Software "libero" ieri come oggi

Ecco l’iter legislativo di una problematica complessa che risale al 1973. Oggi si sta ancora discutendo sul da farsi. Ma le Pmi non dormono sonni tranquilli

Aprile 2005, All’alba dei tempi, l’European patent convention del
1973 specificava che gli algoritmi, i ragionamenti, i modelli di business, i
programmi per pc o le presentazioni non potessero essere soggetti a brevettabilità.
Ma, nel 2002, la Commissione europea per il mercato interno innescò involontariamente
un polverone ben lontano dall’essere placato. La Commissione propose il documento
2002/0047 come direttiva sulla "patentabilità delle invenzioni implementate
sui computer". Se la dicitura era poco precisa, a quel tempo era molto
chiaro lo scopo della direttiva: uniformare le diverse legislazioni degli Stati
membri e dare delle regole precise. Ovvero, stabilire assiomi e strumenti per
l’operatività dell’Ufficio brevetti europeo. A quei tempi anche un altro
fatto era evidente: non si sarebbe considerato il caso dei programmi per computer.
Dopo un anno, il 24 settembre 2003, il Parlamento europeo riunito in assemblea
plenaria votò per includere una serie di emendamenti nella direttiva
originale risultato di un anno di lavoro dei comitati parlamentari per la cultura
e l’industria. Da qui la direttiva prende un sentiero decisamente impervio e
l’idea originale di semplificare le procedure e di uniformare le regole si perde
nei meandri della burocrazia. La direttiva passa dal comitato per gli affari
legali che esegue alcune modifiche e poi arriva a un gruppo di lavoro specifico
creato all’interno del consiglio dei ministri dell’Unione europea. Passano mesi
di negoziati segreti, giustificati ufficialmente: "A causa della particolare
natura dei negoziati e dell’assenza di un palese interesse pubblico".
Si arriva al 18 maggio del 2004. Il Consiglio dei ministri dell’Unione europea
approva, con una maggioranza minima, il testo modificato in cui, tra tutti gli
stravolgimenti, è stato inserito anche il caso della brevettabilità
delle parti di software. Le cronache su questa votazione e sulle ambiguità
della legge si sprecarono. Nonostante i fautori delle modifiche cercassero di
minimizzare gli effetti, non furono in grado di fare degli esempi di pezzi di
software non brevettabili e si disse anche che il voto favorevole della Danimarca
fosse stato ottenuto da un ricatto dell’Irlanda. E tutti noi possiamo immaginare
quanto i Paesi anglosassoni, in particolare l’Irlanda che ospita sedi di numerose
multinazionali del settore, potessero essere favorevoli all’adozione di una
direttiva "filoamericana".

Commissioni non adeguate
Dopo delle revisioni di routine, nel giugno del 2004 sembrava si fosse arrivati
alla fine. Invece, la direttiva tornò al Parlamento europeo che doveva
decidere se rigettarla, accettarla o rimandarla indietro per modificarla. Nel
mentre, però, c’è stato il cambio di legislatura che ha
portato a una sostanziale riduzione delle nazioni consenzienti. Così,
sempre più aggrappata ai sottili fili della burocrazia, la direttiva
ha iniziato a essere riproposta nelle commissioni meno adeguate, ultima la Commissione
per l’agricoltura, a essere esaminata da persone non competenti e a essere
osteggiata, anche pesantemente, da diversi rappresentati delle nazioni europee.
Tra queste l’Italia che, anche se non ha mai preso una posizione nettamente
sfavorevole, per bocca del ministro Stanca, chiede un esame più attento
della direttiva e delle conseguenze che potrebbe comportare per l’economia
delle piccole e medie aziende europee.

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