Tempi di pagamento fra imprese: l’Italia migliora

Secondo i risultati dell’indagine annuale condotta da Dun & Bradstreet, dopo tre anni di stasi, i ritardi medi di pagamento nel nostro Paese sono scesi da 17 a 16 giorni. Lontano, ma non irraggiungibile, l’allineamento con la media europea passata da 15 a 13 giorni

L’indagine annuale condotta da Dun & Bradstreet sui
tempi di pagamento fra imprese in Italia e in Europa mostra che i ritardi medi
di pagamento nel nostro Paese sono passati da 17 a 16 giorni. Secondo la società
americana, che offre servizi essenziali per il business fra aziende, in Europa i
pagamenti che vanno oltre le scadenze pattuite sono invece passati da 15 a 13
giorni.
Dopo ben tre anni in cui non si registrava alcun miglioramento in
Italia, le rilevazioni mostrano dunque progressi limitati, ma pur sempre
apprezzabili, considerato il relativo allineamento alla media europea dei
termini pattuiti, che ha visto l’Italia migliorare nelle fasce standard 30-60-90
giorni.
Nell'”Analisi dei pagamenti in Italia e in Europa 2000″ redatta con
il patrocinio di Sda Bocconi e del Dipartimento di Scienze dell’Economia
dell’Università Cattolica di Milano, e con la collaborazione delle Associazioni
dei Credit manager Italiani (Acmi) e dei Tesorieri d’Impresa (Aiti), non è
dunque più possibile parlare di “caso Italia”. Se è vero infatti che le aziende
italiane sono ancora lontane dai parametri comportamentali di quelle tedesche, è
altrettanto vero che non lo sono più rispetto a quelli delle aziende francesi o
britanniche.
Tra il 1999 e il 2000 la percentuale delle pattuizioni entro i
60 giorni (comprese anche quelle con termini inferiori), è rimasta intorno al
76%. Le variazioni più significative sono avvenute per le pattuizioni per pronta
cassa, scese dal 9,3 al 7,2%; per le pattuizioni entro i 15-30 giorni, aumentate
dal 30 al 32,3%, e per le pattuizioni a 120 giorni, aumentate dal 4,5 al
5,4%.
Secondo l’analisi, inoltre, la grande impresa è sempre più orientata a
termini di pagamento compresi tra i 60 e i 90 giorni, in cui sono collocabili il
72,3% delle transazioni, mentre un po’ tutte le imprese, piccole, medie e
grandi, si sono allineate alle classi di riferimento 30-60-90 giorni, riducendo
così le difformità di comportamento che caratterizzavano le grandi aziende fino
a poco tempo fa.
La “struttura del ritardo” rilevata per il 2000 rimane
sostanzialmente simile a quella rilevata un anno fa: i pagamenti regolati per
tempo o con non più di 15 giorni di ritardo sono il 63,3%; il 24,3% con ritardi
tra i 16 e i 36 giorni, il 5,5% con ritardi da 31 a 60 giorni, il 2,8% con
ritardi da 61 a 90 giorni e il 3,9% con ritardi superiori ai 90 giorni. Fermo
restando che i ritardi oltre i 30 giorni non superano il 12,2% dei
casi.
Ritardi superiori alla media sono stati riscontrati in settori come la
Pubblica Amministrazione (addirittura dell’ordine dei 23 giorni), nel commercio
al dettaglio (22 giorni), nei servizi (18 giorni), nell’agricoltura e nei
servizi finanziari (17 giorni).
Andamenti migliori sono invece stati
riscontrati nell’industria manifatturiera (12 giorni), e nell’edilizia (15
giorni).
Al di là dei progressi conseguiti, la situazione rilevata in Italia
evidenzia ancora un elevato fabbisogno di capitale circolante e di maggiori
costi finanziari e amministrativi per le imprese dotate di minore potere
contrattuale, e in particolare per le piccole medie imprese di cui è ricco il
nostro tessuto economico.

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