Verso nuove valute nel commercio mondiale?/2 Lo yuan e le altre nuove valute dei Bric

I paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) mirano a scalzare il predominio del dollaro dai mercati valutari e commerciali internazionali

di Giampietro Garioni, docente del Master in Commercio Internazionale – MASCI, e di Economia e tecnica degli scambi internazionali all’Università di Padova



Nel primo di questa breve serie di due articoli abbiamo affrontato la problematica delle nuove valute che stanno affermandosi nel commercio internazionale. In particolare, nel precedente articolo si è parlato di:



  • indebolimento del ruolo del dollaro sui mercati internazionali, nonostante questo rimane la sua capacità di restare la principale valuta di riserva e del commercio internazionale;



  • sviluppo dell’area euro e dell’utilizzo dell’euro nei regolamenti cross-border;



  • proposte cinesi di adottare i Diritti Speciale di Prelievo (Special Drawing Rights – Sdrs) come valuta di riserva internazionale.


Nella seconda parte, si parlerà di:



  • proposte dei Bric per regolare nelle rispettive valute il commercio fra tali paesi;



  • accordi di swap valutari fra Cina e Brasile, per regolare il commercio bilaterale nelle rispettive valute; e quelli fra Cina, Argentina e altri paesi, per regolare il commercio in queste aree in yuan;



  • yuan cinese, stretto fra la volontà di diventare la nuova valuta del commercio internazionale e la necessità del governo cinese di controllarne il cambio;



  • mercati delle principali valute emergenti;



  • possibili conseguenze che questa serie di mutamenti avranno sui mercati valutari, il commercio mondiale, le esportazioni italiane e le necessità finanziarie e di tesoreria delle nostre imprese.



Accordi fra i paesi Bric per rafforzare le proprie valute
Non è un caso che la prima riunione ufficiale dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), una sorta di G4 delle economia emergenti tenutosi ad Ekaterinenburg il 16 giugno scorso, sia stata principalmente dedicata ai temi valutari ed economici, e alla malcelata volontà di rendere il dollaro “un’anatra zoppa”. Le quattro grandi potenze emergenti rappresentano oltre il 15% dell’economia mondiale, quasi il 20% del commercio mondiale e detengono riserve in valute per oltre 3 trilioni di dollari complessivi. È ovvio quindi che vogliano contare di più, da un punto di vista sia politico sia economico. Già da tempo Putin e il governo russo premevano per inserire il rublo fra le monete di riserva, ma la crisi di questi anni, che ha colpito in modo particolare la Russia, ha suggerito prudenza; prudenza che, come abbiamo visto nello scorso articolo, e come ribadiremo più avanti, è condivisa, in misura anche maggiore, dalla Cina. I quattro paesi hanno a lungo dibattuto come fare a scalzare il predominio del dollaro dai mercati valutari e commerciali internazionali. Un primo appuntamento sarà l’anno prossimo, quando dovrà essere rivista, in sede Fmi, la composizione dello Sdr, attualmente pari a Usd 0.6320 (44%) + Eur 0.4100 (34%) + Jpy 18.4 (11%) + Gbp 0.0903 (11%). Quindi è molto probabile che ciascun paese lotterà per inserire nel Diritto Speciale di Prelievo la propria valuta, promuovendone un uso più diffuso sui mercati internazionali.


Nel comunicato emesso alla fine dell’incontro di Ekaterinenburg, tuttavia, non si fa menzione del convitato di pietra, il dollaro, ma si parla genericamente dell’appoggio a «un ordine mondiale più multipolare e giusto, basato sulle regole della legge internazionale, l’eguaglianza, il mutuo rispetto, la cooperazione, l’agire in maniera coordinata e su decisioni prese collettivamente da tutti gli Stati» (I Bric si dividono sul fronte anti-dollaro, Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera, 17 giugno 2009), e, ancora più genericamente, della necessità di supportare i paesi in via di sviluppo con aiuti finanziari, sollievo del debito, concessione di tecnologie. I Bric hanno dichiarato ugualmente la loro volontà di promuovere accordi bilaterali per regolare i loro interscambi commerciali nelle rispettive valute.


