Google Chrome: il risveglio

Dubbi e perplessità raffreddano gli entusiasmi. Non sono le funzionalità, in discussione. Ma le clausole di utilizzo.

Dopo l’entusiasmo delle prime ore, arriva il momento dell’analisi ponderata. Quella che prende il posto del colpo di fulmine e invita a guardare un po’ più da vicino e con molta attenzione dettagli che così insignificanti non sono.

E non si tratta semplicemente di bug: quelli sono normalmente in dotazione nelle beta (e non solo in quelle), quanto di una serie di clausole, quelle che così spesso si sottoscrivono forse con troppa leggerezza, e che qualche interrogativo finiscono per sollevarlo.

Nelle prime ore di ieri, a ridosso del rilascio della prima beta, l’entusiasmo per Chrome era alle stelle. E i dati pubblicati da Clicky lo confermano: in questo momento il browser di Google ha una share del 3,555%, oltre il doppio, giusto per intenderci, di quella di Opera. Il dato, va da sè, è del tutto irrilevante. Non solo per le numeriche di Clicky, che analizza 45.000 siti unici, ma soprattutto perchè questa percentuale è indicativa di un elevato numero di persone che hanno scaricato il browser e lo stanno mettendo alla prova. Il che non significa necessariamente che continueranno a utilizzarlo nella stessa percentuale e nella stessa misura in futuro.

Però poi sono saltati fuori i primi bug, ad esempio una vulnerabilità in WebKit rimasta non sanata in Chrome.

E soprattutto si sono lette le famose clausole sulla licenza d’uso. Ed è qui che sono suonati i primi campanelli d’allarme.

Sotto i riflettori alcune clausole contenute nel contratto. Nella 12.1, ad esempio, si legge: Il Software utilizzato dall’utente può scaricare e installare automaticamente aggiornamenti resi disponibili di volta in volta da Google. Tali aggiornamenti sono studiati per migliorare, potenziare e ulteriormente sviluppare i Servizi e possono assumere la forma di correzioni bug, funzioni potenziate, nuovi moduli software e versioni completamente nuove. L’utente accetta di ricevere tali aggiornamenti (e autorizza Google a fornirli) come parte dell’utilizzo dei Servizi.
Questo significa dare a Google l’autorizzazione di installare gli aggiornamenti, senza riservarsi possibilità di intervenire o rifiutarli.

Ancora più controversa è la clausola 11.3: L’utente riconosce che Google, nell’esecuzione delle operazioni tecniche necessarie per fornire i Servizi ai propri utenti, può (a) trasmettere o distribuire i Contenuti dell’utente su varie reti pubbliche e con vari mezzi e (b) apportare ai Contenuti dell’utente le modifiche necessarie per renderli conformi ai requisiti tecnici delle reti, dei dispositivi, dei servizi o dei mezzi di connessione. L’utente accetta che tale licenza dovrà autorizzare Google a intraprendere tali azioni.
Di nuovo qui si parla di concedere a Google l’autorizzazione a modificare o distribuire a sua discrezione i contenuti visualizzati con Chrome. Fossero anche, come qualche blog comincia a insinuare in rete, le email contenute in una casella di webmail.

E poi si arriva al capitolo 17. In questo caso vale la pena leggere con attenzione tutti i singoli articoli: 17.1 Alcuni Servizi sono finanziati dalle entrate derivanti dalla pubblicità e possono visualizzare annunci pubblicitari e promozioni. Tali annunci pubblicitari possono essere mirati al contenuto delle informazioni memorizzate nei Servizi, a ricerche effettuate tramite i Servizi o ad altre informazioni. 17.2 Lo stile, le modalità e l’ambito degli annunci di Google sui Servizi sono soggetti a modifica senza specifico preavviso all’utente. 17.3 In considerazione della concessione da parte di Google all’utente dell’accesso e dell’uso dei Servizi, l’utente accetta che Google possa inserire tali annunci pubblicitari sui Servizi.
Qui scattano tutte le legittime riserve sulla privacy. Quante e quali informazioni raccoglie e conserva Google, con l’obiettivo di personalizzare gli annunci pubblicitari? Quanto vengono tracciate le abitudini di navigazione degli utenti?
Tutto questo sembra in singolare contrasto con il battage che ha accompagnato l’introduzione della modalità Incognito, che serve sì a garantire l’anonimato dell’utente durante la navigazione, ma lo fa nei confronti dei siti visitati e delle macchine utilizzate, ma non certo nei confronti di Google. Che dunque ha la possibilità di continuare nella sua raccolta di informazioni, con evidenti fini pubblicitari.
Che alla fine è tutto quello che conta.


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