Un anno di Berlusconi. Il bilancio per l’economia e le imprese

Dodici mesi di emergenze dalla corsa del petrolio fino alla crisi e al terremoto. Con qualche mossa azzeccata, molti annunci e pochi soldi veri

Stretto fra un debito pubblico imponente e una serie di emergenze, petrolio, crisi, terremoto, il primo anno del governo Berlusconi (dal punto di vista dell’economia e delle imprese) scorre fra annunci a effetto e pochi soldi veri.
35 decreti legge in 12 mesi, il doppio del governo Prodi, 31 disegni di legge, 39 ratifiche di leggi internazionali con 56 provvedimenti su 68 di iniziativa governativa e 15 ricorsi al voto di fiducia, sono i numeri principali del primo anno di vita dell’esecutivo che indicano una difficoltà del Parlamento a esercitare la sua funzione legislativa sempre più spesso demandata al governo.
Ma questi sono altri problemi.


Per quanto riguarda l’economia, invece, in una conferenza stampa Silvio Berlusconi si è dichiarato soddisfatto dell’anno appena trascorso. “Credo che abbiamo sicuramente alle nostra spalle un anno positivo e sono orgoglioso della collaborazione che c’è stata nella squadra di governo. Per questo ho sollecitato i ministri a tirare i conti sul primo anno di attività e sulle tante cose prodotte da ciascuno”.

Il premier non rinuncia al suo abituale ottimismo anche se l’anno appena trascorso, da maggio a maggio, si merita senza alcun dubbio la qualifica di annus horribilis.
Come hanno osservato Sebastiano Barisoni e Dino Pesole in Focus Economia a Radio 24, i primi 12 mesi del governo possono essere divisi in due periodi entrambi però caratterizzati da una serie di emergenze. La prima parte dura quattro mesi e si esaurisce in agosto. Sono i giorni della crescita impetuosa del prezzo del petrolio che qualcuno pronostica a 170 dollari al barile e che chiude la sua corsa l’11 luglio del 2008 a 147,50 dollari precedendo di pochi giorni l’annuncio di Geroge Bush, allora ancora presidente degli Usa che, come ha ricordato l’economista Giacomo Vaciago il 14 annunciò l’autorizzazione delle trivellazioni off shore fermando la corsa del greggio.

Sostenuta dall’aumento del petrolio anche l’inflazione aveva ricominciato a crescere in attesa dello scoppio a settembre della crisi globale con il crollo delle borse e i salvataggi delle banche americane.
Nei primi quattro mesi l’azione di governo si caratterizza per
l’abolizione dell’Ici, la Robin tax (la tassa per le aziende petrolifere) e il varo anticipato della Finanziaria a luglio. E’ questa, secondo la firma del Sole 24 ore Dino Pesole, la vera
mossa azzeccata del ministro Tremonti che mette in sicurezza i conti, evita il classico assalto alla diligenza, con un piano da trenta miliardi in tre anni non emendabile.

Questa prima fase comprende anche l’abolizione dell’Ici (2,2 miliardi di euro) e la defiscalizzazione degli straordinari, provvedimenti contestati da molti economisti. I soldi dell’Ici in particolare avrebbero fatto molto comodo più avanti per irrobustire il pacchetto anti crisi. La altrettanto contestata vicenda Alitalia, con relativo esborso del denaro pubblico, rientra nei primi mesi di attività che si chiudono con le vacanze.


Nonostante la Finanziaria anticipata, osserva però Pesole, successivamente l’esecutivo è stato costretto a intervenire con altri provvedimenti, sorta di mini-finanziarie costretto dall’incombere della crisi.


In definitiva si è cercato di fare fronte alla situazione con una serie di interventi dei quali però a oggi non è chiaro l’importo. Si parlava di ottanta miliardi di euro all’interno dei quali però ci sono anche gli stanziamenti dirottati dai fondi europei che sono andati a sostenere le infrastrutture. 16 miliardi sono stati poi sbloccati dal Cipe per le grandi opere.


