L’escalation di Bt in Italia inizia nel febbraio del 2005, quando acquista il 100% di Albacom (realtà nata nel ’95 da un accordo tra Bt e Bnl, che in seguito vede entrare come azionisti anche Mediaset ed Eni). La filiale nazionale, che è la più importa …
L’escalation di Bt in Italia inizia nel febbraio del 2005, quando acquista il 100% di Albacom (realtà nata nel ’95 da un accordo tra Bt e Bnl, che in seguito vede entrare come azionisti anche Mediaset ed Eni). La filiale nazionale, che è la più importante dopo la casa madre anglosassone, è cresciuta grazie anche a una serie di acquisizioni locali, come Atlanet (del Gruppo Fiat) incorporata nel febbraio 2006 e i.Net a fine dicembre 2007, che le ha aperto l’area dei servizi Ict. Queste mosse hanno consentito a Bt Italia di chiudere a fine marzo l’esercizio 2008 con 1,019 miliardi di euro di entrate (+17%), il primo in attivo, con un Ebitda di 113 milioni e un Ebit di 4. Anche il cash flow è tornato positivo per 42 milioni da un -144 dell’anno scorso. Attualmente la società, che conta oltre 1.400 dipendenti, rappresenta il secondo operatore nazionale di Tlc, dopo Telecom Italia, per cui è inevitabile, nell’intervistare Corrado Sciolla, amministratore delegato di Bt Italia (prima lo era di Albacom) chiedere a che punto è la liberalizzazione del settore delle Tlc. «La situazione è ancora critica – afferma -. Telecom detiene quasi il 70% del mercato della rete fissa, ma se si guarda la quota in termini di accessi, cioè di collegamenti clienti, questa supera il 90%. Per cui, di fatto, in Italia c’è ancora il monopolio. Va, inoltre, sottolineato che ogni volta che si prende una linea da Telecom Italia e la si migra a un altro operatore, emerge una serie di problemi di linea, di banda non sufficiente e via dicendo, che mediamente supera il 30%. È come se si avesse una rete di vendita che per un terzo lavora per qualche cosa che non serve e che non si può controllare. Questo livello di servizio è assolutamente inaccettabile e questa situazione per noi è un handicap enorme».
So che come operatori del settore avete spesso degli incontri in merito con le istituzioni pubbliche per risolvere la situazione. A che punto siete?
«Telecom Italia sembra abbia preso alcuni impegni con l’Autority delle Tlc, ma devo dire che in realtà non si vede ancora nulla. È prevista una convocazione prima della fine dell’anno per partecipare a delle audizioni in cui ci verranno proposte delle manovre per cercare di ridurre questa situazione inaccettabile, ma, ripeto, a oggi non si vede ancora nulla e non c’è alcuna chiarezza. In altri paesi europei il problema del monoplolio è già stato risolto da tempo».
Analizzando il mix del vostro fatturato, quanto è fatto con servizi tradizionali e quanto con servizi innovativi?
«Per quanto ci riguarda, circa l’80% è fatto con i servizi di Tlc, cioè servizi voce, reti-dati, compreso VoIp e connettività, mentre nei servizi innovativi rientra tutta l’offerta di i.Net, cioè servizi di sicurezza, business continuity, disaster recovery, gestione remotizzata delle applicazioni, virtualizzazione di contact center, ma anche servizi di Crm più tutta la parte di mobilità e applicazioni verticali sul mobile. In merito, abbiamo un accordo con Vodafone, di cui siamo operatori mobili virtuali, e quindi utilizziamo la sua tecnologia Umts».
Con l’acquisizione di i.Net, oltre a entrare nel mondo Ict, avrete anche la possibilità di scambiarvi i clienti e arricchire notevolmente i rispettivi servizi.
«In effetti è così e già oggi abbiamo uno scambio importante di clienti da una parte all’altra, ma oltre a questo, sempre più abbiamo offerte integrate delle due componenti. Infatti, chi vuole remotizzare delle applicazione nel data center di i.Net, poi ha bisogno di una banda e di un collegamento efficiente e sicuro, per cui per la gestione della rete, il cliente oggi si ritrova un fornitore unico che gli gestisce il servizio completo sulla remotizzazione di tutta l’infrastruttura».
Come valuta la situazione della sua rete in Italia. La ritiene sufficiente?