Il primo risultato di questo incontro è stato l’accordo di swap valutario fra Brasile e Cina. L’accordo è stato annunciato ai primi di luglio dai presidenti delle banche centrali cinese e brasiliana. In seguito a tale intesa, le due banche metteranno a disposizione dell’altra swap valutari (yuan contro real) per far sì che importatori ed esportatori dei due paesi regolino i loro scambi commerciali nelle reciproche valute, senza ricorrere ad una valuta terza come il dollaro. Non è poca cosa, se si pensa che la Cina è il primo partner commerciale del Brasile (dopo aver scalzato in questa posizione proprio gli Usa), che l’interscambio fra i due paesi è aumentato nel 2009 nonostante la crisi (in entrambe le direzioni) e quest’anno supererà la cifra record di 40 miliardi di dollari.


A questo primo accordo ne seguiranno molto probabilmente altri di analogo contenuto fra i quattro paesi (il primo sarà quello fra India e Brasile).


È quindi indubbio che il ruolo delle quattro valute dei paesi Bric aumenterà molto di importanza nei prossimi anni. Prova ne sia che già alcune banche si stanno attrezzando al riguardo: ad esempio, la Deutsche Bank ha lanciato i Bric Certificates, legato alle oscillazioni dei tassi di cambio delle valute dei paesi indicati. Il meccanismo del Bric Certificate – si legge nella presentazione del prodotto – permette di ampliare i potenziali guadagni che l’apprezzamento di tale valute può garantire, prevedendo al contempo la protezione di una quota rilevante del capitale investito (v. www.x-markets.db.com). Altre banche stanno lanciando prodotti analoghi sui cambi e sulle borse di questi paesi, e presto non ci sarà che l’imbarazzo della scelta.



Lo yuan fra controllo rigido e piena convertibilità
Come si è detto nel precedente articolo, il rapporto fra la Cina e il dollaro è un rapporto di odio e amore. Questo perché, come ha acutamente scritto Luca Vinciguerra (Due mosse per lo yuan globale, Il Sole 24 ore, 20 luglio 2009), «Le due superpotenze sono quindi ostaggio l’una dell’altra. Oggi più che mai, Washington ha bisogno dei soldi del Dragone per finanziare il suo gigantesco e lievitante debito pubblico. E la Cina, sebbene sia sempre più preoccupata dalla sua eccessiva esposizione verso Stati Uniti, è costretta a continuare a finanziare il debito Usa, perché, se decidesse di liquidare le sue posizioni in dollari, il suo grande creditore rischierebbe di crollare al tappeto. E con lui anche il valore del dollaro e degli investimenti cinesi sull’altra sponda del Pacifico. Insomma, le due superpotenze si trovano in un punto di equilibrio che ricorda molto la Mutua distruzione assicurata dei tempi della Guerra Fredda: solo che oggi al posto dell’Unione Sovietica c’è la Cina, e al posto delle testate nucleari ci sono gli asset in dollari detenuti da Pechino. In questa situazione, è difficile trovare il coraggio di sparare per primi».


La Cina è una nazione e un popolo di contrasti. Ogni cosa che si fa o si pensa nel paese nasce su un sottile equilibrio: basti pensare allo strano, ma resistente mix fra comunismo e mercato, che si propaga a tutti i livelli della vita del paese, da quello del governo a quello dei rapporti interpersonali (dove convivono l’obbedienza all’autorità da una parte e la spinta ad intraprendere e commerciare dall’altra). A volte questi contrasti sfociano in crisi drammatiche, sempre vengono utilizzati per far crescere il paese.


Contrasti e sottili equilibri valgono anche per la politica monetaria ed economica. L’esempio forse più evidente è proprio quello della valuta cinese, lo yuan (o Renmimbi. Per inciso, il nome della moneta legale cinese è renmimbi, mentre il termine yuan – che, ironia della sorte, vuol dire dollaro – e la sigla Unicode Cny vengono utilizzati, per ragioni storiche, per indicare la valuta cinese all’estero). Lo yuan vive negli ultimi anni il perenne e difficile equilibrio fra la contrastante volontà da parte delle autorità monetarie cinesi, e in particolare della banca centrale (People’s Bank of China, Pbc), di controllarne il cambio per perseguire fini di politica monetaria e al tempo stessa di renderla una valuta pienamente accettata sui mercati internazionali. Si vorrebbero avere i vantaggi combinati della libertà delle forze di mercato e del dirigismo centralista, ma non è sempre facile far quadrare il cerchio in questo modo.


