Un ruolo primario in azienda per l’area risorse umane

La capacità di reperire sul mercato le figure più preparate, di saperle attrarre e di trattenere quelle valide è una delle attività più impegnative richieste oggi alla funzione che gestisce i dipendenti di un’impresa. L’analisi del Rapporto Assinform 2001 sull’Occupazione

Altro che abolizione dell’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori.
L’adozione pervasiva delle nuove tecnologie e la
conseguente rivoluzione indotta nel mondo del lavoro e nel sistema delle
imprese è paragonabile (per effetti e cambiamenti) solo all’avvento della
luce elettrica. Lo scenario è già in gran parte modificato, ma non vi è
ancora una percezione diffusa del cambiamento e soprattutto non è stato
ancora creato un sistema che sappia equilibrare domanda e offerta
riqualificando i profili professionali per allinearli alle esigenze
reali.
È quanto afferma Giancarlo Capitani responsabile di NetConsulting
allorché, nel corso della presentazione del Rapporto Assinform 2001
sull’Occupazione, oltre a proporre una chiave interpretativa dei
fenomeni strutturali che maggiormente stimolano l’occupazione, cerca di
capire le esigenze del mercato e di interpretare i segnali, piuttosto
deboli, che indicano i trend e le eventuali disponibilità rispetto al nostro
modello di crescita, «perché – afferma Capitani – esiste una
stretta correlazione tra mercato e occupazione
».
Dai risultati degli
ultimi tre anni il mercato italiano dell’Ict nel suo complesso ha fatto
registrare una crescita molto elevata, trend che prosegue anche nel 2001, in
quanto anche i dati più recenti confermano che il mercato italiano continua
a crescere di almeno un punto sopra la media, mentre nazioni come Francia e
Germania sono più in crisi. Lo stesso accade, ma in misura minore, per la
Spagna e il Regno Unito che negli anni 90 ha avuto trend di crescita
comparabili con quelli degli Usa. Quattro sono gli eventi che hanno portato
i “fornitori” ad avanzare una maggiore richiesta occupazionale: la fine
della ristrutturazione del sistema dei vendor, la forte propensione
all’outsourcing, l’ingresso di molti grandi utenti nel mercato dell’Ict
e l’imprenditorializzazione della forza lavoro che ha coinvolto soprattutto
le aree periferiche. Ma vi è una fortissima asimmetria tra domanda di It,
con la sua specifica caratterizzazione territoriale, e offerta a livello
territoriale. Quest’ultima, qualitativamente, è molto più bassa rispetto a
quella delle aree urbane e nelle periferie si è creato un disallineamento
dell’offerta.
Vi sono, perciò, grandissime opportunità di mercato che gli
operatori possono cogliere interpretando la domanda locale. Questo
spiegherebbe, almeno in parte, la forte dinamicità delle start up
segnalata dal Rapporto Assinform per il Mezzogiorno e il Nord Est. Se
questi sono i fattori positivi che hanno influenzato la richiesta di
occupazione per i fornitori, le negatività sono provocate dalla
razionalizzazione del canale, dalla stabilità nella crescita delle
telecomunicazioni e dalla crisi delle dotcom.
Per gli utenti la crescita
occupazionale è dovuta ai numerosi progetti di e-business, ma anche alla
pervasività crescente dell’It, su funzioni mai coinvolte prima d’ora, che ha
generato l’ingresso di nuove professioni all’interno delle aziende, anche se
si è fatto maggior ricorso all’outsourcing e si è avviata una
razionalizzazione dei processi interni.
Negli anni 90, il settore dell’It
ha esercitato un forte impatto sia in termini di valore aggiunto (+70%), sia
sull’occupazione (+40%) che ha contribuito alla crescita della produttività
del sistema. Un vero paradosso, visto che questo settore, costituito solo da
47mila imprese di software e servizi spesso di piccole dimensioni, riesce a
esprimere un consistente peso occupazionale e alta intensità di lavoro.
«Ma – prosegue Capitani – per capire la natura dell’occupazione
espressa e i fenomeni strutturali che ne muovono la dinamica, occorre
comprendere il profilo della domanda e dell’offerta che si sta delineando.
C’è una tendenza delle aziende, soprattutto di quelle grandi e medio grandi,
a investimenti finalizzati alla costruzione di un’infrastruttura tecnologica
applicativa integrata al proprio interno, che rappresenta l’asse portante
del nuovo modello e che è reticolare. Il paradigma che identifica questo
processo, è l’integrazione, non più soltanto tra tecnologie o applicazioni
eterogenee, bensì soprattutto tra strategie e tecnologie. Per la prima
volta, quindi, le tecnologie sono portate a ridosso dei decisori aziendali
che, finalmente, le guardano come strumento che abilita e migliora la
competitività dell’impresa
».
Questo cambia la struttura dell’eco sistema
delle tecnologie all’interno delle aziende, ma genera anche una domanda
specifica di soluzioni applicative che influenza poi la domanda di
competenze e di professioni soprattutto per quanto riguarda le aree di
hosting/housing (siti, servizi Internet, applicazioni di e-business, e
via dicendo), mentre aumenta anche la richiesta di personale per i supporti
protetti. Tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001 vediamo, infatti, che il
Crm diviene più strategico ed emerge affermandosi “come la stella del
mercato”, le soluzioni di Business intelligence si integrano fortemente
nella filiera, mentre nelle Tlc prosegue la crescita della domanda di
soluzioni, applicazioni e competenze nell’area dei sistemi operativi di
rete, delle infrastrutture, del business, e così via, anche se il fenomeno
ora è in rallentamento.
Cambiano le richieste di professionalità specifiche,
e si crea uno spostamento sottile, ma importante, nel profilo dello skill
shortage.
Ora si cercano soprattutto consulenti di e-business, tecnologici e
funzionali, Web ed e-business project manager e cap manager, figure che
in qualche modo devono essere in grado di coniugare strategie e tecnologie.
Questo indirizzo sposta verso l’alto anche il problema della reperibilità,
perché oggi si cerca sempre di più seniority, piuttosto che competenze
generalizzate a carico del settore dell’informatica.
Alla luce di questo
spostamento cambiano anche le modalità di gestione delle risorse umane
all’interno delle aziende e l’area Hr diventa sempre più strategica, poiché
non deve più avere solo la capacità di reperimento delle risorse sul
mercato, (skill shortage di tipo quantitativo), ma deve sapere anche rendere
competitive le imprese sul mercato del lavoro in termini di capacità di
attrazione e di trattenimento di quelle risorse, che Capitani definisce
“competenze nobili”, all’interno dell’azienda. Ormai c’è una percezione
chiara di questo livello di strategia e per trattenere le high performance
le aziende ricorrono alla retribuzione variabile individuale, agli incentivi
di lungo periodo e ai benefit. I passaggi fondamentali sono quindi due:
l’individualizzazione della gestione della risorsa umana e l’assunzione di
un ruolo strategico della funzione delle risorse umane all’interno
dell’azienda rispetto alla funzione tecnica, ancillare, che aveva. «È
perciò sempre più frequente vedere responsabili delle risorse umane che
siedono nei management board o nei consigli di amministrazione, fatto
questo
– sottolinea Capitani – molto significativo». Per
definire la retribuzione individuale, cambiano le metriche di misurazione
delle performance delle risorse umane all’interno dell’azienda e il sistema
stesso della remunerazione e degli incentivi. Si passa da una
remunerazione prevalentemente fissa a quella variabile, da una
personalizzazione dei corsi di formazione che la risorsa deve seguire
alla concessione di gradi di autonomia differenziati, introducendo la
cultura della responsabilità chiaramente identificata e misurata nei
suoi risultati. Un elemento fondamentale è anche la capacità della
singola risorsa umana di convivere positivamente con il sistema
aziendale.
Alla luce di questo quadro, positivo e fortemente evolutivo,
ci si chiede quale futuro ci aspetta, se i segnali trasmessi siano forti e
in grado di delineare sentieri di crescita culturale, quantitativa e
qualitativa, rispetto alle basi di sviluppo trascorse oppure no. In
questo momento, secondo Capitani «il mercato convive con la tendenza,
quasi inerziale, alla crescita e, allo stesso tempo, a un forte
rallentamento. Vi è ancora una concentrazione di domanda It forte,
espressa dai grandi utenti che hanno dato continuità ai loro progetti
nonostante cominciassero a emergere segnali di rallentamento
». Ma la
domanda è molto concentrata e si rivolge in modo selettivo a un’offerta
sempre più ristretta di fornitori (non più di 50) e innesca fenomeni
importanti di competizione tra gli operatori che si gioca sempre più sul
prezzo, con effetti depressivi sulla crescita di valore del mercato e sulle
risorse.
Sul versante delle Tlc i circa 150 operatori cominciano a registrare
criticità simili a quelle che l’It ha vissuto negli anni 80. «Siamo
in presenza di un processo di forte riconcentrazione del mercato

