Una Pmi su tre investe in Ict

Il 30,9% delle piccole e medie imprese manifatturiere dichiara di aver messo a budget investimenti per migliorare il processo produttivo e recuperare margini di efficienza

Luglio/Agosto 2009

Simbolo del “Made in Italy” nel mondo, le piccole, ma soprattutto le medie aziende manifatturiere italiane hanno basato da sempre il proprio successo imprenditoriale su alcuni fattori chiave, come l’unicità dei prodotti, la forza commerciale e l’organizzazione produttiva articolata su diversi soggetti di filiera legati al territorio.

Fiore all’occhiello del tessuto economico nazionale, questa categoria d’imprese sta attraversando l’attuale congiuntura con pesanti ripercussioni su fatturati e produttività, registrando, di conseguenza, una pesante contrazione negli investimenti (It compresa).

La situazione non si presenta, però, omogenea: è questo il primo dato emerso dai risultati di recenti indagini e rilevazioni effettuate da Unioncamere e Censis, intente a fotografare come le Pmi manifatturiere italiane (20-499 dipendenti) stanno affrontando la crisi e quali nuovi orientamenti strategici stanno prendendo in considerazione.

Nonostante il generale rallentamento delle attività produttive e delle vendite, l’8-9% delle imprese contattate ha dichiarato, infatti, di prevedere per quest’anno un incremento dei due indicatori. Di contro il 60% ha affermato di aspettarsi una contrazione. Per le piccole imprese, che avevano già iniziato a soffrire in chiusura di 2008, la flessione si presenta meno intensa rispetto alle medie, che solo di recente, invece, hanno iniziato ad accusare la diminuzione dell’export legata alla crisi dei mercati internazionali, aggravata dall’apprezzamento dell’euro sul dollaro.

Nonostante questo venir meno del vantaggio valutario, le imprese stanno, comunque, continuando a mostrare la propensione a usare la leva del prezzo per conservare le quote di mercato acquisite. Il 39,8% delle imprese che per il 2009 si attendono una flessione degli ordinativi esteri prevede, infatti, di abbassare i prezzi di listino praticati alla clientela europea e il 32,5% a quella extra-europea, soprattutto attraverso interventi mirati a una maggiore efficienza delle diverse fasi produttive, interne ed esterne o anche limando i margini.

Le direzioni d’investimento

Il 2008 si è chiuso con una contrazione delle capacità d’investimento delle imprese. Le valutazioni poco ottimistiche sull’evoluzione della domanda sta imprimendo un’ulteriore stretta, portando, oggi, le aziende investitrici a rappresentare solo il 30,9% di quelle totali a fronte di un 69,1% che non intende investire per nulla.

Tra le prime si segnala una fascia di imprese “anticicliche” che, a differenza del 2008, conta di investire nei prossimi mesi e, soprattutto, una élite pari al 6,4% (il 7,2% nel caso delle medie imprese) che per il 2009 aumenterà l’ammontare degli investimenti rispetto all’anno precedente.

Chi investirà lo farà cercando di migliorare il processo produttivo (per conseguire maggiori margini di efficienza), ponendo una forte attenzione al prodotto sia per migliorare il mix d’offerta, sia per ampliarne le gamme.

Questo significa che per una certa fetta di aziende, anche in un quadro poco dinamico come quello attuale, la tensione verso l’innovazione di processo e di prodotto non deve assolutamente fermarsi, in modo da non bloccare del tutto gli interventi mirati alla riqualificazione e all’ammodernamento dell’offerta che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
Tra le aziende che proprio escludono qualsiasi forma di investimento ci sono soprattutto quelle di piccole dimensioni (72% a fronte del 52% delle medie), mentre analizzate per settori, sono soprattutto le imprese del comparto arredamento e “sistema moda” (solo il 27% prevede investimenti e per lo più all’insegna della manutenzione dell’esistente) e alcune imprese del settore metalmeccanico ed elettronico (solo il 25,1% ha in cantiere investimenti per l’anno in corso).

La tendenza sembra attraversare questi ultimi comparti in tutte le sue componenti, anche se i segnali di rallentamento più forti si rilevano tra le realtà minori.

Vantaggi competitivi
e strategie anticrisi

La scala di priorità con cui le piccole e medie imprese italiane considerano i fattori di competitività mette al primo posto il prodotto, che distanzia molte altre voci come la forza del marchio, la flessibilità, la capacità di realizzare prodotti su misura e l’erogazione di servizi. Quest’analisi dei fattori percepiti come vantaggi competitivi permette di comprendere meglio alcune strategie messe in atto per contrastare la crisi.

Le dichiarazioni raccolte da Unioncamere riguardano, come accennato, la necessità di contenere soprattutto i prezzi di vendita, voce che concentra il punteggio più elevato (il 30,5%, un dato che raggiunge addirittura il 39,7% tra le piccole imprese domestic oriented).

Questo obiettivo intende essere perseguito attraverso un’ottimizzazione dei processi che spesso implica aspetti importanti dell’organizzazione produttiva. Più di 24 imprese su 100 pensano, infatti, di riportare nel perimetro aziendale fasi produttive precedentemente esternalizzate. In sostanza, accorciando la catena del valore le aziende tentano di contenere i costi, garantendo, parallelamente, la produttività.

Il processo appare abbastanza naturale per il modello di produzione flessibile che caratterizza i distretti e le filiere del classico “Made in Italy”. Da una parte, infatti, il calo degli ordini riduce l’esigenza di realizzare all’esterno fasi produttive; dall’altra lo sforzo di non disperdere le competenze professionali interne più qualificate porta a privilegiare la strategia di reinternalizzazione almeno per alcune delle attività.
Su questa strategia generale si evidenziano due ulteriori indicazioni raccolte da Unioncamere nelle dichiarazioni degli imprenditori intervistati.

Innanzitutto la volontà di apportare modifiche anche di tipo sostanziale al proprio prodotto di punta, ma soprattutto l’attenzione crescente verso investimenti tecnologici in grado di apportare risparmi energetici.
Questo impegno alla green economy si presenta particolarmente accentuato nelle medie imprese e, per quanto riguarda i settori, nel comparto dell’alimentare.
Oltre la metà delle aziende di questi sottoinsiemi hanno dichiarato, infatti, di essersi già attivate nell’adozione di tecnologie e modelli organizzativi eco-compatibili

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