Sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro

Cosa prevede il codice e quali sono diritti, doveri e ottemperanze per datori di lavoro e lavoratori.

In relazione all’inosservanza da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza, di osservanza e di fedeltà, al datore di lavoro è attribuito dall’ordinamento il potere di irrogare sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e nel rispetto delle previsioni contenute nei contratti collettivi di lavoro (art. 2106 cod. civ.).
Il datore di lavoro che intende esercitare tale potere, in presenza di un comportamento del lavoratore censurabile sotto il profilo disciplinare, deve rispettare il procedimento contemplato dall’art. 7, L. n. 300/1970, diretto a garantire la difesa dell’interessato e la congruità della sanzione.

Codice disciplinare
Le norme relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata e alle procedure di contestazione delle stesse devono essere previamente raccolte in un codice disciplinare e devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti (v. Cass. 10.1.2007, n. 247, sulle condizioni di assolvimento dell’onere per imprese articolate in più unità produttive od operanti presso terzi).
Le norme disciplinari devono rispettare quanto è stabilito in materia dai contratti collettivi ove esistenti e applicabili; altrimenti sono predisposte unilateralmente dal datore di lavoro. Le sanzioni normalmente previste sono, in ordine di gravità crescente:
– rimprovero verbale;
– rimprovero scritto;
– multa, per un importo non superiore a 4 quote orarie della retribuzione base;
– sospensione dal servizio e dalla retribuzione, per un periodo non superiore a 10 giorni;
– licenziamento.
La legge, fermo restando il licenziamento disciplinare ove consentito, vieta sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro (art. 7, c. 4, L. n. 300/1970; art. 4, c. 1, L. n. 146/1990). Non possono quindi essere assunti con carattere punitivo provvedimenti di modifica di mansioni o di trasferimento (anche se la giurisprudenza ammette il licenziamento per c.d. incompatibilità ambientale del collega “indisciplinato”: Cass. 6.8.2003, n. 11882).

Individuazione preventiva delle infrazioni
Non è necessario che il codice contenga una precisa e sistematica previsione delle singole infrazioni, delle loro varie graduazioni e delle corrispondenti sanzioni essendo sufficiente una proporzionata correlazione tra le singole ipotesi di infrazione, sia pure di carattere schematico e non dettagliato, e le corrispondenti previsioni sanzionatorie, anche se suscettibili di attuazione discrezionale ed adattamento secondo le concrete ed effettive inadempienze del lavoratore, nel rispetto del principio per cui le sanzioni disciplinari devono avere un grado di specificità sufficiente ad escludere che la collocazione della condotta del lavoratore nella fattispecie disciplinare sia interamente devoluta ad una valutazione unilaterale ed ampiamente discrezionale del datore di lavoro (Cass. 9.8.1996, n. 7370; vedi anche Cass. 27.5.2004, n. 10201 e Cass. 10.11.2004, n. 21378).
Dal suddetto principio consegue che, ad esempio, in assenza di una norma contrattuale che sanzioni l’ipotesi in cui il lavoratore in malattia non venga reperito presso il proprio domicilio, tale comportamento non può essere sanzionato disciplinarmente a nulla rilevando il fatto che una norma dello stesso contratto collettivo attribuisca al datore di lavoro la facoltà di eseguire controlli quando il lavoratore è assente per infermità.
È sanzionabile in sede disciplinare anche il comportamento extralavorativo quando la natura della prestazione del lavoratore richieda un ampio margine di fiducia, esteso ai comportamenti privati (Cass. 12.9.2000, n. 11986).