Il controllo del cambio dello yuan è stato rigido fino al 21 luglio 2005, quando il cambio Usd/Cny è rimasto per molti anni fissato al livello di 8,28 yuan per dollaro. Il contrasto con le elementari leggi dell’economia internazionale, che, dati i persistenti squilibri della bilancia dei pagamenti dei due paesi (fortemente attiva quella cinese, fortemente passiva quella americana) imponeva una drastica rivalutazione dello yuan, non era più sopportabile: si giunse quindi ad una prima rivalutazione a 8,11, ed in seguito a progressive rivalutazioni controllate con una banda di oscillazione iniziale dello 0,5% giornaliero. Fino allo scoppio della crisi, a fine estate 2008, la progressiva svalutazione del dollaro è stata continua, da 8,28 a circa 6,8 (-18%). Dopo di allora, per un anno fino al settembre 2009, la moneta cinese ha cominciato ad oscillare nei due sensi in una fascia compresa fra 6,81 e 6,89 yuan per dollaro.
Fonte: www.cnbc.com



A dire il vero, anche questi valori del cambio Usd/Cny sono ben lontani dal rappresentare la parità dei poteri d’acquisto delle due valute, che dovrebbe trovarsi molto più in basso (vicina a 5 yuan per dollaro). Ma la Pbc non accetterà mai di lasciare rivalutare così massicciamente, e meno che mai improvvisamente, la propria valuta, per due motivi: perché con la svalutazione del dollaro, tutti gli asset in dollari in mano al governo cinese (più di 2 trilioni di Usd) varrebbero molto meno; e con un’eccessiva rivalutazione dello yuan si darebbe un forte contraccolpo alle esportazioni cinesi, e quindi a tutta l’economia del paese.


D’altro canto, a questo stretto controllo sul cambio del Cny si contrappone, come abbiamo detto fin dall’inizio, la coesistente volontà di rendere la moneta cinese una delle protagoniste negli scambi commerciali internazionali. La Pbc prospetta in un futuro abbastanza indefinito il raggiungimento della piena convertibilità dello yuan, ma intanto comincia ad attrezzarsi per costruirne le basi. Un obiettivo è chiaro negli atteggiamenti delle autorità monetarie cinesi: lo yuan vuole diventare, a scapito dello yen, la valuta di riferimento dell’intera area asiatica sud-orientale, e una delle principali valute utilizzate nel commercio con i Bric e con molti altri paesi emergenti ed in via di sviluppo.


Si caratterizzano in questo senso gli accordi di swap valutari per un valore complessivo di 100 miliardi di dollari con sei paesi: Indonesia, Malaysia, Corea del Sud, Hong Kong, Bielorussia e Argentina. Questi accordi sono diversi da quello sopra descritto raggiunto con il Brasile. Con essi la Pbc mette a disposizione delle banche centrali dei 6 paesi descritti apposite linee di credito, tramite le quali esse possono permettere ai propri importatori di regolare in yuan gli acquisti dalla Cina. Particolarmente importante è stato l’accordo con l’Argentina, del valore di 70 miliardi di yuan (poco più di 10 miliardi di Usd), firmato il 1° aprile 2009, il primo in assoluto stipulato con un paese tradizionalmente legato ai pagamenti internazionali in dollari.


Altre importanti iniziative, a metà fra finanza e commercio estero, vanno nella stessa direzione. Con le due vecchie colonie riportate sotto il controllo cinese alla fine del secolo scorso, Macao e Hong Kong, è partito un progetto pilota di utilizzo dello yuan nelle transazioni commerciali internazionali, già reso operativo a giugno, con il coinvolgimento di un numero selezionato di aziende nel continente e nelle colonie. Un altro progetto simile coinvolge le province meridionali dello Yunnan e del Guangxi, che potranno regolare in yuan i loro commerci con le nazioni dell’Asean (l’associazione che raggruppa una decina di paesi del Sud-Est asiatico, fra cui Vietnam, Filippine, Singapore e Thailandia, oltre alle già citate Indonesia e Malaysia). Si calcola che gli scambi commerciali con tutte queste aree ammontino a Usd 400 miliardi, cioè il 20% del commercio estero cinese.


Dal punto di vista strettamente finanziario, Pechino ha raggiunto vari accordi con le autorità monetarie di Hong Kong per consentire alle banche locali di emettere obbligazioni denominate in yuan (le prime emissioni sono già avvenute nella prima parte del 2009), e ha cominciato a creare un mercato a termine dello yuan contro dollaro e le principali valute estere sulla piazza di Hong Kong.


