Un futuro certo per Linux, ormai pronto per il business

Il sistema operativo “free” si è liberato della veste pionieristica ed è entrato nelle strategie di molti fornitori di It. Come testimonia Ibm, che è in prima linea nella costruzione di architetture Linux-based. E c’è già chi lavora per farlo diventare standard.

Il mito di Linux come bandiera e strumento del pensiero libero è destinato a tramontare? È improbabile, e c’è da augurarsi vivamente che ciò non accada, ma è anche indubbio che Linux ormai vada sempre di più verso il business.


Peraltro, ragionando a mente fredda senza farsi coinvolgere dall’afflato affettivo che molti utenti Linux, soprattutto quelli della prima ora, hanno verso il "loro" sistema operativo, con ogni probabilità la duplice veste, commerciale e, passateci il termine, romantica di Linux, è da valutare come un fattore positivo. Da un lato, infatti, il fervore quasi mistico nei confronti di Linux è ben lungi dall’essersi consumato, anche perché, realisticamente, non si vedono alternative concrete per chi vuole sviluppare soluzioni seguendo modelli free, come il Gpl.


Ciò è indubbiamente una delle principali chiavi del successo di Linux e dovrebbe anche garantire che il sistema operativo sviluppato da Linus Torvalds non diventi mai proprietà di una o di poche realtà commerciali. Fra l’altro, anche i grandi produttori di hardware e di software che sono entrati nel mondo Linux sembrano esserne convinti. Pur prediligendo, nella maggior parte dei casi, il modello open source rispetto a quello Gpl, nessuno, infatti, si permette di mettere in discussione il principio di Linux come "proprietà intellettuale condivisa". Molti, anzi, partecipano fattivamente a progetti relativi agli open standard, un nome fra tutti Ibm. Peraltro anche i puristi Linux dovrebbero convenire che gli investimenti economici che i grandi "attori" si possono permettere possano portare benefici dal punto di vista dello sviluppo tecnologico della piattaforma.


Qualcosa, però, è già cambiato: fino a poco tempo fa, quando si doveva promuovere Linux come piattaforma per la realizzazione di una soluzione commerciale, si citava fra i vantaggi principali di Linux l’inesistenza di un supporto centralizzato, sostituito più che validamente da una sorta di mutuo soccorso rappresentato dalla rete distribuita di sviluppatori, in molti casi autonomi, che consentiva (e consente) di reperire la soluzione a qualsiasi problema in brevissimo tempo.


Ora, invece, chi deve "vendere" soluzioni sottolinea come Linux sia ormai supportato e appoggiato dai maggiori produttori hardware e software commerciali. È un segno dei tempi che cambiano, ma, aziendalmente parlando, è un viatico che consentirà di aprire un numero sempre maggiore di porte.

Linux e l’Italia


Nel nostro Paese, per la verità, Linux è ancora in parte circondato da un alone di scetticismo, probabilmente più nelle piccole e medie imprese che nelle realtà di più grandi dimensioni. Paradossalmente (ma forse non più di tanto) chi ha un budget limitato in molti casi, almeno in Italia, preferisce ancora affidarsi a soluzioni costose ma anche, almeno apparentemente, più consolidate, mentre nelle grandi aziende sembra esserci una maggiore predisposizione alla sperimentazione, magari, tanto per cominciare, in soluzioni dipartimentali, dove Linux può vantare già un buon numero di installazioni anche nel nostro Paese.


Se si vuole dare retta ai segnali provenienti da Oltreoceano, però, sembra che la situazione sia destinata a cambiare rapidamente anche nel nostro Paese. Negli Usa, infatti, Linux ormai è considerato "mainstream", un termine non traducibile direttamente che indica però in modo sintetico ed efficace come Linux non sia più un outsider dalle enormi potenzialità, ma una realtà concreta e ampiamente accettata.


Più che alle ragioni filosofiche citate in precedenza, i molto pratici nordamericani guardano alle motivazioni concrete. Per le aziende utenti, Linux è considerato un ottimo investimento, non tanto (o non solo) per il costo: è infatti vero che Linux si può anche scaricare gratuitamente, e che anche le migliori distribuzioni non sono particolarmente onerose, ma comunque il lato prettamente economico non è visto come preponderante.


L’interesse è dovuto al fatto che Linux è sinonimo di standard aperti ed è realmente multipiattaforma, essendo ormai disponibile per qualsiasi tipo di hardware, dai pc Intel fino ai mainframe Ibm: permette, quindi, di non legarsi in modo indissolubile a un particolare produttore di hardware e offre una notevole scalabilità potenziale, che consente di salvaguardare, in chiave futura, gli investimenti relativi al software e al know how.

Fare soldi con Linux


Per chi opera nel campo dell’It, invece, Linux viene percepito come interessante: non per i profitti diretti (un discorso che interessa pochi attori, cioè i produttori delle distribuzioni), ma per l’indotto che può generare. Per esempio, quest’anno l’Ibm Solution, la conferenza tecnica organizzata da Ibm dedicata agli sviluppatori di tutto il mondo, svoltasi lo scorso agosto a S. Francisco, è stata in gran parte dedicata proprio a Linux e, più in generale, agli open standard. Parallelamente Ibm ha letteralmente riempito tutti gli States di inserzioni caratterizzate dallo slogan "Peace, Love & Linux": un messaggio tutto sommato in linea con la filosofia Linux, che diventa singolare proprio perché promulgato da Ibm. Intervistato in merito a tutto ciò, Richard Michos, vice president Linux di Ibm ha ribadito come Linux sia uno dei principali interessi di Big Blue, perché è già ora un formidabile mezzo per vendere non solo hardware, ma anche soluzioni e servizi: tutti i software Ibm, da WebSphere a Db2, sono disponibili per Linux, e lo stesso sistema operativo può girare su tutte le piattaforme hardware Ibm: oltre, ovviamente, alle macchine Intel-based, Linux può anche operare in una partizione dell’As/400 e l’ultima versione dello Unix Ibm, Aix 5L, è in grado di eseguire direttamente i programmi sviluppati per Linux. Scott Handy, direttore marketing per le soluzioni Linux, ha invece sottolineato come Linux sia già da considerare come uno degli standard, negli Usa, per soluzioni quali Web server e file e print server, grazie alle ottime possibilità di integrazione e interoperabilità che il sistema operativo mette a disposizione. Ha però anche ribadito come Linux sia molto valido come application server, soprattutto in virtù della sua predisposizione alla scalabilità: non a caso Db2 gira su Linux, e anche la recente acquisizione di Informix da parte di Ibm è, almeno in parte, riconducibile a quest’ambito. Il messaggio Ibm in merito, comunque, è esplicito: Linux è pronto per il business.


E non è solo Ibm, ovviamente, a pensarla così: la netta impressione è quella che, per gli Usa, Linux in chiave aziendale non rappresenti una moda, da un lato per gli investimenti che molti produttori stanno facendo in tal senso, dall’altro per le applicazioni che le aziende stanno implementando su questa piattaforma. Per una piena accettazione di Linux come piattaforma commerciale, per la verità, c’è ancora da fare qualcosa, soprattutto in termini di standardizzazione e di facilità di installazione e amministrazione, ma anche in questo senso ci sono segnali precisi: in queste pagine trovate informazioni su Lsb (Linux standard base), uno standard per la realizzazione di applicazioni Linux, e il punto di vista di Caldera, fra le prime società, ma non l’unica, a pensare a una distribuzione Linux fortemente orientata alle esigenze specifiche delle aziende.

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