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Il multicloud di successo dipende dai dati non dalle app

Intelligenza artificiale, machine learning e analytics non sono più tendenze tecnologiche: il futuro del business è da ricercare nel multicloud, ossia nell’innovazione e nel processo decisionale basati sui dati.

Eppure il volume e la varietà dei dati sono enormi: dati transazionali, sensori e dispositivi IoT, trasmissioni audio e video provenienti da un’infinità di fonti stanno generando dataset di dimensioni inedite. Oggi il traffico IP globale si misura in zettabyte.

Come osserva Alfredo Nulli, Emea Cloud Architect di Pure Storage secondo un recente sondaggio realizzato con MIT Technology Review, la maggioranza dei responsabili aziendali ritiene che proprio i dati siano la base per prendere decisioni, fornire risultati ai clienti e far crescere il business. Lo stesso campione afferma di aver difficoltà ad acquisire, analizzare e interpretare tutto questo mare di dati, per non parlare dei di gestione.

Alfredo Nulli, Emea cloud architect di Pure Storage

On premise e cloud non sono alternativi

Oggi applicazioni e mobilità dei dati sono i fattori che creano efficienza e vantaggi di business. Un tempo erano le singole applicazioni a dettare le relative esigenze infrastrutturali, ma nell’era della crescita esponenziale dei dati dovrebbe essere l’utilizzo di questi ultimi, e la relativa accessibilità, a fare da perno per qualsiasi strategia inerente i dati.

Le aziende hanno oggi bisogno di accedere in tempo reale a tutti i dati, di qualsiasi genere essi siano.

Ciò significa sfruttare al meglio i dati business in un contesto multicloud, permettendo alle applicazioni di muoversi liberamente tra ambienti on-premise, cloud privati e cloud pubblici. Ecco perchè per Nulli la strategia corretta è quella di affiancare l’on premise al cloud, non di considerare le due soluzioni come alternative.

Per quale motivo è così importante? Per il fatto, dice Nulli. che 90% delle aziende terrà nel cloud almeno una parte delle proprie applicazioni o infrastrutture.

Tra le numerose lezioni apprese nel corso delle migrazioni degli ultimi anni spicca la necessità di promuovere efficienza e risparmi perseguendo nel contempo le esigenze di business strategiche. Ciò significa liberare i dati nella maniera più efficiente possibile; il che, in molti casi, è diverso da quanto prevedono le operazioni odierne.

In altri termini, le decisioni strategiche del management circa l’ambiente appropriato dovrebbero dipendere dalla tipologia dei dati e delle applicazioni che li utilizzano.

Per esempio, le applicazioni che tipicamente vengono fatte funzionare con regolarità giorno dopo giorno, settimana dopo settimana (applicazioni mission-critical che girano costantemente senza grandi variazioni) sono più adatte alle istanze on premise, che è soluzione meno costosa rispetto al farle girare continuamente nel cloud.

Dai workload al tiering

I workload che devono essere avviati o fermati con una certa frequenza e che richiedono notevole potenza di calcolo risultano invece maggiormente adatti al cloud pubblico, dove possono sfruttare i vantaggi economici tipici del cloud con costi limitati all’effettivo utilizzo.

Con il management che inizia ad assumere decisioni strategiche sempre più in virtù della tipologia di dati anziché del tipo di applicazione, una strada appropriata è quella di considerare il classico concetto di tiering applicativo in maniera nuova per abbracciare il multicloud.

La maggior parte delle aziende, spiega Nulli, si trova dunque alle prese con un mix di workload. Il concetto di tiering si è evoluto con l’arrivo dello storage veloce basato su tecnologia flash.

L’idea di tenere le applicazioni mission-critical (Tier 1) su storage ad alte prestazioni, le applicazioni Tier 2 su storage dalle prestazioni intermedie, e le applicazioni Tier 3 sul cosiddetto “cold storage” è ormai superata. La tecnologia flash ha reso democratico il data center e le aziende si sono rese conto del valore di tutti i loro dati. In altre parole, non si possono più considerare i dati come “inattivi”.

Conseguenza della moderna centralità dei dati è che il carattere mission critical è ora appannaggio della mobilità applicativa, ovvero della capacità di spostare trasparentemente le applicazioni nate nel cloud verso ambienti on premise e viceversa.

Multicloud, tier comune

La mobilità dei dati tra cloud pubblici e cloud privati, spiega Nulli, richiede un tier comune di dati condivisi. Un database Oracle, per esempio, potrebbe risiedere su storage Tier 1 ma i suoi dati potrebbero dipendere da svariate risorse all’interno dell’azienda, in base alla casistica di utilizzo.

Per la sua stessa natura business-critical, tale database dovrebbe essere costantemente attivo su storage ad alta resilienza e bassa latenza residente on-premise.

Nonostante ciò, report analitici periodici o algoritmi intelligenti dedicati ai report di fine mese sono buoni candidati a risiedere nel cloud.

L’agilità del cloud permette di evitare la disponibilità di grande potenza di calcolo on-premise, dal momento che dal cloud è possibile ottenere rapidamente la potenza che occorre per il periodo di tempo necessario. Serve avere un report più velocemente? Basta aumentare la potenza di calcolo. Disporre di un data layer comune rende i dati mobili e le applicazioni agili.

I dati come costante

Continua dunque a persistere un divario tra ambienti hosted on premise e cloud pubblici: un divario che riguarda differenti esperienze di gestione e consumo, differenti architetture applicative e differenti tipologie di storage.

Per Nulli e aziende hanno bisogno della centralità dei dati per poter essere più competitive sul mercato, dal momento che essa semplifica notevolmente il deployment dei servizi IT e fornisce accesso in tempo reale ai dati necessari per ottenere maggiore intelligence e decisioni più rapide.

E se fosse possibile unire i due ambienti con orchestrazione trasparente, mobilità bidirezionale e servizi dati condivisi? Il cloud ibrido richiede un’architettura data-centric che si basa sulla capacità di condividere i dati in tempo reale, facilitando la movimentazione di dati e applicazioni.

Torniamo all’esempio dell’istanza di un database OLTP Oracle che gira on premise. Essere in grado di inviare copie dei dati verso il cloud pubblico fornisce alle aziende un vantaggio di scala con un’architettura di calcolo agile.

Disponendo del medesimo data layer, si può prendere l’architettura data-centric on-premise ed estenderne l’esperienza anche al cloud pubblico.

In maniera analoga i deployment di app native su cloud possono essere potenziati per mezzo di servizi dati che aumentano l’efficienza attraverso funzionalità di riduzione dei dati, copie snapshot e replica.

I dati dovrebbero inoltre definire la strategia di disaster recovery. In un mondo multicloud, la centralità dei dati permette di sfruttare il cloud come se fosse un secondo data center. In un contesto on-premise, attivare l’ambiente di backup residente su cloud rende il recovery molto meno complicato. Così diventa possibile liberare le applicazioni, unificare il cloud, gestire i dati tra data center e cloud e sfruttare appieno il multicloud.

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