 n. 3, stesso codice ed, inoltre, che gli interessi e la rivalutazione monetaria relativi al credito di lavoro ed afferenti al periodo successivo alla sentenza di primo grado devono essere liquidati d’ufficio dal giudice di appello, trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito e concorrono ad esprimere l’entità esatta al momento della liquidazione con la conseguenza che la mancanza di apposita istanza dell’interessato non esclude il potere-dovere del giudice di provvedere a determinare l’esatta consistenza del credito, secondo il combinato disposto dello stesso art. 429 cod. proc. civ. e dell’art. 150 disp. att. medesimo codice (Cass. 4.4.2006, n. 7846).

Fonti– Interessi e rivalutazione: art. 429 cod. proc. civ.; Saggio degli interessi legali: art. 1284 cod. civ.

Attività di vigilanza

Il D.Lgs. n. 124/2004, nel dare attuazione alla delega di cui all’articolo 8 della L. n. 30/2003 (c.d. legge Biagi), ha provveduto alla “razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”, dettando una disciplina che incide profondamente sui poteri già attribuiti al personale ispettivo del Ministero del lavoro e degli Enti previdenziali ed introducendone di nuovi.
Fra i poteri attribuiti all’organo di vigilanza assumono un particolare rilievo:
– la conciliazione monocratica e la diffida accertativa per crediti patrimoniali, previsti per la prima volta dal D.Lgs. n. 124/2004;
– la diffida, la disposizione e la prescrizione obbligatoria, già previsti dal D.P.R. n. 520/1955 e dal D.Lgs. n. 758/1994, cui sono state apportate sostanziali modifiche.
Tali poteri spettano tutti al personale ispettivo delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro, mentre al personale degli Enti previdenziali spetta solo il potere di diffida, peraltro limitatamente all’osservanza della normativa di specifica competenza. L’utilizzo dello strumento della conciliazione monocratica è stato da ultimo sollecitato dal Ministro del lavoro nella direttiva del 18 settembre 2008, nella quale si evidenzia che la stessa permette "ai servizi di ispezione del lavoro delle Direzioni provinciali del lavoro di riorganizzarsi, anche in termini di programmazione della attività ispettiva, mantenendo ferma l’iniziativa ispettiva su richiesta di intervento soltanto per le richieste di intervento caratterizzate dalla denuncia di irregolarità gravi".

Conciliazione monocratica
La conciliazione monocratica rappresenta un importante strumento volto a risolvere le controversie tra datore di lavoro e lavoratore che, in caso di esito positivo, impedisce l’attivazione o la prosecuzione degli accertamenti ispettivi, consentendo pertanto un forte alleggerimento del carico di lavoro delle Direzioni provinciali del lavoro.
Conciliazione preventiva: è anzitutto possibile procedere a conciliazione monocratica nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo rivolte alla Direzione provinciale del lavoro dalle quali emergano “elementi per una soluzione conciliativa della controversia”.
La conciliazione può trovare applicazione in quanto la mera presentazione di una richiesta di intervento non vincola l’organo ispettivo poiché non si è ancora proceduto ad alcun accertamento in ordine alla effettiva esistenza o alla veridicità delle situazioni e delle circostanze rappresentate, a meno che dalle stesse non emergano evidenti e chiari indizi di violazioni penalmente rilevanti, in quanto in tal caso è necessario procedere all’accertamento ispettivo.
La procedura conciliativa è avviata dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva e durante la stessa le parti convocate possono farsi assistere da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.
Le parti possono presentarsi personalmente oppure farsi rappresentare da persone munite di apposita delega a transigere e conciliare. L’eventuale dissenso preventivo comunicato dal lavoratore non rappresenta comunque un elemento preclusivo al tentativo di conciliazione monocratica (ML circolare n. 36/2009).
In caso di accordo, il verbale – in riferimento al quale non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, c. 1, 2 e 3 cod. civ. – acquisisce piena efficacia ed estingue il procedimento ispettivo. A tal fine è tuttavia necessario che il datore di lavoro provveda al pagamento integrale, nel termine stabilito nel verbale stesso, sia delle somme dovute a qualsiasi titolo al lavoratore, sia al versamento totale dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi determinati nel rispetto dei minimali e con riferimento alle somme concordate in sede di conciliazione, nonché al pagamento delle sanzioni civili di cui all’art. 116, c. 8 lett. b), L. n. 388/2000 (al riguardo, infatti, il Ministero del lavoro, con risposta ad interpello n. 5222 del 26.10.2006, riconduce la conciliazione monocratica alle ipotesi in cui la denuncia della situazione debitoria “è effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli Enti impositori”, dando luogo ad una sanzione civile pari al TUR maggiorato di 5,5 punti).
Nella ipotesi invece di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da verbale, la Direzione provinciale del lavoro dà seguito agli accertamenti ispettivi.
Conciliazione contestuale: la conciliazione monocratica può inoltre aver luogo nel corso della attività di vigilanza qualora l’ispettore ritenga che ricorrano i presupposti per una soluzione conciliativa, salvo ovviamente che abbia già acquisito oggettivi, certi e sufficienti elementi di prova di condotte illecite.
Il Ministero del lavoro ritiene che la conciliazione contestuale possa trovare utile applicazione nel caso in cui l’azienda occupi un solo lavoratore (a prescindere dalla tipologia contrattuale utilizzata) a meno che, in relazione agli elementi di prova acquisiti in occasione del primo accesso ispettivo, lo stesso lavoratore non possa considerarsi "in nero" (ML circolare n. 36/2009).
Casi particolari: la conciliazione monocratica, sia preventiva che contestuale, può attivarsi anche nelle ipotesi in cui il lavoratore non sia un lavoratore subordinato ma sia, invece, titolare di un rapporto di lavoro autonomo (es. contratto a progetto o collaborazione coordinata e continuativa nei casi residuali di cui al D.Lgs. n. 276/2003). Nel caso di contratti certificati non è invece possibile procedere mediante conciliazione monocratica in quanto, in questo caso, chi intende presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 cod. proc. civ.