Ritornando al mercato dei cambi, vediamo come sono andate le quotazioni dello yuan contro euro. Se si guarda il grafico a 5 anni dell’andamento di questo cambio (v. tavola sotto), si può vedere che per un lungo periodo, dall’inizio del 2006 fino all’estate del 2008, l’Eur si è addirittura apprezzato contro Cny, nonostante anche la bilancia dei pagamenti dell’eurozona sia largamente deficitaria nei confronti del gigante asiatico.
Fonte: http://finanza.economia.virgilio.it/valute/lista_valute.html




Solo dopo l’apice della crisi, nell’autunno del 2008, lo yuan ha guadagnato nettamente valore, fino ad un minimo dell’euro a 8,4; salvo poi cambiare di nuovo la tendenza, a partire dal dicembre 2008, fino al livello di circa 10 Cny per Eur di fine settembre 2009. Questo strano andamento è dovuto al fatto che, nonostante l’enorme interscambio fra eurozona e Cina (fatturato per la maggior parte in euro), le autorità monetarie cinesi guardano essenzialmente al cambio del dollaro, e quindi le quotazioni dell’Eur/Cny sono di fatto un cross rate fra Eur/Usd e Usd/Cny.




Le altre valute dei Bric
Le altre valute dei paesi Bric (il Real per il Brasile, la Rupia per l’India, il Rublo per la Russia) hanno diverse situazioni valutarie e hanno avuto diversi andamenti dopo la crisi. Nelle tavole riportate a pag. sono esposti i grafici delle quotazioni a 2 anni contro Usd di Real e Rupia e del Rublo contro Usd ed Eur. Nella tavola a pag. …. infine sono indicate le quotazioni spot al 5 ottobre 2009 contro Usd ed Eur delle tre valute qui considerate.


Esaminiamole una per una.
Brasile – Real (Brl). La valuta brasiliana fluttua liberamente e negli ultimi anni quasi tutte le restrizioni valutarie sono state abolite. Dal 2005 fino all’inizio della crisi il Real ha continuato ad apprezzarsi contro Usd, fino a giungere sotto il livello di 1,6. La crisi ha avuto un primo impatto di forte svalutazione del Real, che tuttavia in seguito ha ripreso quota per ritornare, nell’autunno 2009, più o meno agli stessi livelli di un anno prima. In effetti la crisi ha avuto un impatto meno violento su questo paese, largamente autosufficiente da un punto di vista di risorse energetiche e naturali, con buoni conti con l’estero e sufficienti riserve valutarie. Le quotazioni del Real sono quasi esclusivamente contro Usd e in misura minore contro Eur, sui mercati americani e a Londra. La liquidità internazionale non è diffusa e le operazioni di ricopertura (cambi a termine e swap) sono praticamente limitate al mercato interbancario. Le prospettive del cambio nel giro di 6 mesi sono stabili contro Eur (attorno a 2,50-2,65) e positive contro Usd (attorno a 1,65-1,80).


India – Rupia (Inr). La valuta indiana è in un regime di fluttuazione amministrata, cioè controllata dalla banca centrale. Permangono alcune limitazioni alla sua convertibilità. La Rupia negli ultimi due anni, nonostante il buon andamento dei conti con l’estero del paese, si è man mano indebolita contro il dollaro perdendo fino al 20% (ed ancor di più contro l’euro), anche in questo caso non tanto per oggettivi motivi economici, quanto per la volontà di sostenere le esportazioni. Le sue quotazioni (contro euro, sterlina e Usd) sono limitate alla piazza di Londra e a qualche mercato asiatico. Il suo utilizzo nei pagamenti di scambi internazionali è ristretto. I mercati a termine sono anch’essi molto poco liquidi. Le prospettive del cambio nel giro di 6 mesi sono di sostanziale stabilità contro Usd.


Russia – Rublo (Rub). La valuta russa è ancorata ad un paniere composto da euro (45%) e dollaro (55%), e viene mantenuta in una fascia di oscillazione giornaliera piuttosto ampia rispetto a tale paniere, controllata dalla Banca centrale. L’economia russa è stata, fra i 4 Bric, quella più colpita dalla crisi, e queste difficoltà si sono riflesse in: un forte deprezzamento del rublo a cavallo fra fine 2008 e inizio 2009 (-30% contro EUR e -40% contro dollaro); un allargamento ulteriore della fascia di oscillazione del rublo, dal novembre 2008; una consistente emorragia di riserve (si calcola quasi 200 miliardi di Usd), che comunque rimangono piuttosto elevate; un rinvio a tempi migliori del progetto, fortemente voluto dal Cremlino, di rendere pienamente convertibile la valuta russa.


