Il castello dell’outsourcing, sabbia o roccaforte?

Con il contributo di quattro medie realtà italiane, abbiamo cercato di comprendere l’atteggiamento delle imprese nei confronti di un fenomeno in crescita, ma che stenta ancora a dominare il mondo dei servizi.

L’outside resourcing, meglio noto come outsourcing, è
senza dubbio uno dei temi di cui si è maggiormente discusso negli ultimi anni.
Ma qual è l’atteggiamento effettivo delle imprese rispetto a tale tipo di
paradigma? Per rispondere a questa domanda, abbiamo voluto tastare il polso del
mercato, prendendo in considerazione l’opinione di quattro realtà italiane in
merito a questo tipo di servizi, cercando di capire quanto il fenomeno abbia
attecchito nel nostro Paese.


Il trend mondiale dell’esternalizzazione dei servizi
aziendali è in crescita. C’è da dire, però, che dimensioni e abitudini sono
eterogenee e si possono notare differenze marcate a livello regionale. I soli
Stati Uniti rappresentano, infatti, circa un terzo dell’intero fatturato
mondiale, mentre l’Europa non raggiunge un sesto. Probabilmente, la causa di tale gap va associata in prima
battuta alla minore propensione all’investimento It da parte del Vecchio
Continente e successivamente alla reticenza (presente in misura minore in
Inghilterra e nel Nord Europa) ad affidare a un gestore esterno il sistema
informativo.


Sebbene la sua crescita sia abbastanza lenta, il fenomeno si sta affermando
anche in Italia ma non è ben chiaro quanto la tendenza sia realmente palpabile o
ancora soggetta a diffidenza. In linea generale, comunque, si può dire che nel
nostro Paese l’outsourcing abbia coinvolto principalmente il sistema delle medie
e grandi imprese private e le strutture della Pubblica amministrazione di taglio
alto, con un fatturato che, per Assintel, dovrebbe attestarsi per il 2005
intorno agli 8,5 miliardi di euro (nel 2000 il giro d’affari era stato di 4,5
miliardi).


Il minimo comune denominatore dei motivi che da noi
hanno maggiormente frenato questo tipo di investimento va certamente individuato
nell’approccio culturale. Alessandro Marin, amministratore delegato di Arthis,
la società creata da Accenture insieme al Gruppo Rinascente per la fornitura di
servizi di tipo finance outsourcing, ha spiegato come in Italia esista ancora
una radicata resistenza al cambiamento in quanto “l’outsourcing porta a un
ripensamento dell’organizzazione e questo implica un significativo impatto; c’è
inoltre il timore da parte di chi cede un servizio all’esterno di perdere il
controllo, di non poter agire su strutture che non sono più proprie

”.


Di fatto, quello che poi si riscontra una volta dato
inizio al progetto, è esattamente l’effetto contrario. L’esternalizzazione,
normalmente, rappresenta un catalizzatore molto forte verso il cambiamento. In
un certo senso, obbliga a definire in modo preciso i protocolli di comunicazione
e le tempistiche di erogazione dei servizi, aumentando la capacità di controllo
da entrambe le parti. “La forte attenzione ai livelli di servizio e alle
performance porta con sé la logica della trasparenza. Operativamente, mai come
oggi il cliente ha il controllo di ciò che accade
”, ha completato il
manager di Arthis, secondo il quale esistono numerose garanzie in termini di
sicurezza e certezza di riuscita. L’importante è che il contratto nasca sulle
basi di una solida condivisione di intenti, in cui nessuna delle due parti
prevarichi l’altra. “Quando si trova un’intesa preliminare – ha
concluso Marin – e si condividono valori di fondo, il contratto non potrà
che riflettere questa sorta di “carta dei valori”. Quelli che naufragano sono
gli accordi mal formulati, nati da rapporti privi della giusta sponsorship da
parte del top management

”. 

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