SanDisk ha rilasciato SPRandom, uno strumento open source che interviene su un nodo critico del benchmarking degli SSD enterprise: il tempo e il costo computazionale necessari per portare unità di grande capacità in steady state prima dei test prestazionali.
Il punto centrale non è accelerare i benchmark “per fare prima”, ma ripristinare significato tecnico ai risultati in un contesto in cui le capacità degli SSD hanno superato i modelli di test tradizionali.
Il vero problema del preconditioning oggi
Il preconditioning serve a eliminare gli effetti transitori iniziali di un SSD nuovo o poco usato. In questa fase il controller, la Flash Translation Layer (FTL), i meccanismi di wear leveling e di garbage collection non sono ancora sotto pressione. I benchmark eseguiti in queste condizioni restituiscono numeri irrealistici.
Il metodo classico prevede:
scritture sequenziali complete del drive,
successive scritture casuali a elevata intensità,
ripetizione dei cicli fino alla stabilizzazione di latenza e throughput.
Questo approccio funzionava quando gli SSD erano da pochi terabyte. Con unità da 16, 32, 64 TB e oltre, il modello collassa. Non per limiti teorici, ma per tempi incompatibili con qualsiasi ciclo di validazione moderno. Riempire e “stressare” completamente un SSD da 64 TB con workload tradizionali può richiedere settimane di I/O continuo.
Il risultato è che molti test vengono:
- accorciati,
- semplificati,
- oppure eseguiti su condizioni non realmente stazionarie.
Perché il preconditioning tradizionale è inefficiente
Il punto tecnico chiave è che i workload classici non distribuiscono l’entropia in modo efficiente sull’indirizzamento logico e fisico del drive. Si ottiene sì una saturazione progressiva, ma con una copertura lenta delle strutture interne della FTL, soprattutto su SSD di grande capacità, dove le mappe logiche e i blocchi fisici sono enormi.
In pratica:
la pressione sulla garbage collection cresce lentamente,
il wear leveling entra in regime troppo tardi,
le code interne del controller non riflettono carichi reali.
Il tempo perso non è “lavoro utile”, ma ripetizione ridondante di pattern prevedibili.
L’approccio SPRandom: pseudo-casualità controllata
SPRandom cambia radicalmente la strategia. Invece di basarsi su lunghi cicli di scrittura tradizionali, utilizza un pattern pseudo-casuale ad alta entropia, progettato per:
coprire rapidamente l’intero spazio logico,
stimolare precocemente la FTL,
attivare in anticipo garbage collection e wear leveling.
La chiave è l’integrazione con fio, che consente di controllare in modo estremamente fine:
distribuzione degli indirizzi,
dimensione dei blocchi,
mix di operazioni,
queue depth e concorrenza.
Il risultato è un carico che “disordina” lo stato interno dell’SSD molto più rapidamente, portando il drive in una condizione statisticamente equivalente allo steady state reale, ma in una frazione del tempo.
I numeri contano, ma vanno letti correttamente
SanDisk comunica una riduzione del tempo di preconditioning:
da oltre 160 ore a circa 6,2 ore su SSD da 32 TB,
da settimane a poche ore su unità da 64 TB e oltre.
Il dato rilevante non è solo la riduzione temporale, ma la conservazione della validità del risultato. SPRandom non “trucca” il drive né forza stati artificiali: accelera l’ingresso in regime sollecitando prima le componenti che normalmente entrano in gioco solo dopo enormi volumi di I/O.
Open source: scelta tecnica, non solo politica
SPRandom è open source e utilizzabile anche con SSD di altri vendor. Questo aspetto è tutt’altro che secondario. Il benchmarking soffre da anni di:
- metodologie opache,
- strumenti proprietari,
- risultati difficilmente confrontabili.
Un tool aperto consente alla comunità di:
- verificare il metodo,
- replicare i test,
- adattare i pattern a workload specifici (database, AI, virtualizzazione).
È anche una presa di posizione: il problema del preconditioning non è di un singolo produttore, ma dell’intero settore.
Impatto reale per laboratori, hyperscaler e clienti enterprise
Per chi valida piattaforme storage, SPRandom significa:
- riduzione drastica dei tempi di test,
- maggiore copertura dei casi d’uso reali,
- possibilità di testare più configurazioni a parità di tempo.
Per gli hyperscaler e gli utenti enterprise, il beneficio è indiretto ma cruciale: dati prestazionali più credibili, ottenuti su condizioni di utilizzo realistiche, non su scenari “da brochure”.
Una barriera storica che finalmente cade
Il preconditioning è stato per anni una tassa tecnica inevitabile, sempre più pesante con l’aumento delle capacità. SPRandom non elimina la necessità di preparare i drive, ma dimostra che il modo in cui lo facciamo era ormai obsoleto.
Se questo approccio verrà adottato e standardizzato, il benchmarking degli SSD enterprise potrà finalmente riallinearsi alla realtà operativa, invece di inseguirla con settimane di ritardo.







