Una vittoria a metà che fa il gioco di Microsoft

Nove dei diciotto Stati che hanno avviato la causa antitrust contro la casa di Redmond non hanno accettato l’intesa raggiunta con il Dipartimento Usa di giustizia. Non si chiude qui la fase processuale, ma Bill Gates e soci mettono a segno un punto nella battaglia fra libertà d’azione e concessioni

Comunque lo si voglia vedere, l’accordo che Microsoft ha siglato con il Dipartimento di giustizia americano, oltre a essere un segno dei tempi, segna un importante passo avanti sulla strada che il costruttore ha delineato per i futuri sviluppi strategici in materia di sistemi operativi e software in generale. L’intesa, caldeggiata dall’attuale giudice incaricato del processo, Colleen Kollar-Kotelly, aveva l’intento di chiudere un procedimento per scorretti comportamenti di mercato avviata oltre tre anni fa. Non sarà così, a conti fatti, perché nove dei diciotto Stati americani che avevano promosso la causa si sono opposti all’accordo e questo rende necessaria un’ulteriore fase processuale per definire eventuali nuovi rimedi in grado di sanare i comportamenti illegali dei quali Microsoft è stata ritenuta colpevole nelle precedenti fasi di giudizio.

L’intesa, della durata di cinque anni, prevede che Bill Gates e soci rilascino all’industria dei computer le Api e i protocolli dei propri prodotti middleware e server usati per comunicare con Windows. Rientrano nell’insieme dei prodotti consiederati Internet Explorer , la Java virtual machine di Microsoft, Windows Media Player, Windows Messenger, Oulook Express e tutti i loro successori. Il vendor dovrà anche smettere di stipulare accordi di licensing con i produttori di pc e gli Isv, allo scopo di “punire” le aziende che lavorano in modo troppo stretto con i concorrenti. In generale, non ci dovrebbero essere più contratti di esclusiva. Un panel indipendente di tre persone dovrebbe valutare gli accordi con Oem, Isv e altri soggetti commerciali, proprio per constatarne l’effettiva correttezza.
Salta all’occhio immediatamente come non ci sia alcun divieto per Microsoft di continuare a vendere in bundle sistema operativo e browser, consentendo solo ai pc vendor di rimuovere Explorer e sostituirlo con altri prodotti. Così, Internet Explorer rimarrà il punto d’accesso privilegiato ai servizi Web sempre proposti da Microsoft, in particolare .Net My Services e Passport. Stesso discorso, naturalmente, per altre tecnologie, come Windows Media Player o l’instant messaging.

Al di là delle critiche arrivate dagli ambienti tecnici e universitari, c’è chi intende passare al contrattacco. Sun, in particolare, ha fatto sapere di voler perseguire legalmente la rivale di sempre, ritenendo che l’accordo non tuteli a sufficienza i competitor. Troppe, secondo i legali del costruttore californiano, sono le scappatoie e le definizioni vaghe contenute nel documento reso pubblico. Ad esempio, i cosiddetti “middleware” presi in considerazione dall’accordo, sono solo quelli con almeno un milione di copie rilasciate negli Usa l’anno precedente, cosa che impedirebbe a start up con tecnologie innovative di avere peso sul mercato. Inoltre, Microsoft non è tenuta al rilascio di informazioni che potrebbero compromettere la sicurezza delle tecnologie antipirateria, antivirus o dei copyright, ma, secondo i critici, questo lascerebbe al costruttore una discrezionalità eccessiva. Pertanto, sarebbe allo studio una causa civile che farebbe leva sulla vittoria, ottenuta nello scorso giugno in Corte d’appello, sugli sforzi illegali che Microsoft avrebbe compiuto per affossare il linguaggio Java.

Di fatto, questi buchi nell’intesa hanno anche spinto nove degli Stati in causa (Iowa, Connecticut, California, West Virginia, Utah, Kansas, Florida, Massachusetts e Minnesota) alla decisione di non sottoscriverla. Microsoft, tuttavia, è riuscita nell’intento di portare dalla propria parte un Dipartimento di giustizia già ammorbidito dal passaggio all’era-Bush (un presidente ben più vicino a Bill Gates di quanto non fosse Bill Clinton) e da una situazione nazionale radicalmente mutata dopo i fatti dell’11 settembre scorso. Allo stesso tempo, il fronte degli Stati contrari si è spaccato in due e per quelli rimasti sul campo di battaglia (legale) sarà un po’ più difficile ottenere nuove misure restrittive. In via definitiva, forse, la contesa si sposta dalle aule di tribunale al mercato.

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