Con settembre lo scenario volge decisamente al brutto. L’obbligo è di sostenere le banche, anche perché se si fermano gli istituti di credito si ferma l’economia. Per le imprese sono tre i provvedimenti principali. Il primo riguarda la sospensione degli acconti fiscali Irap e Ires. “Ma – commenta Pesole – è un beneficio momentaneo. Adesso bisognerà versarli nel saldo di giugno”. Poi c’è la polemica con Confindustria che porta il presidente Emma Marcegaglia a chiedere “soldi veri”.

“Rischiamo di perdere nei prossimi mesi i veri campioni del made in Italy. Per questo vogliamo vedere la massima collaborazione fra governo banca d’Italia banche e imprese. Adesso servono soldi veri. I denari a sostegno delle imprese devono essere veri, certi e soprattutto devono arrivare subito”. Così parlò Marcegaglia al convegno della Piccola industria di Confindustria il 14 marzo 2009 a Palermo.

Il presidente di Confindustria chiede soldi veri perché un
conto è annunciare i finanziamenti e un conto è fare arrivare veramente i denari. Tanto è vero che ci volle un ulteriore incontro a Palazzo Chigi con Berlusconi e Tremonti per un impegno di 1,3 miliardi che sommati ai Confidi e calcolando l’effetto leva generavano 60-70 miliardi disponibili sul mercato.
Questi soldi, osservò all’epoca il presidente di Confindustria, dovranno arrivare subito, nel 2009. Alla fine l’impegno del governo si aggira sui 6,5 miliardi contro i 20 della Francia, i 75 della Spagna, i 41 della Gran Bretagna e i 130 della Germania. Fuori gara gli Stati uniti con quasi 800 miliardi di euro. Sarebbe però troppo facile dire che Berlusconi ha sganciato pochi euro per le imprese. In realtà altri paesi come per esempio la Spagna sono stati colpiti più duramente dalla recessione e soprattutto i partner europei si muovono più agilmente rispetto a noi grazie a un debito pubblico nettamente inferiore.


Poi c’è il capitolo banche. Prima c’è stato l’intervento di Berlusconi e Tremonti che hanno dichiarato che nessuna banca sarebbe fallita. Un annuncio importante per i risparmiatori e per le imprese. Il secondo passaggio è stato il varo dei Tremonti bond, obbligazioni con un tasso d’interesse del 7,5-8,5% che dovrebbero aiutare gli istituti di credito a superare il momento difficile non stringendo i rubinetti del credito. Perché questo è il punto. Nel momento in cui arriva una crisi come quella di questi mesi il problema è salvare le banche anche perché se si fermano loro si ferma il credito alle imprese e quindi l’economia.


I Tremonti bond, che valgono 10-12 miliardi e grazie all’effetto leva arrivano fino a 150, sono stati fino a oggi solo prenotati da banche come Monte Paschi, Banco Popolare, Intesa e Unicredit che non ne hanno ancora potuto usufruire come ha ricordato di recente anche il presidente dell’Abi (Associazione bancaria italiana) Corrado Faissola. Sul mercato, infatti, non è arrivato un quattrino. Magari non ce n’era bisogno, ma se si annuncia un provvedimento sarebbe buona cosa vararlo definitivamente. Anche perché nel frattempo i segnali di credit crunch da parte degli istituti di credito si sono fatti evidenti.


Anche in questo caso sullo sfondo c’è il problema del debito pubblico che secondo la Ue crescerà al 114% del Pil con un rapporto deficit-Pil del 4,5%.


Una parte del debito, ha ricordato poi Pesole, era da rinegoziare. Si tratta di circa 220 miliardi che hanno agitato i sonni di Giulio Tremonti molto preoccupato all’epoca. La crisi colpiva tutti e anche gli altri paesi avevano bisogno di ricorrere ai mercati per trovare finanziamenti. Una situazione difficile che alzava la concorrenza fra i titoli anche per quanto riguarda i rendimenti. Adesso però la situazione sembra più calma, mentre sul fronte delle imprese si aspetta con ansia la revisione degli studi di settore. Ci si aspetta qualche buona notizia dal Fisco.

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