Un "vecchio" compito per il gestore della conoscenza: vendere

I progetti di Km unicamente basati sulla tecnologia hanno fallito, perché non hanno portato i necessari ritorni di breve periodo. Va ridefinito, quindi, il ruolo: le competenze del knowledge manager si uniranno a quelle commerciali. Parola di Thomas Schael, di Butera e Partners.

 


 


Il Knowledge management è un tema ben conosciuto da tutti quanti abitano il mondo dell’It. Tutte le grandi società produttrici, infatti, hanno aperto la pratica Km, e pare non l’abbiano chiusa, stando alle strategie che periodicamente comunicano. Ma se, sulla base dell’assunto che per ogni disciplina di gestione (management) esiste il corrispettivo gestore (manager), andiamo a vedere quante persone, in Italia, non solo si possono fregiare di tale appellativo, knowledge manager, ma di fatto, svolgano tale mansione, la faccenda assume connotati sfumati. Anzi, in linea di massima, pare non assumerne proprio.


Questa, almeno, è l’idea espressa a chiare lettere da Thomas Schael, responsabile Km di Butera e Partners e anche amministratore delegato di Irso (Istituto di Ricerca intervento sui Sistemi Organizzativi), società che ha lanciato in Italia la comunità virtuale "Il campo dei saperi" e che è impegnata nel progetto Milk (Multimedia interaction for learning and knowing).


Una realtà, quindi, che nel concetto della gestione della conoscenza, ci crede e opera coerentemente.


"Il Knowledge manager in Italia – dice Schael – è una nuova figura che può avere due connotazioni: quella tipica del capo progetto, quando questo esiste, o come elemento di staff dell’amministratore delegato. Ci sono ampi segnali che sia in atto uno sviluppo strategico del Km, soprattutto sul lato del management. E in Italia ciò avviene nelle aziende di estrazione multinazionale".


Come è nato, o come nasce, nel nostro Paese, la figura del knowledge manager o presunto tale? "I knowledge manager – risponde Schael – nascono da tre radici: legati a una funzione di sviluppo organizzativo, da una derivazione di stampo Hr, quindi provenienti dalla gestione delle risorse umane o, ancora, possono provenire dall’area dei sistemi organizzativi".

Progetti che non hanno portato risultati


È in atto, in sostanza, una ridefinizione di ruoli già esistenti negli ambiti strategico, gestionale o tecnologico. Ma cosa sta accadendo, concretamente, nel mondo del Km applicativo?


"Parlando francamente – dice Schael – i progetti di Km non hanno prodotto risultati eclatanti nel breve periodo, che ormai è la lunghezza d’onda tipica con la quale si valutano gli investimenti, specie quelli in It. Per cui possiamo dire che sono in difficoltà. Oggi il Knowledge manager ha maggiore valenza laddove è riuscito a diventare un anello dell’organizzazione. Insomma, ha vinto chi ha fatto leva sull’aspetto dell’organizzazione integrata, in luogo di chi ha puntato esclusivamente sul fattore It. Per via del riconoscimento della funzione che l’elemento organizzativo porta con sé: è più individuabile e porta con sé maggiore valore".


Peraltro, immaginare un Km senza la componente It è impossibile. Schael conferma: "L’It abilita, senz’altro". Ma aggiunge una convinzione: "Il Km, per affermarsi, deve poter far raggiungere gli attuali obiettivi di business, che sono il fatturato da una parte e il contenimento dei costi dall’altra. Essendo quest’ultimo, un obiettivo difficile, dato che i progetti di Km sono molto articolati e dispendiosi, vince quel manager che riesce, con il suo operato, prosaicamente, a far vendere di più".


Ergo, la conclusione fondamentale da trarre, secondo Butera e Partners, è che i progetti di Km puro sono poco spendibili. Se li si lega alla performance commerciale, invece, lo sono di più. In sostanza, tutto ciò ci dice che il Km confluirà a breve nel Crm. "E così farà il manager– puntualizza Schael -. Il gestore della conoscenza sarà anche un venditore, o viceversa. Il Km diventerà una competenza incorporata dal marketing e dalla funzione commerciale. Lo vediamo nei nostri progetti in atto, come quello del Monte dei Paschi, una banca che ha creduto da subito nel Km e che è però strutturata per vendere servizi".


E per il futuro, non ci sono "speranze" per i romantici del Knowledge management. "Il Km puro per come lo si è inteso fino adesso – asserisce Schael – è destinato a morire, perché si è pensato troppo allo strumento, cioè a costruire la intranet, pensando che fosse anche la soluzione. Ma progetti così condotti avevano solo un costo di alimentazione troppo alto per l’azienda".


La soluzione della "intranet e basta", insomma, è stata la più sbagliata. "È dimostrato – specifica Schael – che per avere successo con un progetto It, bisogna partire dalle esigenze del business e da qui disegnare il Km. Si deve partire dal processo per capire il senso del riutilizzo della conoscenza. Il content management è una soluzione buona, ma giusta solo per alcuni contesti, non per tutti in valore assoluto". Oggi, insomma, c’è più che altro bisogno di capacità d’innovazione e di adattamento. Costruire una best practice e validarla costituisce un processo troppo lungo. Ma insomma, perché abbiamo sbagliato, tutti, con il Km?

L’errore: puntare solo sulla intranet


"Perché era più facile dare in mano tutto alla tecnologia – afferma Schael -. Le regole dell’It sono sembrate facili da capire. Siamo partiti con la convinzione che quello che facevamo fosse giusto. Invece bisognava fare un reverse engineering. Poi c’è anche un aspetto malizioso di marketing tecnologico. Il settore del document management era in crisi, per cui lo si è rivestito di Km". La soluzione, allora, secondo Butera e Partners, potrebbe essere il progetto Milk. "Si tratta di uno strumento – spiega Schael – per costruire un social environment che faccia cogliere i momenti formali e informali, senza limiti alla comunicazione multimediale, e che abilita anche il mobile worker a beneficiare dei momenti di condivisione della conoscenza tipici della macchinetta del caffè. Con Milk ricostruiamo virtualmente un ambiente di lavoro condiviso, mediante una tecnica finora inesplorata, il social broadcasting (fatta, sostanzialmente, da sistemi di videoconferenza automatizzati, fra sedi distaccate, che fanno uso, anche, di schermi al plasma per visualizzare meglio le persone coinvolte, ndr). Il metodo, infatti, soddisfa un bisogno reale non soddisfatto dagli applicativi esistenti. Sarà un investimento ad alto Roi. Costerà 150mila euro. Per una media impresa è tanto. Per una multinazionale, no. Sarà pronto per la fine dell’anno e si integrerà con il Crm, la Sfa, il Km, la intranet".


Insomma, il knowledge manager… "Non parliamone più – sentenzia Schael -. È una funzione riassorbita in quelle già esistenti. Il Km è come il tema della qualità Iso: non se ne può fare a meno, ma di per sé non fa vendere". Questo è il problema.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome