Da un’indagine Federcomin e Anasin su come si lavora nell’informatica è emersa la richiesta di regolare con più precisione la professione degli addetti all’Ict italiana
Un contratto per chi si occupa di Ict. Questa è la necessità di gran parte delle medie e grandi aziende informatiche emersa in margine a una ricerca, commissionata al Censis da Federcomin e Anasin, due associazioni di categoria aderenti a Confindustria, e presentata in un convegno sul “Lavoro nelle nuove tecnologie” presso la Camera dei Deputati.
Secondo l’indagine, il 56,5% delle imprese intervistate, rappresentative di realtà piccole e medio-grandi, adotta oggi un contratto di lavoro nazionale (il 92,6% nelle imprese fino a 99 dipendenti e il 48,3% nelle piccole aziende). Inoltre la metà dei casi (nel 54,7% per la precisione) si tratta del contratto del commercio, mentre quello dei metalmeccanici è adottato dal 40,5% delle imprese.
Incongruenze
di base
Tutti e due i contratti sono però considerati, secondo un comunicato delle due associazioni, “troppo distanti dalle esigenze aziendali e non confacenti alle necessità organizzative e produttive”.
Di qui la richiesta di porre mano a un nuovo contratto ad hoc. Non è la prima iniziativa in questo senso che emerge dal settore Ict. Di recente, un lavoro in questo senso è stato avviato anche per il settore dei call center, incontrando la disponibilità di qualche organizzazione sindacale. Se questa iniziativa andrà avanti, non sarà però facile trovare una soluzione comune. Infatti, dalla stessa ricerca, molto ampia e pubblicata integralmente sul sito www.federcomin.it, emerge che il settore informatico è estremamente frammentato al suo interno, non solo per dimensione di impresa ma anche per tipo di attività. Basti pensare che il 70% delle aziende hanno meno di 11 dipendenti e che lo sviluppo del software occupa il 42,5% degli intervistati e la consulenza il 17,6%, la fornitura di servizi outsourcing il 7,4 per cento. Seguono l’installazione e la manutenzione di hardware e software (5,4%) e di reti locali (4,1%).
Indipendente
o dipendente?
Inoltre, ci sono diversi pesi nel rapporto fra lavoratori dipendenti e indipendenti. Nelle piccole realtà l’area del lavoro dipendente rappresenta il 46,7% mentre in quelle più grandi si sale al 67,5 per cento. Se nelle piccole imprese la maggioranza dei lavoratori sono indipendenti, in quelle grandi la quota degli atipici riguarda solo il 24,5 per cento (più un 8% di indipendenti), per lo più collaboratori occasionali e non para-subordinati. Senza parlare, infine, della grande quantità di profili professionali presenti nel settore Itc, aumentata ulteriormente dalla diffusione di attività legate a Internet.
Ci sono però diversi elementi comuni che possono aiutare un processo di unificazione anche contrattuale. Il 92% degli addetti ha meno di 45 anni, quasi il 70% dei dipendenti ha un diploma di scuola media superiore ed esiste un’ampia quota di laureati (il 29%). Inoltre, in quasi l’80% delle piccole aziende Ict esistono attività di formazione, dato molto più alto che in altri settori. Infine, è molto alto l’uso di tecniche di incentivazione: nel 71% dei casi, attraverso il coinvolgimento nella individuazione degli obiettivi aziendali e nel 50 per cento di quote della retribuzione legate ad incentivi. Dall’indagine emerge infine la forte presenza nelle piccole imprese (sottolineata dall’86,8 per cento degli intervistati) di un’esigenza di autonomia professionale, contrapposta al rapporto di dipendenza.