Contestazione dell’addebito
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore (ad eccezione del rimprovero verbale) senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
La contestazione deve soddisfare i requisiti della specificità (vedi Cass. 17.5.2005, n. 10292), dell’immediatezza (Cass. 4.4.2007, n. 8461) e dell’immutabilità dei fatti contestati e deve essere portata a conoscenza del lavoratore con le modalità stabilite dalla legge.
La giurisprudenza ha sottolineato che per potersi procedere alla contestazione disciplinare non è necessaria la certezza del fatto addebitato, ma è sufficiente una realtà che consenta di ritenere ragionevolmente sussistenti i fatti da addebitare (la certezza diventa necessaria per l’irrogazione della sanzione). Questa ragionevolezza, tuttavia, non solo giustifica la contestazione (conferendo all’atto datoriale la veste della serietà ed escludendo un comportamento arbitrario e – al limite – potenzialmente offensivo), bensì (per il principio di buona fede, quale regola del comportamento datoriale anche nel corso del procedimento in esame) la rende necessaria (Cass. 20.6.2006, n. 14115). Ed il suo insorgere delinea (con ovvia approssimazione) il “dies a quo” per la valutazione della tempestività (Cass. 18.1.2007, n. 1101).
Oggetto della contestazione è il fatto nei suoi elementi materiali (Cass. 22.4.2008, n. 10344) e non anche le specifiche norme legali o clausole contrattuali violate: l’erronea indicazione di esse da parte del datore di lavoro non comporta né l’invalidità della contestazione né una limitazione dell’indagine del giudice all’accertamento se il fatto violi o meno le norme indicate (Cass. 13.5.1997, n. 4175).
La contestazione, essenziale elemento di garanzia per il lavoratore (Cass. 23.8. 2006, n. 18377), non richiede particolari formalità, ma solo l’esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale sanzionabile per via disciplinare: è valida quindi la contestazione di addebito contenuta in una missiva qualificata come “comunicazione” ma nella quale siano esposti i fatti addebitati al lavoratore (Cass. 7.1.1998, n. 67) come è valida la contestazione che faccia riferimento, per una più precisa descrizione dei fatti, ad una precedente comunicazione inviata al lavoratore (Cass. 16.9.1999, n. 10019; sul divieto di contestazioni “in progress” o “allusive”, vedi Cass. 30.6.2005, n. 13998).
La preventiva contestazione al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità, anche la recidiva, o comunque i precedenti disciplinari che la integrano, ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata (Cass. 23.12.2002, n. 18294).
L’immediatezza della contestazione dell’addebito ha carattere relativo (Cass. 11.1.2006, n. 241) in quanto deve essere valutata tenuto conto anche della peculiarità della fattispecie e, in particolare, della possibilità del datore di lavoro di venire a conoscenza della illegittimità della condotta del lavoratore e di reagire alla condotta medesima (Cass. 16.5.2000, n. 6348), nonché della complessità dell’azione di accertamento (Cass. 13.4.2007, n. 8906) e dell’organizzazione aziendale (Cass. 10.1.2008,n. 282). Si ammette inoltre che il datore di lavoro possa adottare, in relazione alla gravità delle conseguenze della sanzione sia per l’incolpato sia per lo stesso datore di lavoro in caso di una valutazione errata, un comportamento prudenziale che comprenda l’attesa delle valutazioni dell’autorità giudiziaria penale sia in ordine ai dati oggettivi sia in ordine agli aspetti soggettivi della condotta del lavoratore (Cass. 4.4.2007, n. 8461).
L’immutabilità della contestazione riguarda i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio e non la loro qualificazione giuridica (Cass. 23.3.2006, n. 6454). Il principio preclude al datore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazioni disciplinari, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare elaborato dalla contrattazione collettiva (Cass. 28.8.2000, n. 11265).
Inoltre, il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del lavoratore in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni, non può esercitarlo una seconda volta per quegli stessi fatti; tale principio peraltro non opera nel caso in cui il nuovo esercizio del potere disciplinare riguardi fatti che, sebbene della stessa indole di quelli che hanno formato oggetto del procedimento pregresso, siano tuttavia diversi per le particolari circostanze di tempo e di luogo che li distinguono e, come tali, siano stati contestati nella loro specifica individualità (Cass. 2.4.1996 n. 3039). In effetti la brevità dell’intervallo temporale tra due infrazioni disciplinari della medesima natura, commesse con azioni distinte, aventi autonoma individualità, non è sufficiente ad attribuire carattere unitario alle due condotte (Cass. 23.11.1989, n. 5035). Sulla possibilità di considerare come circostanze confermative della gravità della mancanza contestata anche fatti risalenti nel tempo, vedi Cass. 17.5.2003, n. 7734.