afferma Capitani – e sicuramente stiamo andando verso una
oligopolizzazione del mercato delle Tlc in Italia. Questo fenomeno
contribuisce a ridurre la componente di domanda di It delle società di
Tlc che è stata molto forte soprattutto nella seconda parte degli anni 90 e
che ha contribuito a generare crescite così vivaci
».
Inoltre, la
domanda alta di integrazione, che deve rispondere a una lunga filiera di
tecnologie, applicazioni, competenze, tende a omogeneizzare il settore
dell’offerta. Ma poiché anche le società di Tlc tentano di entrare sul
mercato con un’offerta integrata di informatica e Tlc, il settore è sempre
più popolato da fornitori nuovi, eterogenei, che aumentano la competitività
interna.
Del resto, il mercato è più maturo, consapevole, in grado di
formulare una domanda più strutturata nei confronti delle nuove
tecnologie, e sta assumendo al proprio interno, come figura di
riferimento, quella della qualità delle risorse umane.
«Se il
paradigma degli anni scorsi è stato quello della system integration, il
nuovo sarà la skill integration
– osserva Capitani -. Ma dobbiamo
rispondere a tre interrogativi che riguardano la crescita occupazionale e
del mercato, lo skill shortage e la costruzione delle nuove professionalità.
Se il mercato rallenta o si fa più selettivo, probabilmente ci saranno
conseguenze non tanto visibili sulla crescita dell’occupazione, ma
sicuramente sulla qualità, perché cambiano i contenuti delle competenze
richieste. Oggi non si denuncia più lo skill shortage perché assistiamo a
uno spostamento verso lo skill gap dovuto all’asimmetria fra le alte
competenze richieste dal mercato e la loro disponibilità. Vi è poi anche la
necessità di un riequilibrio territoriale tra domanda e offerta di lavoro.
Pur avendo forti disponibilità in alcune aree, il sistema non riesce a
riequilibrare domanda e offerta
». Irrisolto anche l’interrogativo su
come costruire le professionalità mancanti. Sebbene ci sia una ripresa
della formazione pubblica, queste sono sempre iniziative avviate in ritardo
rispetto ai contenuti effettivi delle richieste del mercato. A fronte di
tantissime iniziative, molto ben finanziate, non si riesce a costruire un
sistema che dia luogo a economie di scala e che faccia anche decollare
l’offerta di nuove competenze per le nuove
professioni. 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome