Seconda giovinezza per il SaaS

Cresce l’interesse, da parte di utenti, vendor e It architect, attorno al Software as a Service, visto come modello di delivery alternativo

Da qualche tempo il Software as a Service, come modello di delivery alternativo alle tradizionali implementazioni applicative on premise, sta vivendo una seconda giovinezza e non solo per l’interesse crescente dimostrato dagli utenti. In seno agli stessi software designer sta, infatti, crescendo un dibattito di natura architetturale che obbliga i maggiori vendor a prendere posizione.


Sul fronte dell’utenza, il modello SaaS sta riscuotendo sempre più consensi. A confermarlo sono i dati di mercato snocciolati dalle società di analisi: Yankee Group stima che attualmente le aziende ricorrano per il 10% al pay-per-use, ma preconizza che in 5 anni il suo utilizzo incrementerà notevolmente in considerazione del fatto che già oggi in alcune aree, come lo Human capital management, l’implementazione delle nuove soluzioni si orienta per il 65% a questo modello. Inoltre, secondo uno studio pubblicato da Saugatuck Technology, negli Usa in un anno i Cio inclini a introdurre in azienda il Software as a Service come modello di delivery sono più che raddoppiati. Particolarmente sorprendente è l’incremento nella percentuale delle aziende che pianificano di usarlo in ambito mission-critical (dal 18 al 49%), mentre il dato addirittura quadruplica all’interno delle grandi imprese con fatturato superiore al miliardo di dollari. Tipicamente, chi si dichiara favorevole all’uso del SaaS, afferma di non ricorrere a questo modello di delivery per sostituire software già implementato, ma per completarlo con nuovi applicativi.


Tutto questo fervore attorno al SaaS sta spingendo i vendor, anche i più tradizionali, a prendere in seria considerazione nuovi modelli di delivery. «È importante individuare nuove modalità di diffusione della tecnologia – ha affermato Luca Marinelli, direttore Piccole Medie Imprese e Partner di Microsoft Italia -. La Pmi italiana, per esempio, ha bisogno di soluzioni flessibili, in linea con le possibilità economiche. Riteniamo che la formula del Software as a Service possa fornire una valida risposta a questa esigenza. Infatti, abbiamo collaborato con Almaviva e UniCredit Banca d’Impresa per la realizzazione di ImpresaDinamica, un’offerta che prevede l’erogazione in modalità Asp di servizi applicativi di Enterprise resource planning, basati su soluzione Microsoft Dynamics Ax. La modalità di erogazione del servizio si fonda su una logica pay-per-use ed è quindi vantaggiosa per l’azienda, che lo noleggia al costo di un canone mensile fisso». Anche Sap ha fatto sapere di aver rotto gli schemi tradizionali, sviluppando una soluzione da offrire in modalità SaaS. Indirizzata alle aziende fra i 100 e i 1.000 dipendenti, l’A1S è una suite di applicazioni di business standardizzata, aspetto che, se da un lato limita la personalizzazione, dall’altro garantisce costi contenuti attraverso un canone mensile. Attenta dal 1999 al tema del pay-per-use è, invece, Oracle, che, con l’offerta On Demand rafforzata in seguito all’acquisizione di Siebel, offre da tempo servizi SaaS tramite la sottoscrizione o la gestione di applicazioni. «Con la prima di queste due forme di delivery – ha affermato Steve Fearon, Crm solutions sales leader di Oracle Emea – il cliente non possiede il software, ma può configurarlo secondo le proprie esigenze. Con la semplice gestione delle applicazioni, l’azienda utente è, invece, in possesso della licenza e Oracle fornisce gestione, manutenzione e supporto per un fee mensile. Inoltre, possiamo ospitare l’applicativo presso il nostro data center, presso il sito di un partner, o lasciare che il cliente lo ospiti nella sua sede, fornendo servizi di gestione sul posto o da remoto».


La discussione sugli ibridi


Sul fronte architetturale, il tema del momento è rappresentato dallo sviluppo di applicazioni ibride. Per definizione, il SaaS non ha mai richiesto alcuna infrastruttura da parte dell’utente, che per accedere alle applicazioni deve disporre solo di un pc con interfaccia Web. Ultimamente, la virata delle applicazioni mission critical verso questo modello di delivery sta, però, imponendo una seria riflessione in merito a possibili applet da installare in locale.


«Quando si parla di servizio al cliente – ha commentato Greg Gianforte, Ceo di RightNow (società focalizzata nel Crm con un’offerta SaaS) – un tempo di risposta ridotto di qualche secondo attraverso l’installazione di codice in locale può valere milioni di dollari». Si tratta di un sottile, ma importante cambiamento nel modello di delivery, che non tutti i vendor sono disposti a sottoscrivere. Salesforce.com (attiva anch’essa nel mercato del Crm con un’offerta SaaS) non è per esempio della stessa idea. «Dal 1999 – ha puntualizzato Margherita Dellea, direttore generale della filiale italiana – proponiamo esclusivamente un approccio di tipo SaaS con un’interfaccia Web, che non richiede alcuna infrastruttura da parte del cliente, se non un pc e una linea Internet». Tuttavia, per far funzionare le applicazioni non solo in modalità online, ma anche off-line, gli utenti di Salesforce.com sono obbligati a scaricare una piccola applet.


La discussione è tutt’altro che accademica. Se è vero, infatti, che scaricando codice in locale il sistema ne potrebbe giovare in potenza, dall’altra andrebbe a decadere uno dei maggiori vantaggi del SaaS, ossia la piena delega degli upgrade e della sicurezza alle società di hosting. La posizione di Ibm trova collocamento in una logica di massima flessibilità. Se da una parte, infatti, Big Blue si propone come partner strategico degli Isv, dall’altra garantisce un’offerta capace di abbracciare tutte le declianzioni architetturali possibili. «Siamo presenti – ha sottolineato Giuseppe Delfino, senior It architect di Ibm Italia – dalle applicazioni pure Web fino ai rich client con molta logica in locale, ma gestiti centralmente. In base alle necessità funzionali, siamo, quindi in grado di mettere l’utente in condizione di scegliere tra un modello puro o uno più ibrido».


Questione di Roi


Per classiche implementazioni on premise, le voci di costo da tenere in considerazione sono tante. Innanzitutto, quella delle licenze, della sicurezza, del middleware e dei Web server. Poi, le spese in server, storage e reti; quelle in formazione dei sistemi informativi e degli utenti, quella della consulenza implementativa e delle customizzazioni. Infine, vanno conteggiati i costi annuali di mantenimento associati alle licenze. Con queste voci di spesa, il Roi si colloca mediamente attorno ai 5 anni. Nella maggior parte dei casi, il ritorno sull’utilizzo del SaaS è, invece, tra i 6 e i 12 mesi. Questo modello di delivery elimina, infatti, il costo della customizzazione, garantendo una più veloce operatività e una buona configurabilità, cancellando i fee di mantenimento relativi agli upgrade. Infine, minimizza gli interventi del dipartimento It.

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