Pirateria informatica. Il danno oltre la beffa

In Italia una copia di software su due è pirata. La perdita di migliaia di posti di lavoro, le pesantissime riduzioni salariali e le mancate entrate fiscali non sono, a quanto pare, validi deterrenti

“Solo nel nostro Paese, nel
2000, la pirateria informatica è costata alle aziende produttrici di software
qualcosa come 900 miliardi di lire e, negli ultimi 5 anni, la perdita di oltre
37mila posti di lavoro”.
Esordisce così Paolo Ardemagni, attuale presidente
di Bsa durante la presentazione dell’ormai annuale appuntamento con il Global
Software Piracy Study. L’indagine, commissionata dall’organizzazione
internazionale non profit che ha come ragion d’essere la lotta contro la
duplicazione illegale di software, ha fotografato una situazione in cui il 2000
risulta un anno in assoluta controtendenza rispetto al passato.
Secondo Bsa,
infatti, nel periodo indagato le attività di pirateria informatica non solo non
hanno subito una riduzione, ma sono cresciute di un punto percentuale rispetto
al 1999, attestandosi al 37%. Un fenomeno questo estremamente grave,
mitigato solo in parte dal dato che vuole le perdite economiche in flessione del
3,5% e quindi ferme a 11,7 miliardi di dollari, rispetto ai 12,2 del ’99.
Lo
stesso Ardemagni ha infatti sottolineato come non sia possibile
attribuire tali risultati a un effettivo decremento della pirateria, quanto alla
concomitanza di alcuni fattori economici. “Nel 2000 – ha precisato il presidente
di Bsa – hanno pesato soprattutto fattori come il positivo andamento
del dollaro sui mercati valutari, che ha portato a un notevole abbassamento dei
prezzi del software, e il rallentamento della crescita nel mercato dei
prodotti in questione”.
A livello mondiale, l’area dell’Asia/Pacifico ha
visto crescere negativamente dal 47 al 51% il tasso di reati informatici
all’interno delle proprie aree.
Questi hanno provocato perdite economiche
pari ai 4 miliardi di dollari, il 35% del totale indagato.
Paesi come
Vietnam, Cina e Indonesia, in pieno sviluppo informatico, hanno fatto registrare
percentuali in cui il software aziendale viene piratato rispettivamente nel 97,
94 e 89% dei casi.
Tassi questi che hanno finito per vanificare le flessione
riscontrate altrove, come nel caso dell’Europa Occidentale e nel Nordamerica.
Nonostante le perdite economiche in entrambe queste regioni si siano
stabilizzate intorno ai 3 miliardi di dollari, si tratta comunque di un fenomeno
negativo. Non a caso confermerebbe come il livello di pirateria abbia ormai
raggiunto una forma di illegalità radicata e difficile da eliminare.
Alle
spalle soltanto di Grecia e Spagna nella classifica delle nazioni europee con il
più alto tasso di software aziendale piratato, il nostro Paese è in attesa che
la neo approvata legge 248 del settembre 2000 dia i suoi frutti. Quest’ultima,
chiamata a incrementare la tutela giuridica della precedente legge 171 bis,
prevede una pena pecuniaria dai 5 ai 30 milioni di lire e fino ai tre anni di
reclusione. Ma la vera “rivoluzione” è da ricercare in ciò che la nuova legge
persegue, ovvero, non più solo chi duplica materiale protetto da copyright a
scopo di lucro, ma anche chi lo fa a fini di profitto. Con ciò includendo sia
l’arricchimento e la commercializzazione, sia i risparmi di spesa realizzati
dalle aziende che implementano all’interno della propria struttura software
illegali.
A tutti gli effetti, dunque, il fenomeno della pirateria continua
a rappresentare una sfida per l’industria e l’economia globale, e per l’Italia
in particolare. E la mission di organismi quali Bsa continua a essere la
sensibilizzazione del pubblico aziendale sulla regolarizzazione delle licenze.
Come ha avuto modo di affermare Ardemagni: “Qui non si tratta di curare gli
interessi delle software house di tutto il mondo che fanno capo a organizzazioni
come quella che attualmente rappresento, ma di far comprendere a tutti i
livelli il valore della “proprietà intellettuale”. E non c’è da credere che
attori emergenti del mercato quali gli Asp, che “affittano” applicativi alle
aziende, risolveranno a breve il fenomeno della pirateria. Proprio come si
continua a vendere libri anche nell’era di Internet, si continuerà a vendere
licenze di software alle aziende. Speriamo sempre più in maniera
legale”.

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