Apple: l’accusa è elusione

Secondo il Senato americano, il complesso sistema di società offshore istituito dalla societ di Cupertino nasconderebbe la volontà di sottrarsi al pagamento delle tasse dovute. Oggi convocazione per Tim Cook.

Il Senato americano ha deciso: negli ultimi quattro anni Apple, grazie alle sue attività offshore, avrebbe eluso le tasse su decine di miliardi di dollari di entrate.
Cifre talmente importanti da far dichiarare da alcuni senatori – e in questo caso la critica arriva tanto dalla sinistra tanto dalla destra – che la società di Cupertino sia di fatto uno dei più grandi evasori statunitensi e che il complesso sistema di società di comodo create ad arte nei paradisi fiscali di tutto il mondo imponga una attenta revisione del sistema e delle regole al momento vigenti negli Stati Uniti.

Intanto la prima convocazione, attesa già in giornata, è per Tim Cook, cui verrà chiesto di testimoniare e di spiegare la posizione dell’azienda.
Il punto che sembra al momento acclarato è che Apple ha agito nell’ambito della legalità, e questa sarà del resto la tesi difensiva degli avvocati di Cupertino.
Resta da stabilire se la rete di sussidiarie – sotto il riflettore in particolare quella irlandese – create nel mondo sia stata costituita ad arte con il precipuo scopo di non pagare tasse negli Stati Uniti.
Addebito che, evidentemente, la società al momento rigetta.

Secondo quanto ricorda in queste ore Wall Street Journal, analoghe indagini hanno in precedenza interessato anche Hp e Microsoft, quest’ultima nello specifico per le sussidiarie a Singapore, in Irlanda e a Porto Rico: in entrambi i casi le risultanze avrebbero acclarato che le società si sono mosse nei limiti concessi dalle leggi vigenti, cui risultano ottemperanti.
Nel caso di Apple, il clamore nasce dall’entità dell’elusione e dai contorni dei meccanismi attuati.

Per quanto riguarda nello specifico l’Irlanda, è vero che le leggi locali consentono sgravi fiscali, a condizione però che le sussidiarie siano gestite localmente da management locale, cosa che nel caso di Apple sembra non essersi verificata.
E oltre alla sede di Cork, sotto il mirino della commissione del Senato Usa ci sarebbero anche le attività in Medio Oriente, India, Africa, Asia e nel Pacifico: Apple paga tasse irrisorie in ciascuno di questi Paesi, se non addirittura alcuna tassa, come nel caso dell’entità
Apple Operations International, che non ha presentato dichiarazione reddituale in nessun Paese negli ultimi cinque anni, pur essendo la holding cui fanno capo le attività di Apple fuori dal territorio statunitense.
Nel periodo 2009-2012, cita il report, Apple Operations International, non ha pagato alcuna tassa ad alcun Governo nazionale pur avendo registrato utili per 30 miliardi di dollari.
E analoghe evidenze sono state riscontrate per
Apple Sales International o
Apple Operations Europe:
tutte registrano utili, tutte sono funzionali alla crescita del business internazionale della casa di Cupertino, ma tutte godono di regimi fiscali estremamente favorevoli.

In questa indagine, che potrebbe portare, come accennato all’inizio, a una profonda revisione del sistema fiscale societario Americano, il Senato Usa non è solo.
Negli ultimi mesi, numerosi Paesi, sia in Europa sia in altre regioni, l’Australia in primis, hanno cominciato a guardare più da vicino i complessi meccanismi che regolano il business delle multinazionali americane nei loro territori, con l’obiettivo di scardinare metodologie complesse, che toglierebbero alle casse statali tasse altrimenti dovute.

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