Nel 2017 il mercato italiano dell’e commerce varrà 23,1 miliardi di euro, contro i 19,9 del 2016. Il 16% in più, per comporre una cifra che vale il 5,6% della spesa totale retail.
Quest’anno gli acquisti digitali in campo B2C per la prima volta suggelleranno la parità fra prodotti e servizi, con scontrino medio, rispettivamente, di 80 e 230 euro, pagati prevalentemente con carta di credito e Paypal.
Molti di questi euro sono spesi in turismo, poi in prodotti tecnologici, , abbigliamento, assicurazioni e food. Proprio il food e grocery è il settore con il più alto tasso di crescita: 37%.
Un terzo degli acquisti viene effettuato è da mobile, prevalentemente da smartphone.
20 operatori fanno i tre quarti del mercato, in gran parte aggregatori.
Sono i dati, provenienti da un confronto diretto con 350 merchant, presentati da Riccardo Mangiaracina dell’Osservatorio e-commerce del Politecnico di Milano e presentati al Netcomm Forum di Milano.
Ecommerce e futuro del negozio fisico
Nell’introdurre il Forum, il presidente di Netcomm, Roberto Liscia, ha coniato il termine di Unified commerce.
«In futuro – ha detto – non parleremo più di commercio elettronico ma solamente di commercio. Oggi abbiamo un miliardo e mezzo di persone che comprano online e che stanno guidando il cambiamento». Fine del negozio fisico, allora? No: «Il mondo fisico ha e avrà un ruolo importante. C’è da considerare che il retail sta cambiando pelle».
Siamo nel paradigma del retail always connected, «il processo di acquisto è diffuso nel tempo e nello spazio. Lo shopping non è un atto, ma un processo», ha chiarito Liscia. E sta svanendo quel mondo a silos che differenziava fra B2B o B2C.
In Italia esiste ormai il compratore familiare, multidevice.
Chi compra con tre strumenti (smartphone, laptop e tablet) non solo ha una frequenza di acquisto maggiore, ma è anche multicanale e compra di più offline.
Da noi ci sono 22mila punti venrtita attivi con servizi ecommerce, fra ritiro di acquisto online e abilitati al reso.
Nuovi modelli per l’unified commerce
Il digitale sta aprendo nuovi scenari di filiera e nuovi modelli di business, con la disintermediazione. Li indica Liscia
Il primo è quello che passa dall’e-retail alla piattaforma. «Proprio come fa Zalando, a cui interessa diventare a tech company». Secondo modello: da banca a retailer. «China Construction Bank ha capiito che Alibaba disintermedia la funzione bancaria e sfrutta la penetrazione sul mercato per mettersi a vendere beni». Terzo modello: da quartiere dello shopping a marketplace, come avviene ad Amsterdam, 9straatjesonline, che fa proseguire l’acquisto iniziato sul luogo fisico, anche dopo. Quarto modello, social ecommerce. Houzz intermedia prodotti verso gli architetti e li vende.
Il retailer che investe sui dati cresce del 50% in più
Per Lisca sono cinque gli elementi chiave per competere nel commercio digitale.
Primo: le imprese devono orientare, online e offline.
Secondo: la selezione. Bisogna aiutare il consumatore nelle scelte.
Terzo: i pagamenti, sempre, dovunque e in modo istantaneo.
Quarto: la logistica. Garantire velocità di consegna, senza problemi.
Quinto: fare customer care più che customer service.
Tutto questo avviene se le imprese capiscono i dati e padroneggiano le tecnologie per farlo.
Chi investe di più in IT, sui dati, fa fatturato, margine e utile superiori del 50% a chi non lo fa.
Nel nuovo paradigma economico, insomma, le tecnologie e le piattaforme sono i fattori critici di successo. Il rapporto azienda cliente è cambiato, dalla mass production alla mass customization. Industria 4.0 permette di farlo.
I retailer non devono più imporre il loro ambiente al consumatore, ma aiutare i clienti nelle scelte con gli strumenti adeguati.