VmWare – Competenze trasversali per l’innovatore

L’innovazione aziendale trascende le esperienze funzionali. Innovare, oggi, non è solo sinonimo di sviluppare nuovi prodotti e posizionarli correttamente sul mercato, ma è trasformare il modo di vedere il mercato e come l’azie …

L’innovazione
aziendale trascende le esperienze funzionali. Innovare, oggi, non è solo
sinonimo di sviluppare nuovi prodotti e posizionarli correttamente sul mercato,
ma è trasformare il modo di vedere il mercato e come l’azienda
stessa si posiziona in esso.

In questo contesto la figura del Chief Innovation Officer deve avere competenze
in svariati campi: deve essere un marketer, uno stratega, una persona di business
ed anche un tecnologo. Si tratta di una figura che sta prendendo piede nelle
grandi aziende, quali ad esempio Citigroup, Coca-Cola e Humana, dove la gestione
delle risorse It è l’area strategica di queste aziende. In queste
realtà, il Chief Innovation Officer persegue una propria visione che
va oltre la capacità di un leader di massimizzare le performance con
gli strumenti a disposizione e il contributo dei colleghi o della struttura.

Il processo che è stato avviato nelle grandi aziende statunitensi non
è ancora stato recepito allo stesso modo al di qua dell’Oceano.
In particolare, a mio giudizio, le aziende che hanno realizzato la necessità
di una rivisitazione dei processi aziendali non sono ancora molte, anche se
non mancano le eccezioni positive. L’adozione della virtualizzazione,
in parecchi casi, non ha ancora raggiunto un livello tale da creare una “coscienza”,
una consapevolezza, relativamente alle potenzialità che questa tecnologia
può introdurre in azienda.

La virtualizzazione è un approccio che permette di ridisegnare i processi
aziendali, garantendo la massima flessibilità e ottimizzando l’utilizzo
delle risorse informatiche e liberandone una parte sostanziosa, attualmente
destinata ad attività ripetitive o comunque non strategiche. Questo permette
di concentrare gli sforzi e l’attenzione verso la ricerca e l’innovazione
di processo, garantendo un vantaggio competitivo reale a chi sceglie questo
approccio.

La virtualizzazione sta letteralmente rivoluzionando il concetto tradizionale
di informatica, anche se si tratta comunque di concetti relativamente nuovi
(almeno, nuovi per il mondo “open”, visto che in ambiente mainframe
questa tecnologia era già diffusa negli anni ’70) che hanno bisogno
di un tempo fisiologico perché siano assimilati. Ma non mancano alcune
aziende più “illuminate” che hanno intravisto, con una certa
lungimiranza, le potenzialità di un’infrastruttura IT virtuale.
Questo si tramuterà, a mio giudizio, in un vantaggio competitivo molto
importante.

È anche compito di chi opera in questo campo stimolare le aziende affinché
colgano appieno il significato di virtualizzare. In questo senso è importante
riuscire a elevare il messaggio. Per essere più chiaro, l’interlocutore
tradizionale è sempre stato l’It Manager, e, più specificamente,
il responsabile delle infrastrutture.

Perché i vantaggi della virtualizzazione siano recepiti a pieno è
necessario coinvolgere anche altre figure aziendali, il responsabile amministrativo/finanziario,
il responsabile della qualità, i responsabili di processo, ma anche le
nuove figure deputate ad occuparsi dell’aspetto ambientale. L’impatto
della virtualizzazione sui processi aziendali riguarda infatti la semplificazione
dell’intera infrastruttura It e la rapidità di deployment di nuove
risorse.

Facciamo un esempio concreto, legato all’approvvigionamento di nuovi
server, ad esempio per un data center. In una struttura tradizionale It questo
richiederebbe tempi lunghi e parecchia burocrazia (tra ufficio acquisti, fornitori,
conseguenti negoziazioni), quantificabili in tempi di settimane o addirittura
mesi per poter completare il ciclo di fornitura di apparecchiature fisiche.

Avendo un’infrastruttura virtuale questo processo si ridurrebbe ad una
“form” sulla intranet aziendale, dove l’utente che necessita
di nuovi server può effettuare la sua richiesta che verrà poi
processata dal dipartimento It nel giro di minuti o, al massimo, di ore. Questa
rapidità di deployment (da settimane/mesi a minuti/ore) ha una ricaduta
positiva evidente sui tempi di implementazione dei progetti, sugli ambienti
di test e sviluppo, sul rilascio in produzione, ecc. In estrema sintesi, una
semplificazione così significativa nella gestione It ha una ricaduta
positiva su gran parte dei processi aziendali.

Data la varietà delle competenze richiese e la strategicità
del ruolo, ritengo utile che l’innovazione sia demandata, almeno nelle
sue linee guida, a una figura specifica, come appunto il Chief Innovation Officer.
Ancor più importante è poi il fatto che questi sia a stretto contatto
con i vertici aziendali, e quindi in grado di fungere da collegamento tra i
processi in essere e le direttive strategiche dell’azienda.

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