«Dal momento che abbiamo 10.000 Km di trasporto, 4.000 di fibra all’interno delle città e in più copriamo circa 300 siti in unbundling, se la rete di Telecom Italia funzionasse bene ci riterremmo soddisfatti, nel senso che colleghiamo le sedi più importanti dei clienti con la nostra fibra, nel resto abbiamo una rete di trasporto adeguata, mentre alcune filali minori dei nostri clienti le possiamo collegare indirettamente con Telecom. Il problema è proprio qui, in quanto con il livello di servizio attuale che l’operatore nazionale offre, tutto questo spesso diventa un problema. Per quanto ci riguarda, tuttavia, riteniamo di avere una struttura di rete poderosa».
Di tutte le voci di servizi che avete, quale vi rende di più in termini di fatturato?
«Sicuramente i servizi voce e reti dati hanno ancora una sostanza maggiore. Tuttavia va detto che i nuovi servizi di Ict che vendiamo, quelli legati a i.Net, pur essendo minori in termini di volumi, hanno però una marginalità superiore ed è per questo motivo che siamo entrati in questo settore».
Infatti il mercato delle Tlc evidenzia un continuo calo delle tariffe. Qual è la sua previsione per l’esercizio in corso, che chiude a marzo 2009?
«Il settore, in effetti, non cresce e noi prevediamo di chiudere in linea con il 2008. Oggi si offre banda più larga a prezzi sempre più bassi e io spero sinceramente che non scendano ancora. Dove vedo spazi di ulteriore decrescita è nel mobile, che ha ancora prezzi alti e sia l’autorità europea che quella italiana si sono espresse in maniera pesante a favore di un’ulteriore riduzione. Noi, peraltro, ci rivolgiamo a clienti che ritengono importante il valore di avere un determinato livello di servizio per la propria rete. Infatti, per esempio, gestiamo la piattaforma di contact center di alcuni operatori logistici, che chiaramente perdono business se la loro rete non funziona. Per cui vogliamo servire aziende che puntano sul valore e non cercano a ogni costo di azzerare i prezzi, anche perché solo chi punta sull’innovazione può riuscire a competere».
Come va il vostro business nella Pa?
«Abbiamo vinto il secondo lotto della gara Cnipa, che collegava con la banda larga le amministrazioni pubbliche centrali, per cui seguiamo il ministero della Giustizia, quello della Politiche Agricole e della Difesa. Inoltre, sviluppiamo servizi con alcune amministrazioni locali, per esempio gestiamo la rete di fonia del Comune di Milano, gestiamo una rete Mpls più altri servizi per la provincia di Bergamo, siamo anche presenti nella provincia di Como e abbiamo alcune attività in altre aree del Sud Italia, come la Campania».
Avete un’offerta anche per le Pmi?
«Sì, ci proponiamo a realtà da tre linee in su, alle quali offriamo di non pagare più il canone dell’affitto dell’ultimo miglio a Telecom Italia, in quanto con un bundle di servizio il cliente riceve l’Adsl e la voce su Ip».
Riguardo a nuove aree di comunicazione, avete una partnership strategica con Cisco relativa alla soluzione di videoconferencing Telepresence, molto sofisticata ma anche molto costosa. Sono poche le società che se la possono permettere.
«In realtà dipende dal numero di viaggi che un’azienda può eliminare usando la videoconferenza. Per esempio, con un cliente come Fiat, che ha una grande presenza in Brasile, abbiamo calcolato che se elimina un viaggio e mezzo a settimana già rientra nell’investimento in un anno. Poi noi siamo flessibili e proponiamo accordi diversi: se un cliente vuole comperare la soluzione può farlo e noi gli vendiamo la banda, oppure se preferisce possiamo affittargliela ogni volta che l’utilizza».
Come vede il problema, spesso denunciato, della carenza di banda larga in Italia?
«Credo che si debba distinguere tra aziende e utenti residenziali. Le aziende, medie e grandi, a oggi non soffrono di carenza di banda, anzi, molti nostri clienti hanno più banda di quella che serve loro, però in attesa di sviluppi di applicazioni future, hanno preferito avere reti in eccesso. Invece, se guardiamo alla clientela residenziale, secondo me c’è un problema di cultura e uno di infrastruttura. Il primo è che l’informatizzazione a livello italiano è sicuramente più bassa rispetto agli altri paesi europei, e in questo contesto non aiuta il fatto di avere una Pa poco infrastrutturata, che non stimola i cittadini a usare di più Internet. Ma va anche riconosciuto che l’attuale situazione della banda larga oggi lascia escluso almeno un 25% della popolazione nazionale e questo è un altro handicap».