La liquidità estera del rublo è minima, appunto perché ci sono ancora molte limitazioni alla sua convertibilità. Il rublo viene quotato sulle principali piazze finanziarie, quasi esclusivamente fra banche. Le quotazioni a termine sono minime. Le prospettive del cambio nel giro di 6 mesi sono di stabilità – leggera debolezza contro Usd ed Eur.












Quotazioni spot contro Eur e Usd di Real (Brl), Rupia (Inr) e Rublo (Rub) (5.10.2009)





























Usd/



Eur/



Brl



1,7702



2,5884



Inr



47,4600



69,3961



Rub



30,0360



43,9086





Conclusioni



Quali saranno le possibili conseguenze che la serie di mutamenti esaminati in questa breve serie di articoli avranno sui mercati valutari, il commercio mondiale, le esportazioni italiane e le necessità finanziarie e di tesoreria delle nostre imprese?


Prima di tutto bisogna chiedersi: lo yuan diventerà una valuta di riserva e di regolamento a livello globale, come la forza economica dell’economia e del commercio internazionale cinese può far ritenere giusto? Parlando del dollaro, all’inizio dello scorso articolo, si era detto che le caratteristiche che una valuta deve avere per giungere a questo livello sono tre: liquidità (diffusione sui mercati); possibilità di effettuare coperture; accettabilità. È chiaro che lo yuan lamenta forti carenze su tutti questi aspetti:



  • pur se in aumento, grazie ai programmi della Pbc e del governo cinese prima commentati, la liquidità internazionale in yuan rimane limitata. Aumenterà grazie ai programmi nelle aree previste (Bric, Asia, alcuni paesi dell’America latina e dell’Africa), ma per il momento i mercati finanziari che contano sono a Londra, New York e Tokyo, e in queste piazze le contrattazioni in yuan sono veramente poche;



  • la carenza di strumenti di copertura (cambi a termine, swap, opzioni e derivati) è il lato più debole della valuta cinese. Se non ci può coprire dal rischio di cambio, è difficile per gli importatori e gli esportatori dell’area dollaro o dell’area euro accettare fatturazioni attive o passive in yuan;



  • quanto all’accettabilità, per il momento essa può essere acquisita per i paesi di cui si è parlato, anche se non darei per scontato che India o Russia siano del tutto e subito disponibili a sostituire il dollaro con lo yuan. Il compito sarà più facile per altri paesi emergenti o in via di sviluppo, ma sarà senz’altro lungo e difficile per i paesi sviluppati.


Il cammino tuttavia è segnato: lo yuan probabilmente entrerà nel paniere che compone i Diritti Speciali di Prelievo (e come tale diventerà, almeno in parte, valuta di riserva), e senz’altro diventerà protagonista come valuta di regolamento dei commerci della Cina nelle aree sopra indicate. Quanto all’area dollaro ed all’area euro, bisognerà aspettare che aumenti il grado di convertibilità della valuta cinese, e che siano disponibili strumenti di copertura per le posizioni aperte (pagamenti, incassi, saldi di conto, finanziamenti) in yuan. Quanto tempo si dovrà aspettare non lo sappiamo al momento. Ma prima o poi arriveranno le richieste, da parte di cinesi, di fatturare l’import/export anche in yuan, e non solo in valute come il dollaro, l’euro o lo yen. Inoltre, poiché su molti mercati la Cina è uno dei nostri più temibili concorrenti, dovremo anche tener conto di un altro vantaggio competitivo: i suoi esportatori presto potranno fatturare nella propria valuta. Bene o male, quindi, molto presto dovremo convivere a stretto contatto con lo yuan.


Mi sembra improbabile che lo stesso avvenga, almeno nel breve periodo, per le altre tre valute di Brasile, Russia e India, che pure assumeranno senz’altro un ruolo più vasto nei mercati internazionali.


Il panorama dunque, per le nostre banche e per i nostri tesorieri, diventerà un po’ più complicato, ma forse anche un po’ più interessante.



(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)


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