Usare software copiato è un reato. Gli italiani lo sanno, ma non se ne curano

Una recente indagine commissionata da Bsa mette in luce una consistente cultura riguardo i programmi illegali. Ma rimaniamo uno dei paesi europei con il più alto tasso di software copiato in azienda

Le aziende italiane sono ben consapevoli che la pirateria informatica sia un
reato e sono pure consce dei rischi che si va incontro se si usa software
illegale, tuttavia l’impiego di programmi copiati rimane una pratica decisamente
molto diffusa nel nostro Paese: avviene nel 46% dei casi. In Europa ci battono
solo Grecia (66%) e Spagna (51%). Questo è quanto emerge da un’indagine
realizzata da The Ashdown Group per conto di Bsa. Tale indagine ha avuto come
campione i responsabili degli acquisti informatici (generalmente gli
amministratori delegati) di 2035 aziende con più di 50 dipendenti di otto
nazioni europee (Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna
e Svezia). Più in dettaglio, nel nostro Paese le società intervistate sono state
250.


Secondo i ricercatori di The Ashdown Group, l’Italia è un Paese dove il 97%
delle aziende sa che quando compra un software acquista in realtà la licenza e
non il programma. Dove la comprensione del meccanismo delle licenze è abbastanza
alta e il 75% delle aziende (il dato più alto in Europa) dichiara di adottare
una policy specifica sull’uso di software con licenza.
Dati eclatanti ma nei
confronti dei quali il primo a dimostrare poca fiducia è Paolo Ardemagni,
presidente di Bsa Italia, che non risparmia l’ironia: a proposito della domanda
sull’acquisto della licenza d’uso e non del software, dice infatti chiaramente
“probabilmente i popoli latini hanno detto sì senza capire bene la domanda”. Al
di là dello scetticismo di Ardemagni, che conosce troppo bene la realtà italiana
per credere che il 90% delle aziende della Penisola faccia verificare
periodicamente il proprio software da aziende esterne, la ricerca mette in
evidenza come in Italia non ci sia ancora molta chiarezza sulla normativa.


Alla domanda su quale sia la pena prevista per chi utilizza software senza
licenza il 47% ha risposto indicando solo una multa come conseguenza, il 29% non
lo sa, il 19% pensa di cavarsela pagando il prezzo del software e una multa
mentre l’1% pensa che ci possono essere risvolti penali e il 4% che ci si possa
limitare al pagamento del software. Per combattere la pirateria, il campione di
It manager chiede soprattutto (47%) che si cerchi di educare i consumatori, di
controllare le aziende (37%), promulgare leggi idonee (23%) e abbassare i prezzi
(20%). Una risposta che dovrebbe contribuire a smontare il mito che le aziende
copiano perché i programmi costano troppo.


L’eccessivo prezzo dei programmi rientra però in gioco a livello europeo. Il
32% degli intervistati afferma che la pirateria non sia un fatto molto grave
proprio perché il software costa troppo (32%) e perché ci sono fatti ben più
gravi (21%). Questa e le successive risposte mettono in rilievo quello che
probabilmente è il problema principale della pirateria che nelle aziende
italiane non viene considerato come un vero reato. Di fronte a un 63% di
intervistati che considera illegale l’utilizzo del software rimane infatti uno
zoccolo duro formato dal 37% del campione che non considera particolarmente
illegale utilizzare software non originale. Nonostante le differenze che
esistono fra i vari Paesi del Vecchio Continente riguardo la pirateria, in
Europa il 30% del campione è convinto che i produttori di software realizzano
profitti talmente elevati che non c’è da preoccuparsi se le persone duplicano i
programmi illegalmente.

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