La crisi c’è e si sente, ma esasperare i toni non è produttivo. Tutti d’accordo, allora, su cosa fare: portare l’Ict italiana a un livello successivo. Le opportunità non mancano, specie per chi non sta fermo ad aspettare che la crisi passi
24 ottobre 2002 Meno facce in giro (ma siamo
solo a giovedì), un target molto giovane, padiglioni e stand più sobri rispetto
al passato. Queste le prime evidenze all’ingresso della fiera dell’Ict più
importante d’Italia. Ma Antonio Emmanueli, presidente di Smau ridimensiona i
toni della crisi – che c’è e non si nega -, parlando di ‘ritocchi’ rispetto al
passato e di iniziative più ricche di stimoli, eventi e mostre nuove. Quasi a
dire: la quantità non conta quando c’è la qualità, anche se poi il numero degli
espositori non torna.
Sarà, ma al di là dei soliti interventi istituzionali,
quel che è davvero balzato agli occhi nel corso del convegno d’apertura di Smau
2002 è che è giunto il tempo di portare l’Ict di casa nostra a un livello
successivo. “Tenendo conto, però, che il vecchio modello di sviluppo basato
sul confronto non vale più“, ha sottolineato Elio Catania, presidente e
amministratore delegato di Ibm Italia.
“E che per incrementare la
produttività del nostro sistema Paese, e delle imprese che vi rientrano, occorre
adottare nuovi supporti fiscali – ha affermato Vittorio Colao,
amministratore delegato di Vodafone Omnitel -. Non è, infatti, vero che
siamo indietro rispetto al resto dell’Europa, ma bisogna cominciare a sviluppare
competenze a breve termine, soprattutto all’interno delle strutture scolastiche.
Al di là delle buone intenzioni, abbiamo ancora troppo pochi programmi e
tecnologie, troppo poco diritto commerciale internazionale e una scarsa
conoscenza delle lingue straniere“.
Una posizione condivisa da Umberto
Paolucci, presidente di Microsoft Italia, che ha sottolineato come il personal
computer non abbia ancora fatto “ciò che può e deve fare. Non
dimentichiamo – ha continuato Paolucci – che stiamo attraversando una
fase tecnologica nella quale tutto sembra possibile: abbiamo disponibilità di
banda, maggiore memoria e processori sempre più piccoli e potenti. Quello che
manca, forse, è una maggiore consapevolezza di ciò che potremmo fare non più in
maniera analogica, ma digitale“.
Tutto bello. Ma ancora una volta la
domanda è: come agire?
Le idee non mancano e tra le meno originali, ma pur
sempre valide, svettano la protezione della proprietà intellettuale e la
creazione di servizi innovativi che permettano alle tecnologie di giustificare
costi e diffusione capillare. In un’ottica di concorrenza, però, non tanto di
collaborazione.
E a ben guardare, sembra aver davvero ragione Ferruccio De
Bortoli, direttore del Corriere della Sera e moderatore nel convegno d’apertura,
quando afferma che, “forse, l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno in
questo momento è solo un po’ di fiducia“.