Supercomputer Ora un fenomeno anche commerciale

Con l’arrivo di Ibm, che colloca il “mostro” Blue Gene/L (derivazione del sistema per lo studio della proteomica) nel contesto degli eServer, il supercomputing diventa un tema di mercato. Prima della mossa di Big Blue, quelle di Cray, Nec e Microsoft. E Hp aspetta tutti al varco.

L’High performance computing (Hpc) sta vivendo un autunno da leoni. Il settore in cui Hp eccelle, per via della capacità di offrire piattaforme basate su architetture a 64 bit industry standard (Intel Itanium e Xeon e Amd Opteron) e su sistemi Pa-Risc e Alpha, ha incamerato nel giro di un mese un’iniezione di "combustibile". Si tratta di un settore presidiato anche da Sun, Sgi e pure da Apple, con l’Xserve, ovvero da società con retaggio Unix, ma che, per un verso o per l’altro, hanno aperto ad architetture hardware "popolari".


Si sta configurando, quindi, un nuovo fronte di mercato, detto delle alte potenze elaborative erogate da un super-sistema, che fa il paio, spesso intersecandone il cammino, con quello del grid. E lo fa non prima di aver ricevuto la "benedizione" di Microsoft.

Windows "tifa" i 64 bit estesi


A fine estate la server division di Redmond aveva posto le basi per portare Windows Server 2003 su implementazioni di Hpc per il 2005. Il nuovo sistema operativo, perché di tale si tratta, Windows Server 2003 Compute Cluster Edition, sarà in beta per il prossimo marzo (a breve, sarà pronto l’Sdk) e integrerà le funzioni di sistema dell’Os server con applicazioni classiche degli ambiti high performance, ovvero, un cluster manager, uno scheduler e un’implementazione del protocollo Message Passing Interface (Mpi). La novità è data dalla decisione di Redmond di supportare all’inizio i processori x86 estesi a 64 bit e non gli Itanium 2. Decisione contrastata, civilmente, da Hp, che preme affinché Microsoft riveda le proprie posizioni.


Da poco, invece, Cray ha iniziato la vendita dei mini-supercomputer Xd1, sistemi che fanno volano sulla tecnologia proveniente dall’acquisizione di OctigaBay. Sono supercomputer in scala ridotta con a bordo processori Amd Opteron e Linux. In un singolo chassis compaiono fino a 12 Cpu di Amd, per comporre una macchina da 50mila dollari. La destinazione di mercato è quell’area di competizione con i cluster di server, generalmente con Linux, che realizzano, aggregandosi, un supercomputer virtuale, anche tramite Mpi.

Teraflop giapponesi


Nec, poi, ha annunciato la disponibilità del supercomputer vettoriale Sx-8, capace di prestazioni di picco di 65 Tflop, ovvero, 65 trilioni di operazioni in virgola mobile al secondo. Il modello single-node (fino a 8 Cpu) raggiunge una performance vettoriale di picco di 128 Gflop, mentre il modello multi-node raggiunge la prestazione vettoriale di 65 Tflop nella configurazione a 512 nodi. Il trasferimento dati tra Cpu e memoria è di 262 Tb/s e la capacità di memoria arriva fino a 64 Tb. L’obiettivo della casa nipponica è di vendere oltre 700 unità Sx-8 nei prossimi tre anni. Nec lo propone anche a noleggio mensile, a partire da oltre un milione di yen.


È poi arrivato, finalmente, il giorno di Blue Gene/L, ovvero la versione "commerciale" del supercomputer che Ibm ha messo in cantiere anni orsono, per dare alla comunità della ricerca scientifica uno strumento che potesse essere in grado di condurre gli studi sulla proteomica. Ennesimo caso di quella tecnologia che nasce per fini "alti", e poi cala sul mercato con forme, dimensioni e costi più consoni, Blue Gene L è il "terminale offensivo" della squadra tecnologica di Ibm, pur trattandosi di un sistema che costa 1,5 milioni di dollari.


Tanto, come valore assoluto, poco se si pensa alla tecnologia retrostante. Di fatto, comunque, la versione alleggerita del supercomputer partito quattro anni fa come progetto per lo studio delle proteine che compongono il Dna, e quindi come atto finale nei tentativi che l’uomo può fare per svelare il segreto della vita e delle sue difformi manifestazioni, ora entra a far parte della famiglia degli eServer. Al pari, quindi, non solo dei mainframe, ma anche dei server cosiddetti industry standard.

Un eServer "come un altro"


Il marchio del supercomputer, infatti, è eServer Blue Gene. Ibm lo propone in configurazioni che partono da uno e arrivano a 64 rack, con 1.024 processori per ogni armadio. Già la configurazione a 16 rack, secondo uno speed test (per quanto non esente da imprecisioni) chiamato Linpack, risulta essere la più potente in fatto di elaborazione di informazioni, essendo in grado di lavorare 70,7 trilioni di dati al secondo (70,7 Teraflop).


Ad architettura ibrida, i Blue Gene/L montano processori Power dual core, con doppio processore matematico. Ogni core si può dedicare a operazioni di calcolo, oppure uno dei due può dedicarsi alla gestione delle comunicazioni.


Dal punto di vista della concezione architetturale, quindi, per alcuni Blue Gene/L richiama la conformazione di un cluster Linux. Sistema operativo, peraltro, che può girare sul supercomputer di Big Blue così come sui nuovi p5-575 (SuSe e RedHat), server a otto processori clusterizzabili per applicazioni di supercomputing. In rilascio per il primo trimestre del 2005, i nuovi server basati su Power5 a 1,9 GHz, con anche Aix 5L, e con cache di 36 Mb per ogni core, tracciano una linea di continuità fra l’offerta sistemica "normale" e quella di supercomputing.

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