Strategie di formazione in linea con il business da Learning Systems

Per una società che fa training è importante riuscire a entrare in sintonia con il sistema aziendale e aiutare il management a definire quali sono le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Molte aziende, oggi, hanno il problema di non riuscire a concretizzare le strategie che hanno concepito ed elaborato. Due pennellate di critica, e i guru del mercato ci riportano alla realtà dei fatti: le imprese, pressate dai ritmi del business, fanno fatica a identificare le competenze chiave e le best practice che generano valore aggiunto ai loro risultati operativi. “Quello che oggi serve è aiutare i manager a capire quali strategie siano compatibili con le capacità di realizzazione della loro organizzazione e quali gli obiettivi di business che vogliono raggiungere – spiega Hermes Pierotti, presidente di Learning Systems, intervistato da Linea Edp -. Solo così è possibile definire un piano delle competenze necessarie che permetta di sviluppare un progetto di formazione efficace e mirato. La formazione deve essere intesa prima di tutto come un partner di gestione”.


 


Lei sostiene che, in realtà, la difficoltà di calcolare il ritorno degli investimenti per la formazione è solo un pretesto che nasconde problemi più complessi…


“Il sospetto è che le difficoltà vere non risiedano tanto nella misurazione dei risultati di un progetto formativo quanto, piuttosto, nella criticità della fase di definizione degli obiettivi. In pratica, gli ostacoli sono di natura culturale, prima ancora che di natura tecnica. Più che nelle insidie metodologiche di un qualsivoglia sistema di valutazione, infatti, la vera sfida consiste nel saper rielaborare il processo di genesi di un progetto formativo. La posta in gioco va ben oltre il calcolo del budget da stanziare: si tratta di posizionare la formazione e lo sviluppo come parte del sistema globale di performance dell’organizzazione; di qualificarli come risorse e come leve strategiche di crescita; di indurre l’alta direzione a considerarli in termini di valore incrementale; di fare delle competenze un fattore di differenziazione competitiva. Questo significa che la società che eroga formazione deve poter entrare in sintonia con il sistema di business aziendale per evidenziare i “fattori critici di successo” e per declinare questi ultimi in termini di competenze necessarie, nell’accezione più ampia: cultura d’impresa, modelli e valori, conoscenze e skill. È molto importante aiutare il management a definire quali siano le competenze cruciali più funzionali ai risultati dell’impresa. È un processo talvolta molto impegnativo, ma è anche la formula più evidente per concretizzare quali siano i punti critici e di forza di un’azienda e quali le strategie per il cambiamento”.


Un progetto formativo così inteso presuppone un intervento ad ampio raggio da parte della società erogatrice: analisi preliminare, definizione degli obiettivi, elaborazione di un progetto di formazione o di sviluppo organizzativo e sistemi di valutazione per misurare l’apprendimento e gli incrementi di prestazione. Non sempre, però, le aziende hanno tempo e risorse per sostenere un lavoro così impegnativo…


“Il delta di apprendimento si evince da un’analisi accurata della situazione prima e dopo “la cura”. Il fatto è che quando un’azienda capisce l’importanza della formazione, cambia la percezione dell’investimento e non è un caso che i rapporti con i nostri clienti si siano consolidati nell’arco di molti anni. Misurare, prima e dopo, può costare; ma sempre meno di quanto costerebbe non far crescere le competenze cruciali per il business o fare formazione a pioggia, senza differenziazione per individui e per priorità aziendali. La formazione è un fattore di business: per questo la prima domanda che poniamo a chi chiede il nostro intervento è “quali sono i vostri obiettivi di business”. È questa l’unica chiave di lettura quando si parla di scala di apprendimento aziendale, perché le risorse umane diventano capitale solo se sono capaci di essere determinanti per la vision e per le strategie di business”.


Quali sono i criteri che vi permettono di misurare le competenze necessarie a un’azienda?


