Si… può… fare!

Non sono né rivoluzionari, né startup: i maker sono solo persone che usano le mani in maniera creativa. Saperi da coltivare più del latino. Con l’aiuto delle istituzioni.

Gli editoriali in generale esprimono commenti, magari estremi, magari personali. Anche in questo mio editoriale trovate tali elementi, ma sono nascosti in una certa quantità di informazioni utili e sintetiche. Nonostante Twitter, oggi si manca di sintesi, penso perché manchi sia la conoscenza, sia la capacità di riassumere.
Negli ultimi giorni s’è fatto un gran parlare, prevalentemente on-line, del fenomeno dei makers. Per chi non li conoscesse, l’uso attuale del termine parte da Dale Dougherty, direttore della rivista Make, ad indicare gli artigiani creativi. Non c’è uno specifico connotato digitale, elettronico, meccanico, nessuna richiesta di saperi moderni.
In un mondo nel quale internet è ben presente e arrivano altre tendenze, è facile tradurre il termine con “artigiani digitali”, anche perché in Italia ne esistono parecchi (cercate su Google, ci sono molti siti). Se volete saperne di più su scala mondiale potete leggere il bel saggio Futuro artigiano di Stefano Micelli, che affronta la situazione in maniera sistemica confrontando Italia e Stati Uniti.
Evocavo la sintesi.
Proprio per sintesi elenco -anziché dibattere- alcune cose che i makers non fanno:
-non fanno una rivoluzione tecnologica;
-non sostituiscono l’industria classica;
-non cercano finanziamenti.

Quisque artifex suae fortunae
Certo l’Italia ha una grande forza artigiana. In gran parte è andata a farsi benedire per le sbagliatissime scelte fatte nella progettazione del sistema di formazione. Personalmente credo sia ora di piantarla con la retorica del liceo a tutti i costi e dell’università che rende migliori a prescindere. I sistemi che funzionano hanno equilibrio tra le componenti e in Italia l’equilibrio non c’è: molte cose dovrebbero essere apprese per il piacere personale e molte altre cose dovrebbero essere insegnate a scuola. E mi si risparmi la fola dell’importanza del latino per capire il grande tutto, perché avrei alcune centinaia di milioni di cinesi appena appena in disaccordo.

Un buon passo indietro
Un certo numero di anni fa gli oggetti industriali si facevano per essere riparati e c’era una grande forza lavoro che riparava ad un buon prezzo. Poi arrivarono gli orientali che per primi scoprirono un modello alternativo di produzione, che richiedeva durata limitata nel tempo dei prodotti, anche grazie alla non riparabilità dei dispositivi.
Quel mondo è oggi in crisi, ma al momento non possiamo fare a meno dell’industria e delle sue storture. Indubbiamente c’è un certo riflusso e il consumismo ha fatto un passo indietro. Ma il piacere di essere maker è un’altra cosa.
Sempre per evocazione, propongo due straordinarie community di makers, fonte di straordinario divertimento intellettuale: Ikea hackers e Lego Mindstorm. Mi affido alla straordinaria popolarita di Ikea e Lego.
Certo a pensare alle possibilità di produzione di piccoli lotti (anche complessi) che offre Ali Baba c’è da impazzire!
Per chi non voglia rischiare il lume dell’intelletto, prezioso design 3D ancora non replicabile, ecco altri luoghi piacevoli sono i siti dove si fanno cose on-line:
• Stampa 3D, tra i tanti Sculpteo
• Taglio laser, Vectorealism
Robot Nation

Essere un maker non è da tutti, non ci si costruisce una società ma se ne ha bisogno, certamente di più di quelli che abbiamo. Favorire i maker è una buona cosa: come farlo? Esiste comunque una fascia alta che richiede formazione, macchinari, marketplace. Facciamoli, o meglio chiediamo al Governo, quale esso sia, di farli.
Non credo sia contro le regole nazionali, europee o altro. Siamo pronti al confronto.

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