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Startup e venture capital, analisi dei dati italiani

Creare una startup non è una missione per giovani. Così sembra, dando un’occhiata ai risultati della prima analisi fatta dall’Istat sulle neoimprese italiane.

I dati non sono proprio freschissimi visto che fanno riferimento al 2016, ma lo Startup Survey 2016, al quale hanno partecipato 2.250 aziende, dice che i neo imprenditori hanno in media 43 anni, nell’82% dei casi sono uomini e per il 73% è laureato. una laurea (soprattutto in economia o ingegneria).

Quasi tutti conoscono almeno una lingua straniera e la metà ha avuto esperinze di studio o lavoro all’estero.

Alle spalle solo il 20% ha un padre imprenditore, il 34,8% è figlio di un impiegato o di un operaio, mentre il 24,1% di un dirigente o di un quadro. Spesso la startup la apre nel suo territorio di origine che nella maggior parte dei casi è una regione del Centro o del Nord.

Poco presenti i venture capital

Secondo Giorgio Alleva, presidente dell’IstatSi tratta di imprese condotte da giovani (43 anni giovani? Ndr) che impiegano giovani con elevati livelli d’istruzione. Lo sviluppo e la crescita delle start up – ha aggiunto – possono rappresentare uno strumento di valorizzazione del capitale umano, un elemento chiave in un Paese dove l’ampiezza del disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro appare molto elevata, soprattutto fra i giovani”.

Per alcuni di loro i soldi non sembra siano un problema. Infatti nonostante solo una startup su dieci ha ricevuto denaro per una partecipazione azionaria da un venture capital o da altri finanziatori il 34% degli imprenditori innovativi si dichiara “pienamente” soddisfatto delle fonti di finanziamento.

In oltre tre casi su quattro, il 100% dei fondi necessari all’avvio d’impresa derivano dalle finanze personali dei fondatori”, spiega lo studio che va in dettaglio spiegando che “1 su 4 ha avuto accesso al credito bancario, circa il 15% a finanziamenti pubblici e l’11,2% a finanziamenti in capitale di rischio (inclusi venture capital e Business Angel), le startup sostenute prevalentemente da investitori in capitale di rischio sono rare (7,3%)”.

La maggioranza delle realtà (68,4%) non ha cercato finanziamenti da fondi di venture capital, da altre aziende o con campagne di equity crowdfunding. Secondo Mise e Istat “ben il 65,7% delle imprese dichiara che la forma di finanziamento ottimale che auspicherebbero è rappresentata da un mix tra equity (capitale di rischio) e debito”.

Circa il 60% impiega almeno un dipendente: nella metà dei casi si tratta di persone tra i 25 e i 34 anni di età e circa tre su quattro sono uomini. Le forme contrattuali prevalenti sono quelle atipiche, per lo più contratti a progetto, e l’incidenza dei dipendenti donna è decisamente più bassa tra i dirigenti rispetto a impiegati e i tirocinanti. In questo le startup non hanno nulla di innovativo.

Tra l’altro se si analizza la presenza femminile si scopre che le startupper sono più giovani, il 29% di loro ha meno di 34 anni contro il 25,9%degli uomini, e hanno un titolo di studio più elevato rispetto ai colleghi uomini. Il 78,9% contro il 72,8% per quanto riguarda la laurea, 21% contro 16% per il dottorato di ricerca e 8% contro 5% nel caso di un master di I o II livello.

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