“La misurazione delle conoscenze avviene attraverso test, oppure domande a risposta multipla, oppure ancora la valutazione del responsabile gerarchico, mentre le abilità si definiscono più efficacemente attraverso un sistema a 360°, in cui ognuno valuta se stesso e chiede confronti e valutazioni al proprio responsabile, a colleghi, a collaboratori, persino a clienti. Il tutto nella più rigorosa riservatezza. Il risultato di tutto questo lavoro permette di identificare meglio i piani di sviluppo delle risorse e di corredare tali piani di obiettivi di prestazione, a livello di produttività, redditività e qualità dei processi interni. Riguardo al valore finale del Roi, va sottolineato che deve esprimere il net value dello sforzo di sviluppo prodotto e sarà significativo solo se l’intervento formativo sarà stato progettato secondo la sequenza già descritta: partendo dagli obiettivi di business, da questi si ricavano i delta di competenze attesi e si oggettivizza tutto il percorso”.


Tra i vostri clienti, figurano i major vendor della Gdo, grandi gruppi industriali e di servizi e imprese del settore Ict. Cambiano le problematiche d’approccio?


“Per quanto riguarda la dimensione aziendale, non vi sono barriere per le Pmi, né tecniche, né economiche: è essenzialmente un problema di cultura, di familiarità, di sensibilità a bisogni che vadano oltre i “soli” bisogni di formazione tecnica. Per quanto riguarda i settori di industry, rileviamo maggiori “resistenze” laddove la tecnologia di prodotto appaia dominante e le si affidi la propria differenziazione competitiva. Il settore Edp si trova in un radicale processo di innovazione, imperniato sulle sfide che solitamente si trovano a fronteggiare i mercati in transizione da una dominanza di prodotto/tecnologia verso un’integrazione di prodotto/servizio/ applicazione. Riteniamo, in questo contesto, che le opportunità più rilevanti siano: vendita di valore, relazioni con la clientela, team working, gestione dei canali distributivi nell’impresa allargata e brand value delivery. La nostra è un’esperienza consistente su sistemi e filiere complessi, maturata in lustri di attività in settori quali automotive, elettronica di consumo, hi-tech, banking, assicurazioni, telefonia mobile. Settori che hanno vissuto transizioni accelerate da product dominance a value proposition, e tempi di evoluzione rapidissimi delle relazioni tra produttori dominanti, spesso multinazionali in posizioni di oligopolio, a relazioni più articolate, e talvolta competitive, con canali connotati da proprie strategie di brand e con proprie autonomie di coltivazione dei mercati locali”.


Quali sono le resistenze maggiori che i clienti mostrano nei confronti del vostro intervento?


“Talvolta temono intrusioni eccessive negli ambiti di gestione, ma la formazione non può restarne fuori perché è una leva strategica e non una leva culturale/sovrastrutturale. Altre volte temono costi inusuali, solo perché la formazione può sembrare una categoria “volatile”: ma si provi a fare un confronto con i costi gestionali delle inefficienze o delle opportunità “perse”… Può capitare anche che ci sia la paura di incrinare il clima, perché la misurazione e la valutazione sono, in prima approssimazione, vissute dagli individui come minaccianti. Ma la chiave sta nei processi di coinvolgimento preliminare e nella comunicazione interna. All’inizio, i singoli sono circospetti, ma poi prevale la forte motivazione di conoscere quali siano i propri punti di forza e debolezza e di confrontarsi con le medie. In fondo, tutti aspiriamo a conoscerci meglio e a sapere come gli altri ci vedono, a patto che il sistema di giudizio sia equo e le iniziative siano costruttive, non sanzionatorie! In ogni caso, quando ci si rende conto che il peggio che possa capitare è un progetto o un intervento formativo, in genere le barriere cadono tutte: in fondo “la formazione è una porta chiusa dall’interno” e la disponibilità degli individui è determinante”.

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