Le buone idee non bastano: serve un business plan convincente

Alcune riflessioni emerse dal convegno “Imprese ad alto potenziale fra sopravvivenza e crescita” organizzato da Ict4Young disegnano la gabbia che rinchiude lo sviluppo di un progetto imprenditoriale. Ma anche qualche via d’uscita.

Imprese ad alto potenziale fra sopravvivenza e crescita. Questo il tema dettato dal gruppo Ict4Young del ClubTI di Milano e raccolto da imprenditori ed esponenti del mondo accademico e istituzionale a Lerici (Sp), per una due giorni di riflessioni e proposte presso Villa Marigola.

Per Lorenzo Forcieri del Distretto Ligure delle Tecnologie marine, al cospetto dell’attuale situazione economica si tratta di esibirsi in uno «sforzo corale, teso alla formazione». Non è una chimera, si può fare: «siamo in condizione di fare ciò che serve in questo momento», anche erogando il credito cum grano salis, ovvero puntando alla crescita.

Gli ha fatto eco il Presidente dei Giovani di Confindustria La Spezia, Paolo Povesi: «distinguiamo fra fare ricerca e innovazione. Mixiamo i due concetti per fare il vero trasferimento di tecnologia. Perché alla lunga, di fronte a numerosi ostali il piccolo imprenditore lascia il passo al grande. Invece il processo di impresa deve essere più scientifico e come tale sostenuto».
Con il credito, quindi.
La banca, allora, per Povesi deve saper valutare l’idea e affiancare l’impresa fino al raggiungimento dei risultati.

Problema comunicazione azienda-credito
Ma quali risultati?
Andrea Lagomarsini del gruppo Ict4Young del ClubTi di Milano, testimoniando la propria esperienza ha fatto capire che esiste proprio un problema di comunicazione alla fonte.
Ossia l’imprenditore che è portatore di un’idea tecnologicamente promettente non parla la stessa lingua di chi (la banca, il venture capitalist) ha i mezzi per sostenerlo.

Sulla stessa lunghezza d’onda è Luca Bertoletti, sempre del gruppo in seno al ClubTi: c’è un problema di comunicazione fra impresa e credito.
Lo ha sostenuto forte di un sondaggio effettuato dal club presso gli associati, che ha fatto emergere come se l’aspetto finanziario è un elemento cruciale abilitante e l’avere massa critica sul mercato è l’obiettivo dell’impresa, l’aspetto critico oggi è trovare i fondi necessari sul mercato. Ma anche riuscire a mantenere il controllo societario.

Business plan: obbligo o opportunità?
Ossia, quanto il finanziatore mette le mani sull’azienda, partendo  da un business plan che non sempre è preparato ad arte, o quantomeno non come l’investitore lo vorrebbe?

Il tema del business plan e delle difficolta connesse alla sua coerente redazione è esemplare e chi ce l’ha fatta a portare a compimento la propria idea di business, lo dimostra.

Come Carlo Soresina, fondatore a Londra di una realtà di crowdsourcing, Skipso, nel campo delle energie rinnovabili. Ha creato un software per fare progetti nei poli di innovazione. Con l’idea e un business plan ben congegnato ha trovato i sostegni in un mercato attento.
O come Jean Marc Freuler di Funding Gates, che ha seguito una linea più blanda, lontana dai business angels e dai venture, ma che ha cercato finanziatori nel campo di chi ha già avuto modo di conoscere i portatori delle idee.
O, ancora, come Umberto Malesci, di Fluidmesh, che ha creato insieme al fratello un’impresa partendo da un progetto di trasmettitore wireless per videosorveglianza.
Senza venture capital nè santi in paradiso, ma con un’idea solida, anche su dove avrebbe dovuto stare l’R&D (in Italia), si è fatto largo presentando di volta in volta i business plan agli interlocutori nel modo in cui questi gradivano che fossero redatti.
È anche in questo modo che ha saputo raccogliere 1,8 milioni di euro in fondi pubblici per finanziarsi la ricerca e sviluppo.

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