Un internauta aziendale molto cauto negli acquisti

L’ultima indagine di Sirmi, condotta per conto di Assintel-Fed, rivela che ormai quasi tutte le aziende hanno una connessione a Internet, ma i siti propri vengono usati soprattutto come vetrina e su quelli degli altri ancora non si fa commercio elettronico.

Molta vetrina ma poco vero business: al commercio elettronico gli italiani preferiscono ancora il negozio sotto casa. A decretare la vittoria del modello tradizionale su quello online è una ricerca di Assintel (l’associazione delle imprese di servizi informatici e telematici) e di Fed (Federazione Economia Digitale). Lo studio, condotto dall’istituto di ricerca Sirmi su un campione di 1.000 imprese con almeno 10 dipendenti, ha fatto rilevare che il 98,7% delle aziende è collegato a Internet, il 76,6% possiede un proprio sito che utilizza, in via principale, per diffondere il brand aziendale (nel 76% dei casi) e un catalogo approfondito (38,7%), mentre in maniera decisamente inferiore per garantire la possibilità di inoltrare ordini (20,9%) ed effettuare pagamenti online (13,2%).

Fra le aziende che hanno dichiarato di offrirne (32,6%), gli strumenti di pagamento online maggiormente diffusi emergono la carta di credito con protocollo Ssl (54%), il bonifico bancario online (34,5%), la carta di credito con protocollo Set e il Pagobancomat si attestano entrambe sul 9,1%.
Le aziende che offrono i servizi più avanzati di commercio elettronico sono anche quelle che fanno un uso più elevato della pubblicità in rete (47,2%).

Meglio il B2B del B2C


Nonostante gli investimenti non siano ancora particolarmente elevati (in genere fra gli 11 e i 50 milioni), il volume delle transazioni ha comunque raggiunto nel 2000 cifre di tutto rispetto, con significative previsioni di crescita per i prossimi anni: la quota più alta è quella relativa al B2B, che lo scorso anno ha raggiunto i 6.730 miliardi di lire, destinati a diventare 15.630 alla fine di quest’anno. Passando al B2C, il valore delle transazioni si riduce a 1.300 miliardi, che potrebbero salire a 3.340 entro la fine del 2001.
“Sono principalmente le grandi imprese a dividersi la torta – afferma Andrea Maserati, presidente della Fed – mentre le piccole e medie imprese pagano principalmente un grosso ritardo culturale e l’inadeguatezza delle piattaforme tecnologiche, soprattutto per quanto riguarda l’ampiezza di banda necessaria a velocizzare il trasferimento dei dati. In Italia, inoltre, i costi sono ancora troppo alti”.

In base ai giudizi rilasciati dalle società intervistate, la mancata attenzione dei clienti verso le vendite in rete dipende, oltre che dalla scarsa diffusione di Internet, dalla paura per la scarsa sicurezza dei pagamenti e dei dati relativi alla carta di credito. Per ovviare a questi rischi, la certificazione di qualità dei siti sembra essere il metodo più valido.

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