Diffida accertativa per crediti patrimoniali
L’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 stabilisce che, qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.
Il personale ispettivo ha tuttavia la facoltà (e non l’obbligo) di esercitare tale potere, tant’è che lo stesso Ministero raccomanda in proposito un prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti (vedi ML circ. n. 24/2004). La diffida accertativa può infatti aver luogo solo quando l’organo di vigilanza acquisisce elementi obiettivi, certi e idonei a determinare il calcolo delle spettanze patrimoniali del lavoratore ed anche con riferimento a rapporti di lavoro autonomo (collaborazione coordinata e continuativa e lavoro a progetto), almeno in tutte quelle ipotesi in cui l’erogazione dei compensi sia legata a presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedano complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività.
L’area del controllo ispettivo riguarda sia la contrattazione nazionale che quella di secondo livello, territoriale o aziendale (ML risposta a interpello n. 21/2009), nonché il trattamento economico dei soci lavoratori di cooperative (ML nota n. 1954/2009).
Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere un tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro – effettuato secondo le modalità previste per la conciliazione monocratica – e, in caso di accordo, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 2113, commi 1, 2 e 3 cod. civ. Decorso inutilmente il termine per esperire la conciliazione, oppure quando l’accordo fra le parti non venga comunque raggiunto in sede conciliativa, la diffida accertativa “acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo”, con apposito provvedimento del Direttore della Direzione provinciale del lavoro, il quale deve procedere a verificare la sussistenza dei presupposti e la correttezza del provvedimento di diffida. Ciò comporta che il lavoratore può agire mediante atto di precetto al fine della soddisfazione dei crediti retributivi, potendo fondare le proprie pretese su un provvedimento amministrativo, avente natura di titolo immediatamente esecutivo. Nei confronti del provvedimento di diffida è ammesso ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, integrato con un rappresentante dei datori di lavoro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (art. 17, D.Lgs. n. 124/2004).

