È finito il tempo del pionierismo per i professionisti della net economy. Anche se continua a permanere il problema dello skill shortage in molti ambiti tecnico manageriali legati al Web, l’intensa e, aggiungeremmo, in molti casi drammatica esperienza …
È finito il tempo del pionierismo per i
professionisti della net economy. Anche se continua a permanere il problema
dello skill shortage in molti ambiti tecnico manageriali legati al Web,
l’intensa e, aggiungeremmo, in molti casi drammatica esperienza vissuta in
questi ultimi due anni dal mercato ha insegnato che non c’è più spazio
per le improvvisazioni e non ci sono più soldi per professionisti che si
sono venduti con competenze più teoriche che pratiche. Il boom, e poi il
crollo, del mito del lavoro presso le dotcom ha riportato sul mercato una
schiera di esperti del Web, che spesso non hanno trovato niente di meglio
che riciclarsi proprio presso le tanto criticate aziende della old economy.
Queste, però, che come approccio costituzionale hanno la sana abitudine di
affrontare con piedi di piombo le nuove iniziative, e ancor più quelle
legate a Internet, hanno avuto modo di valutare con “il senno di poi” le
competenze tecnologiche degli esperti Web. Nel frattempo, infatti, dopo una
prima fase di sbando, quando non era affatto chiaro quali fossero i ruoli
che corrispondevano ai titoli di Web master, Web developer o Web project
manager, il mercato era riuscito, unendo le forze, a chiarirsi le idee e a
definire le varie funzioni. Oggi, dunque, si osserva che solo chi ha una
solida preparazione in ambito net economy può pretendere stipendi più
elevati della media del popolo dell’Ict, mentre chi ha sviluppato una
formazione da autodidatta è destinato a trovare sempre meno sbocchi e in
contesti aziendali poco stimolanti. Pur con ritardo, da due anni si sono
mosse anche università e scuole di formazione, le une promuovendo corsi e
master in specializzazioni Web con una forte connotazione
tecnico-manageriale, le altre offrendo alle aziende corsi accelerati per
i dipendenti, i cui costi alla fine hanno notevolmente pesato sui bilanci.
Sulle mosse e sul supporto, in ambito education, degli enti governativi,
dobbiamo per ora stendere un velo pietoso. Una conferma ci viene dai dati di
una recente ricerca di Federcomin: oggi sono ancora le aziende a farsi
carico della maggior parte della formazione Ict. Infatti, su 270mila formati
dalle società a fine 2000, le istituzioni ne hanno generati solo 27mila, con
un rapporto di 10 a 1.
Al momento non ci rimane che guardare fiduciosi alle
future iniziative del ministro dell’Innovazione Tecnologica, Lucio Stanca,
che, avendo militato ai vertici di Ibm, sa quanto sia importante per il
successo delle aziende poter contare su personale qualificato. Dal ministro
Stanca si attendono mosse che supportino, in particolare, le iniziative
delle Pmi, oggi così sottotono negli investimenti in ambito e-commerce, alle
quali necessitano soprattutto figure con competenze non solo specialistiche
ma anche multidisciplinari, affinchè siano in grado di guidare il management
ad avviare una trasformazione che è vitale per tutto il Sistema Paese. Venti
di guerra permettendo.