Software house italiane pro free software

Esiste il reale rischio di posti di lavoro – dice Zucchetti – e la sopravvivenza stessa delle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni a favore delle multinazionali

Aprile 2005, Tra le voci più accreditate contro la potenziale
direttiva sulla brevettabilità del software abbiamo sentito la software
house lodigiana Zucchetti, che insieme ad altre aziende ha raccolto l’invito
della Free Software Foundation Europe a inviare un appello al ministro dell’Innovazione
italiano, Lucio Stanca, e attraverso di lui al Parlamento europeo. Ecco l’opinione
di Domenico Zucchetti (nella foto), presidente della società.

In che modo la normativa attuale tutela un produttore di software come
voi?

Finora in Europa il software è stato efficacemente protetto attraverso
il diritto d’autore che tutela l’opera e il suo autore, ma non impedisce a persone
e alla società di utilizzare le idee. Su questi criteri l’industria del
software ha potuto svilupparsi indipendentemente dalle dimensioni aziendali.
Invece i pochi produttori di software, e si tratta di vere e proprie lobby,
stanno introducendo il criterio della brevettabilità del software in
modo da veder riconosciuti diritti anche sulle idee, sui mezzi e sulle soluzioni
e questo ha contribuito, seppure parzialmente a far crescere le multinazionali
del software negli Stati Uniti, penalizzando i più piccoli.

Quindi questa è la motivazione che vi spinge a esprimervi contro
la brevettabilità del software?

A mio avviso la proposta al Parlamento europeo sulla brevettabilità del
software è un’idea malsana, perché se la direttiva venisse approvata
metterebbe a repentaglio i posti di lavoro dei dipendenti di molte software
house europee che non verrebbero adeguatamente utilizzate e valorizzate per
migliorare sia la produttività che la competitività del nostro
Paese e dell’Europa.

Il problema è dunque una questione di interesse, dove le grandi
aziende sono le favorite e le Pmi ne subiscono le conseguenze?

Direi di sì e aggiungo che anche sul piano operativo, la brevettabilità
è un intralcio. Qualsiasi programmatore che abbia un’idea che tradurrà
in software dovrebbe verificare se sia già stata brevettata, ma poniamo
il caso che il nostro programmatore faccia tutte le verifiche e non risultino
altre idee come la sua, già brevettate, al momento di presentare la domanda.

Eppure, prima che lui ottenga effettivamente il brevetto passano uno, due anni
e nel frattempo può accadere che qualcun altro, riesca a registrare il
brevetto prima di lui, mandando a monte mesi e mesi di lavoro.
Insomma, il tempo viene sprecato in inutili ricerche, anziché essere
impegnato in lavori produttivi. Senza dimenticare che per tutelarsi occorrono
ingenti somme che spesso le piccole aziende non possono permettersi. Questo
favorirebbe le multinazionali che hanno immensi capitali e possono registrare
brevetti in tutto il mondo. E infine, tutto ciò non elimina il rischio
di continue liti giudiziarie relative alla rivendicazione di diritti sulle idee.
Si consideri che negli Stati Uniti, dove il software è brevettato, le
cause miliardarie sono all’ordine del giorno.

Che riflesso può avere sul mercato nazionale una normativa che
introduce la brevettabilità del software?

Teniamo presente che stiamo parlando dello sviluppo del Paese e dell’innovazione
che tale questione si porta dietro. La brevettabilità creerebbe un oligopolio
e causerebbe un disastro economico superiore alla chiusura della Fiat! Il rischio,
infatti, è che molte aziende italiane ed europee spariscano.

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