Diffida
Il D.Lgs. n. 124/2004 ha provveduto a rivisitare il potere di diffida, già attribuito al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro dal D.P.R. n. 520/1955. È dunque previsto che, in caso di constatata inosservanza delle norme in materia di lavoro e legislazione sociale, il personale ispettivo – anche degli Enti previdenziali, per i profili di competenza (vedi M.L. risposta ad interpello n. 2608 del 9.11.2005 concernente gli illeciti accertati da personale amministrativo) – qualora rilevi inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, diffida il datore di lavoro alla regolarizzazione delle inosservanze comunque sanabili, fissando il relativo termine. La diffida rappresenta pertanto, a differenza della diffida accertativa per crediti patrimoniali, una condizione di procedibilità in ipotesi di illeciti amministrativi in quanto l’organo di vigilanza è tenuto ad esercitarla ogniqualvolta ricorrano i presupposti di legge. In proposito il Ministero ha provveduto a chiarire il significato delle “violazioni comunque sanabili” stabilendo che:
– sono da ritenersi escluse dall’ambito della diffida tutte le violazioni in cui l’interesse sostanziale (soprattutto relativo alla tutela dell’integrità psico-fisica e della personalità morale) protetto dalla norma non è in alcun modo recuperabile (ad esempio: per aver fatto superare le 48 ore medie di lavoro settimanale; per non aver rispettato adempimenti, di tipo non meramente documentale, in materia di apprendistato, lavoro minorile e genitori lavoratori; per aver utilizzato lavoratori dello spettacolo in mancanza del certificato di agibilità);
– sono da ritenersi sanabili le violazioni amministrative relative ad adempimenti omessi, in tutto o in parte, che possono ancora essere materialmente realizzabili, anche qualora la legge preveda un termine per l’effettuazione dell’adempimento (illeciti omissivi istantanei con effetti permanenti);
– è esercitata la diffida anche nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia, ancor prima della sua adozione, posto in essere il comportamento dovuto, sia pur tardivamente (c.d. diffida ora per allora).
Un elenco, sia pur non esaustivo, di illeciti amministrativi ritenuti ammissibili alla procedura di diffida è contenuto nella circolare del Ministero del lavoro n. 9/2006. In caso di ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro è ammesso al pagamento dell’importo delle sanzioni nella misura pari al minimo previsto dalla legge ovvero nella misura pari ad un quarto della sanzione stabilita in misura fissa ed il pagamento di tali somme estingue il procedimento sanzionatorio. Non è ammessa alcuna rateizzazione degli importi sanzionatori conseguenti a diffida (ML risposta a interpello n. 2226 dell’8.3.2006).

Disposizione
Anche il potere di disposizione era già attribuito al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro dal D.P.R. n. 520/1955. Il D.Lgs n. 124/2004 non ha introdotto particolari novità, stabilendo che “le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”. A differenza della diffida, la disposizione impone al datore di lavoro un obbligo nuovo, che viene a specificare quello genericamente previsto dalla legge, specie laddove essa non regolamenta fin nei dettagli la singola fattispecie considerata.
L’inottemperanza alle disposizioni del personale ispettivo seguita ad essere soggetta alle previste sanzioni amministrative e penali, secondo la distinzione per materia giacché, come chiarito dal Ministero del lavoro (vedi la circ. n. 24/2004), rimangono in vigore gli artt. 10 e 11 del citato D.P.R. n. 520/1955.
Contro le disposizioni è ammesso ricorso entro 15 giorni al Direttore della Direzione provinciale del lavoro, il quale decide entro i successivi 15 giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione.

Prescrizione obbligatoria
L’articolo 15 del D.Lgs. n. 124/2004 ha rivisitato la c.d. prescrizione obbligatoria, disciplinata dagli artt. da 19 a 25 del D.Lgs. n. 758/1994. Tale procedura, stando alla normativa del 1994, è attivata in caso di constatata inosservanza delle norme a tutela della sicurezza e igiene del lavoro punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ed è riassumibile nelle seguenti fasi:
– l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, non superiore a sei mesi eventualmente prorogabili;
– l’organo di vigilanza riferisce comunque al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione;
– entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati;
– se risulta l’adempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di 30 giorni, una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa;
– entro 120 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l’adempimento della prescrizione, nonché l’eventuale pagamento di tale somma;
– nel caso in cui invece non risulti l’adempimento della prescrizione, l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro 90 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.
Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. fino al momento in cui il pubblico ministero riceve la comunicazione concernente l’adempimento o meno della prescrizione. L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono invece valutate ai fini dell’applicazione dell’art. 162 bis cod. pen. (oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative). In tal caso, la somma da versare è ridotta ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Nel ridefinire l’istituto, il D.Lgs. n. 124/2004 non ha inciso sulla sua struttura originaria ma ne ha operato l’estensione a tutte le ipotesi di reato previste dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale in cui sia prevista la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero punite soltanto con ammenda. Inoltre il decreto, nel recepire alcuni orientamenti giurisprudenziali, ha stabilito che la prescrizione si applica non soltanto quando l’inadempienza può essere sanata, ma anche nelle ipotesi di reato a “condotta esaurita”, vale a dire nei reati istantanei, con o senza effetti permanenti, nonché nelle fattispecie in cui il reo abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione (c.d. prescrizione ora per allora).

