Una chiave di lettura sposta l’attenzione dalla sostanza alla forma, ampliando gli spazi di manovra del Governo sia sul bilancio 2014, sia sui provvedimenti europei in discussione
La webtax è stata approvata in Commissione Bilancio venerdì scorso e quindi, a meno d’un velocissimo ravvedimento, rischia di diventare una legge vera e propria. Difficilmente lo sarà nella forma in cui è stata proposta al momento.
Come sempre accade, i commentatori più esperti si sono impegnati nel mettere in evidenza contraddizioni, errori e rischi di questa iniziativa, che sono effettivamente moltissimi. A nostro avviso, però. le cose vanno viste per quello che sono, senza anticipare i tempi e cercando di vedere dove questa legge avrebbe applicazione.
Trattati rivedibili ma oggi legali
Sulla carta la legge si propone di tassare in Italia i redditi online acquisiti in Italia. Si tratta d’un obiettivo auspicabile ma oggi impossibile da raggiungere. Infatti esiste un insieme di trattati e regolamentazioni internazionali grazie ai quali le multinazionali possono pagare le tasse in Paesi dove la cosa è più vantaggiosa. Carte discutibili, ma legali da sempre. Inoltre nel 2015 l’Ue dovrebbe regolamentare la cosa.
La webtax è più spesso chiamata Google Tax perché si rivolge principalmente ai grandi guadagni che le multinazionali online, a partire da Google ma comprendenti anche Amazon, Apple ed altri, realizzano in giro per il mondo e si fanno tassare alle Bermuda (o anche più vicino, in verità).
Il provvedimento ipotizza tasse miliardarie dai grandi operatori, da ottenere tramite una prima raccolta dati sui flussi di guadagno, alla quale far seguire un’indagine più approfondita ed una richiesta di tasse. Apparentemente qualsiasi inserzionista di sito visualizzabile sul territorio italiano dovrebbe avere una partita Iva in Italia e pagare con strumenti tracciabili.
Anche se l’operazione complessiva sembra orientata ad agire su pochi grandi operatori, in realtà coinvolgerebbe chiunque operi internazionalmente sul web. Per fare un esempio, il mondo del turismo è in subbuglio: un hotel spagnolo per essere visibile a pagamento sulla rete italiana dovrebbe aprire una partita Iva in Italia. E anche le Pmi in generale, e tra queste le startup, rischiano penalizzazioni: “una manovra che di fatto rischia di tagliare fuori l’Italia dal resto del mondo digitale”, ha dichiarato Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup, che tra l’altro distoglierebbe “investimenti internazionali importanti, proprio ora che il Governo ha appena promosso il programma Destinazione Italia, mirato ad attrarre sia risorse umane che risorse economiche dall’estero”.
Virtuale ma a bilancio
In realtà il testo prevede un esplicito escamotage negli aggettivi: l’organizzazione da tassare è “stabile” se la rete nazionale viene usata in modo “abituale”. Quindi eventualmente la legge passasse in questa forma, sarebbe semplice operare delle distinzioni appropriate. Di lì a ricavare denari veri, il passo sarebbe lontanissimo.
Poi, quanti denari? La valutazione del legislatore, attribuita a Francesco Boccia (PD), pare nell’ordine del miliardo di euro.
A nostro avviso di osservatori esterni che più esterni non si può, questa legge ha un immediato, chiaro intento: cosmesi sui conti pubblici italiani.
Inserirla nella legge di stabilità 2014-2016 vuol dire far partire un conteggio formale, ma non necessariamente sostanziale, che migliorerebbe i conti pubblici italiani di circa un miliardo di euro. Quindi il luogo d’applicazione non sarebbe l’Italia reale, bensì i bilanci preventivi che riguardano l’Italia. Il denaro sarebbe virtuale, ovviamente, ma tutto ciò che riguarda il futuro lo è. E poiché l’Ue resta piuttosto ingessata sui conti esistenti, per sparigliare le carte bisogna proporre nuove voci.
Inoltre sta arrivando il semestre di presidenza italiana in Europa e qualche potere ce lo darà: meglio mettere al fuoco più carne possibile, per vedere di portare a casa qualcosa.
Poi, se a fine 2014 le tasse previste non saranno state raccolte, vuoi perché non saranno state chieste, vuoi perché ci saranno ricorsi in atto, questo sarà un problema da affrontare alla fine del 2014.
E comunque l’attuale corpus di regolamenti ed accordi che permette di non pagare le tasse dove viene raccolto il denaro, come tutte le cose del passato, dovrà pure essere ridiscusso: nelle sedi opportune, ovviamente. E nel passato altre nazioni, a partire dalla Francia, si sono interrogate sull’argomento, che si auspica verrà ripreso.