Software libero per la Pa

Come cresce il ricorso alle soluzioni open source in tutta Europa, anche grazie ad alcune normative che favoriscono il riuso delle applicazioni create e personalizzate.

Molti sono i termini che vengono utilizzati per indicare il fenomeno dell’open source: software aperto, codice a sorgente aperto, free, libero, Open source software (Oss). Diverse sono anche le declinazioni del concetto di open source. Open source può essere sia un prodotto sviluppato da una sola persona con poche risorse, sia un progetto internazionale al quale lavorano migliaia di persone e che vede l’adesione di giganti dell’industria.

Nella categoria del software libero rientrano, quindi, elementi differenti tra loro, sia per dimensioni che per intenti. Ciononostante, su alcune cose non ci sono dubbi. Innanzitutto, il software free non è un’alternativa a quello commerciale.

Open source non vuole dire gratis, ma indica un modello che si pone in alternativa al modello proprietario il quale concede all’utente solo una licenza di utilizzo senza alcuna possibilità di modificare il codice sorgente dell’applicativo. Un programma è, invece, a sorgente aperto se l’utente, o chi per lui, ha la possibilità di studiare il codice, modificarlo o riassemblarlo secondo le proprie necessità e, soprattutto ridistribuirne sia la copia originale che quella modificata. A testimonianza del fatto che sviluppare software libero non è sinonimo di lavorare gratis, ci sono le iniziative di numerose aziende private, che hanno avviato strategie di sviluppo e commercializzazione di prodotti basate proprio sul software libero.

Molti sono i punti a favore del software aperto, che ne hanno determinato un’adozione crescente, tra pubbliche amministrazione europee e non solo. Ma quali sono le caratteristiche che rendono il software Os particolarmente adatto alle esigenze della Pa? Il bisogno di una migliore interoperabilità, di una migliore sicurezza e di un più conveniente rapporto costi benefici sono tra le prime necessità della Pa a trovare risposte adeguate nella scelta open source. Un altro elemento a favore, come sottolinea il giornalista Paolo Subioli, è «la flessibilità del sistema Oss, che offre molti benefici dal punto di vista dell’adattabilità del software alle esigenze specifiche della realtà che lo adotta, consentendo lo sviluppo di soluzioni personalizzate. Per sfruttare appieno queste potenzialità è, poi, indispensabile disporre di capacità tecnica e commitment della dirigenza, nonché del capitale umano, fatto di programmatori e tecnici del settore, in grado di produrre le soluzioni effettivamente utili. Preferendo soluzioni open source, in linea di massima, si risparmia sul costo del software proprietario, e non è un conto da poco se si pensa che l’amministrazione pubblica italiana spende circa 300 milioni di euro l’anno per comprare software non libero. Si potrebbero, così, investire quelle risorse sui servizi e incentivare, di conseguenza, lo sviluppo dell’industria software italiana. Una scelta open source da parte della Pa potrebbe essere il volano per la crescita di un tessuto di piccole imprese di informatica presenti sul territorio, quasi sempre promosse da giovani».

Una tecnologia che si sviluppa a livello globale, sostenuta anche da grandi colossi dell’informatica, può, come in questo caso, favorire la crescita della ricerca e del tessuto economico a livello locale. Per le piccole realtà territoriali e i piccoli comuni, ancora una volta, la strategia vincente è quella della rete, della cooperazione e condivisione di risorse e competenze, che trova nell’istituzione delle Ali (Alleanze Locali per l’Innovazione) una possibilità di inquadramento. Attorno a ciascun software si possono creare comunità di amministrazioni utilizzatrici, che condividono le problematiche di gestione e si scambiano le soluzioni, nella più tipica ottica del riuso.

«Un altro vantaggio dal punto di vista dell’ente locale – aggiunge Subioli -, è che l’open source migliora il rapporto con i produttori, poiché la singola amministrazione non dipende troppo da un unico fornitore, dal quale deve sempre aspettare le nuove versioni, sperando che contengano proprio quelle modifiche di cui aveva bisogno, poiché essa può rivolgersi, di volta in volta, a un fornitore diverso».

Nel panorama europeo ha fatto notizia il coraggioso piano di migrazione a software libero operato dalla città di Monaco di Baviera, attraverso il passaggio dei suoi 14.000 computer dal sistema operativo Windows a Linux. Oltre all’implementazione di sistemi operativi open source, Monaco prevede anche di passare dal software di produttività Office di Microsoft al prodotto open source OpenOffice. «Questa decisione strategica – chiarisce Christian Ude, sindaco della città – renderà Monaco meno dipendente da un unico fornitore It e darà avvio a un trend di maggiore competitività sul mercato».

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