Un fotone ci salverà

Nel contesto di eAcademy, a Smau, si è parlato anche di crittografia quantistica, un nuovo modo per crittare i dati, che fa uso delle particelle elementari. Futuro, sicuramente, ma affascinante.

Tra le oltre 300 sessioni parallele di eAcademy se ne è tenuta una che ha buttato veramente il pensiero oltre l’ostacolo del presente e ha messo sul piatto un tema che solo a citarlo sembra ostico, ma tratteggia un quadro che nella pratica è realmente affascinante: la crittografia quantistica. Trattasi, per banalizzare, di sicurezza nella trasmissione dei dati, e ci perdonerà per questo il relatore della sessione, Andrea Pasquinucci, professore, nel comitato organizzativo del Clusit) ed esponente di Aipsi, un’associazione di cultura per la sicurezza informatica.


La crittografia quantistica serve a creare e distribuire chiavi segrete utilizzando le particelle elementari non relativistiche, ovvero quelle subatomiche, nella fattispecie, i fotoni.


La sigla inglese per descrivere la materia è Qkd, derivata da Quantum key distribution. Non a caso il principale protocollo che al momento regola la disciplina si chiama QKD BB84.


Parlarne adesso significa proseguire sul filone di incontro fra fisica e It che è lo stesso impostato da organizzazioni di ricerca, come il Cern e che, in altri campi, ha portato all’ideazione del grid computing e alla creazione di aggregati di calcolo scientifico come i supercomputer.


Qui si tratta, quindi, di utilizzare le particelle elementari per dare vita ai processi informatici, cercando anche di dare ragione alla Legge di Moore, quella che fissa il raddoppio della capacità elaborativa ogni 18 mesi, ma che deve anche fronteggaiare la continua miniaturizzazione dei circuiti. Tanto che c’è chi ha ipotizzato che per il 2010 il materiale a disposizione per creare circuiti sarà circoscritto a una manciata di atomi.


Venendo alle caratteristiche fisiche delle particelle elementari fotoniche, va considerato che non le si può misurare senza perturbarle. Ovvero, nel semplice atto della loro osservazione, magari con un microscopio elettronico, queste cambiano di aspetto, se va bene, o addirittura vengono distrutte. Per lo stesso motivo, i fotoni non sono duplicabili.


Sotto il profilo della sicurezza, quindi, i fotoni presentano la caratteristica unica di non essere copiabili e, nel caso siano intercettati, di alterare il loro contenuto, in modo che chi lo cattura non se ne può fare nulla.


Il difficile, evidentemente, è trasformare una particella elementare in un bit. Per questo esistono e sono allo studio elaboratori quantistici (Ibm, per esempio ne ha già un prototipo da quattro anni) che saranno presumibilmente commerciabili, guardacaso, per il 2010.


Di fatto, questi elaboratori codificano un bit della chiave per ogni fotone, e consegnano l’algoritmo a un trasmettitore, che invia la stringa (cioè un flusso di fotoni) al ricevente abilitato. Se nel percorso di trasmissione, il flusso fotonico viene intercettato, si modifica e, sia il ricevente si accorge dell’accaduto, sia l’intercettatore non se ne fa nulla di ciò che ha carpito. Questa, si capisce, è sicurezza allo stato massimo. Costosa, comunque, molto costola.


Il problema è dato anche dalle infrastrutture di collegamento. Quelle in fibra ottica sono limitate a un centinaio di chilometri: percorso, ricordiamo, che non può essere interrotto se si vuole che la stringa fotonica porti i dati a destinazione, ovvero le particelle non possono essere in nessun modo toccate. Serve, dunque, un pezzo di fibra unico. Peraltro, la fisica dice che più lunga è la distanza, e più il segnale si attenua e di conseguenza i fotoni rischiano di non raggiungere perfettamente la destinazione.


Si sta provando, allora la trasmissione nello spazio libero. Qui i problemi sono due: il maltempo e la necessità che trasmettitore e ricevente siano in linea di visuale. Ovvero, la situazione ottimale potrebbe essere quella dell’uso del satellite, a fare da ponte fra due dispositivi di comunicazione posti in alto, sui tetti dei palazzi.
Sembra un futuro da science fiction e per certi versi lo è, ma per la sicurezza dei dati è sicuramente allettante.

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