Sospensione dell’attività imprenditoriale
L’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009, prevede la possibilità, per gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, di adottare un provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale per l’impiego di lavoratori "in nero" o in presenza di specifiche violazioni della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro. In questa seconda ipotesi il provvedimento di sospensione può essere adottato anche dagli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali. La possibilità di sospendere l’attività era stata introdotta inizialmente, seppur con formulazione in parte diversa, dall’art. 36-bis, D.L. n. 223/2006 conv. L. n. 248/2006, nell’ambito dei cantieri edili e successivamente esteso dall’art. 5, L. n. 123/2007, a tutti gli altri settori di attività. Il Ministero del lavoro ha fornito indicazioni applicative della disciplina in esame, dopo le rilevanti modifiche intervenute ad opera del D.Lgs. n. 106, con la circolare n. 33/2009.
Impiego di lavoratori in nero: la sospensione può essere adottata qualora sia accertato l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro.
Sono considerati irregolari:
– tutti quei lavoratori per i quali non siano state effettuate le comunicazioni di instaurazione del rapporto al Centro per l’impiego ovvero non siano stati effettuati gli adempimenti previsti dall’art. 23, D.P.R. n. 1124/1965, concernenti i soci lavoratori, i collaboratori e coadiuvanti di imprese familiari, i coadiuvanti di imprese commerciali;
– tutti i soggetti comunque riconducibili all’ampia nozione di "lavoratore", come definita dalle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 2, c. 1, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008), rispetto ai quali non si sia provveduto a formalizzare il rapporto.
L’entità percentuale dei lavoratori "in nero" va calcolata sul numero complessivo di coloro che sono presenti sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo e non sul numero dei lavoratori regolari. Così, a titolo esemplificativo, nell’ipotesi in cui si rilevi in un’azienda la presenza complessiva di 10 lavoratori di cui 3 "in nero", l’incidenza degli irregolari sarà pari al 30%. Il provvedimento di sospensione non si applica qualora il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato dall’impresa.
Violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza: la sospensione può essere disposta anche in caso di reiterazione di gravi violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, la cui individuazione è demandata ad un apposito decreto ministeriale. In attesa dell’emanazione del decreto, sono considerate "gravi" le violazioni elencate nell’allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008 (vedi infra). La reiterazione si verifica quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni (pertanto almeno due, anche contestuali) "della stessa indole" (sono da considerarsi tali le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate come sopra).
Effetti del provvedimento di sospensione: gli effetti del provvedimento sono circoscritti alla singola unità produttiva e, con particolare riferimento all’edilizia, all’attività svolta dall’impresa nel singolo cantiere. Nell’ipotesi di lavoro irregolare, gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore 12 del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o di terzi. Il differimento non è comunque previsto nel caso di violazioni prevenzionistiche.
Revoca del provvedimento: viene disposta dallo stesso organo che ha adottato il provvedimento purché si verifichi:
– la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
– l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza;
– il pagamento di una somma aggiuntiva pari a euro 1.500 nell’ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e pari a euro 2.500 nell’ipotesi di sospensione per violazioni prevenzionistiche.
Mancata osservanza del provvedimento di sospensione: il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione è punito:
– con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro, nell’ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
– con l’arresto fino a sei mesi, nell’ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

Gravi violazioni ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale
Violazioni che espongono a rischi di carattere generale
– Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
– Mancata elaborazione del piano di emergenza ed evacuazione;
Mancata formazione ed addestramento;
– Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile;
– Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS);
Violazioni che espongono al rischio di caduta dall’alto
– Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto;
– Mancanza di protezioni verso il vuoto.
Violazioni che espongono al rischio di seppellimento
– Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno.
Violazioni che espongono al rischio di elettrocuzione
– Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
– Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
– Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale).
Violazioni che espongono al rischio d’amianto
– Mancata notifica all’organo di vigilanza prima dell’inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.

Fonti – L. 30/2003, D.Lgs. 124/2004, D.L. 223/2006 conv. L. 248/2006, L. 123/2007, D.Lgs. 81/2008

 (per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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