Sicurezza biometrica. Questa sconosciuta

Per le aziende è fondamentale ridurre i rischi ed essere conformi alle soluzioni di gestione fisica e logica delle identità e degli accessi. Si guadagna in sicurezza e si combattono le frodi. Ma va spiegato a utenti e cittadini

Tutela delle persone, protezione degli asset, identificazione degli individui. Fatta eccezione per la salvaguardia delle informazioni, tre dei quattro ambiti più conosciuti della sicurezza sono direttamente correlati con la biometria, la scienza che studia la misurazione delle variabili fisiologiche o comportamentali tipiche degli organismi, attraverso metodologie matematiche e statistiche. Le tecniche biometriche di identificazione sono, infatti, finalizzate a identificare un individuo sulla base delle sue peculiari caratteristiche fisiologiche o comportamentali, difficili da alterare o simulare. Non a caso, si parla di impronte digitali, geometria della mano e del volto, conformazione dell’iride e della retina, timbro e tonalità di voce.

Ma al di là di quanto è concesso immaginare, esistono davvero soluzioni tecnologiche in grado di catturare lo sguardo di un passante, inviare la sua iride a una banca dati centralizzata e ottenerne l’identificazione per motivi di sicurezza? La risposta non solo è affermativa, ma apre a scenari in continua evoluzione.

Ne abbiamo parlato con Alessandra Girardo, marketing director Continental Europe enterprise security di Unisys.

Da dove nasce il bisogno di ricorrere alla biometria?

«La biometria gioca un ruolo fondamentale al fine di ridurre i pericoli legati a frodi e sicurezza. Ma non solo. Connessa alla protezione degli asset, la biometria può essere abbinata a tecnologie come l’identificazione in radio frequenza per il trasporto di merci preziose o potenzialmente pericolose, mentre in realtà dove si operano transazioni di denaro, l’identificazione mediante il riconoscimento delle impronte digitali, della voce o il controllo degli accessi fisici funge da ulteriore salvaguardia».

Quali sono i contesti che più ricorrono all’uso di tecnologie biometriche?

«Tutti quelli in cui la sicurezza delle persone e delle cose è una priorità, ma anche dove l’attenzione è focalizzata sullo snellimento dei processi e sulla riduzione dei tempi di attesa. Basti pensare agli aeroporti, dove la rapidità di esecuzione deve sposare esigenze di sicurezza legate all’identificazione delle persone, allo screening dei bagagli, ma anche alla riduzione dei tempi di attesa dall’arrivo dei passeggeri nelle aree adibite a parcheggio, fino al decollo degli apparecchi».

Avete realizzato progetti specifici?

«Al momento, in numerosi aeroporti in Gran Bretagna, Germania e Olanda è attivo un progetto pilota per i cosiddetti frequent flyer, passeggeri registrati, che viaggiano spesso e hanno caratteristiche specifiche. Altre applicazioni sono presenti nell’aeroporto di Madrid, dove sono state implementate videocamere intelligenti contro gli attacchi terroristici, mentre le stesse soluzioni sono in uso in Austria, presso i palazzi di Giustizia per controllarne gli accessi. Elemento, quest’ultimo, che ha interessato anche un’importante azienda metalmeccanica dotata di una fabbrica molto estesa che, dopo aver subìto una serie di furti di materiali preziosi, ha scelto di implementare un sistema di telecamere intelligenti in grado di lanciare dei warning in caso vengano rilevati movimenti notturni non autorizzati. Presso il porto canadese di Halifax, inoltre, il riconoscimento e l’autorizzazione all’accesso dei singoli camionisti avviene tramite riconoscimento vascolare della mano. Attualmente, stiamo concorrendo per la sicurezza perimetrale all’interno di eventi sportivi come Londra 2012 e per un’importante casa di gioielli di lusso, interessata a proteggere i propri progetti, stiamo pensando di implementare una soluzione Rfid in grado di tracciare e identificare i fornitori. Il financial crime è un’altra delle aree in cui lavoriamo con le banche per la gestione delle frodi finanziarie».

Cosa fa propendere verso la scelta di un’applicazione piuttosto che un’altra?

«L’affidabilità e l’uso che si deve fare a seconda dei contesti in cui si opera. In alcuni ambiti, per esempio, il riconoscimento tramite geometria facciale tridimensionale è senz’altro ottimale, ma solo se è possibile registrare più volte nel tempo i medesimi dati, perché le fisionomie cambiano velocemente. Inoltre, occorre considerare anche il peso che questi stessi dati impiegano e che non sempre sono i pochi kilobyte richiesti, per esempio, nel caso del riconoscimento dell’iride. Infine, anche il contesto è fondamentale: in ambito forense, alcune applicazioni sono del tutto inutili, mentre le impronte digitali e l’analisi del Dna restano fondamentali per la scena del crimine».

Si tratta di tecnologie sicure?

«Lo sono sempre di più. Grazie alle continue evoluzioni a cui sono sottoposte, le tecnologie biometriche stanno raggiungendo livelli impensabili, mentre le loro applicazioni nella vita quotidiana sono sempre più diffuse. Alle linee aeree degli aeroporti di tutto il mondo, solo per fare un esempio, l’ultima innovazione proposta è quella del riconoscimento facciale tridimensionale dell’iride in movimento per permettere di snellire la velocità dei controlli dei passeggeri. Un elemento in più contro i limiti messi in luce da alcune biometrie di contatto. La geometria vascolare della mano e il riconoscimento dell’iride sono i due elementi biometrici in grado di offrire maggior sicurezza, mentre il rilevamento delle impronte digitali rischia di creare pericolosi doppioni».

Tuttavia si tratta di rilevare e mantenere informazioni sensibili che richiedono un elevato controllo. Qual è il grado di accettazione da parte degli individui?

«Non buono purtroppo. Pur rilevando la netta propensione da parte dei cittadini a tendere verso un senso di maggior sicurezza, l’atteggiamento nei confronti dei sistemi di videocamere intelligenti preposte a presidiare in maniera attiva, ossia lanciando un alert laddove si stia verificando un comportamento anomalo come un atto di violenza o anche semplicemente l’identificazione di un bagaglio abbandonato, è mal tollerato. Similmente, quando l’utilizzo dei sistemi biometrici avviene in ambito bancario, nella stragrande maggioranza dei casi, la concessione delle proprie credenziali avviene ancora in maniera difficoltosa».

Qual è il problema?

«La mancanza di una reale competenza su cosa sia la biometria, ma soprattutto la percezione che molto spesso i propri dati vengono raccolti senza che vi sia certezza rispetto al loro utilizzo che, per giunta, deve avvenire nel tempo strettamente previsto dalla legge. In realtà, infatti, è la gestione del data center il vero nocciolo del problema, perché di per sé non vi è impedimento nel rilevare un’impronta, quanto nell’archiviarla in maniera corretta e mantenerla al sicuro da eventuali perdite o, peggio ancora, furti».

Come si supera questa criticità?

«La verità è che in ambito biometrico non ci si sente ancora confidenti a concedere i propri dati, motivo per cui occorre lavorare con informazioni dettagliate, in grado di creare conoscenza. Si tratta di un lavoro continuo, che va portato avanti a quattro mani con organismi internazionali come la Comunità europea, di cui Unisys è consulente nella creazione di strategie e linee guida per espletare richieste di visti, asili politici e altro ancora. Va tuttavia sottolineato che dev’esserci una volontà congiunta da parte di tutti i player che lavorano in quest’ambito, Governi in primis».

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