Diritto al contraddittorio
La contestazione dell’addebito deve essere fatta per iscritto (vedi Cass. 14.12.2002, n. 17932: anche qualora, ai fini della recidiva, la sanzione disciplinare del rimprovero verbale venga fatta per iscritto, la comminazione della stessa deve essere preceduta dalla contestazione dell’addebito). Non essendo indicate dalla legge specifiche modalità di consegna dell’atto al lavoratore è ammessa ogni forma di comunicazione: invio di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o consegna a mano effettuata da persona incaricata dal datore di lavoro (Cass. 1°.6.1988, n. 3716).
Se il contratto di categoria stabilisce un termine per effettuare la contestazione, il computo deve essere effettuato in relazione al momento in cui l’atto perviene al lavoratore e non al momento in cui la contestazione viene formalizzata (Cass. 18.3.2004, n. 5527).
Entro 5 giorni dalla ricezione della contestazione il lavoratore può presentare a sua difesa giustificazioni scritte e/o chiedere di essere sentito oralmente. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato; è invece esclusa la possibilità di assistenza da parte di un legale (Cass. 17.3.2008, n. 7153).
La Cassazione ha recentemente ribadito che il datore di lavoro ha il dovere di sentire il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare solo se questi ne faccia richiesta nel termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, non incombendo sullo stesso un autonomo dovere di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla manifestazione tempestiva della volontà del lavoratore di essere sentito di persona. In caso di controversia il lavoratore ha l’onere di provare la tempestività della sua richiesta (Cass. 13.9.2006, n. 19553); sull’irrilevanza dell’eventuale omessa valutazione delle difese del lavoratore da parte del datore di lavoro: Cass. 8.5.2008, n. 11361.
Al termine di 5 giorni viene applicata la regola generale secondo cui devono ricomprendersi nel numero di giorni assegnato dalla legge anche le giornate festive intermedie, nelle quali la decorrenza del termine suddetto non può considerarsi né sospesa né interrotta (Cass. 13.11.2000, n. 14680). Entro il termine indicato le controdeduzioni del lavoratore devono pervenire al datore di lavoro; conseguentemente il termine non può ritenersi rispettato quando, pur avendo il lavoratore predisposto le proprie difese prima del suo decorso, la ricezione dell’atto da parte del datore di lavoro avvenga in data successiva (Cass. 19.11.1996, n. 10106).
La giurisprudenza recente, tuttavia, ritiene che il datore di lavoro, pur dopo la scadenza del termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, debba dare seguito alla richiesta del lavoratore di un supplemento di difesa, anche se la stessa si sia già svolta con l’audizione personale o con la presentazione di giustificazioni scritte, solo ove la stessa risponda ad esigenze di difesa non altrimenti tutelabili, in quanto non sia stata possibile la piena realizzazione della garanzia apprestata dalla legge (Cass., 13.1.2005, n. 488).
Per l’affermazione del diritto del lavoratore al rinvio dell’audizione in sede disciplinare per impedimento derivante da malattia, vedi Cass. 22.9.2006, n. 20601.

Irrogazione della sanzione
Termine finale del procedimento
Trascorso il termine di 5 giorni il datore di lavoro può comunicare formalmente al dipendente la sanzione disciplinare comminata a seguito della contestazione.
Al fine del rispetto del termine non rileva il momento in cui si è formato nel datore di lavoro il proposito di irrogare la sanzione al dipendente ma quello dell’esternazione del relativo atto: ne consegue che nelle imprese aventi natura societaria non determina l’invalidità della procedura la circostanza che la deliberazione del consiglio di amministrazione sia intervenuta prima del decorso del termine, se l’organo competente per l’adozione dell’atto con rilevanza esterna abbia provveduto dopo il decorso del medesimo (Cass. 18.6.2002, n. 8853).
La legge non stabilisce un termine massimo entro il quale il procedimento disciplinare deve concludersi; tale termine può essere previsto in sede di contrattazione collettiva, come negli esempi che seguono:
– se il provvedimento disciplinare non viene comminato entro i 6 giorni successivi alla presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore, queste si ritengono accolte (art. 23, Disc. Gen., c.c.n.l. per le aziende metalmeccaniche);
– l’adozione del provvedimento disciplinare deve essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni. Per esigenze interne aziendali il termine di cui sopra può essere prorogato di ulteriori 30 giorni, purché l’azienda ne dia preventiva comunicazione scritta al lavoratore interessato (art. 153, c.c.n.l. per le aziende del terziario).
È illegittima la sanzione disciplinare emessa dopo la scadenza del termine stabilito dal contratto collettivo disciplinante il rapporto di lavoro (Cass. 18.3.2008, n. 7295).

Irrogazione prima della scadenza del termine
Il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza dei 5 giorni, quando il lavoratore ha esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive (Cass. S.U. 7.5.2003, n. 6900).

Criteri di graduazione della sanzione
La sanzione disciplinare deve essere proporzionata all’addebito tenendo a tal fine conto sia delle circostanze oggettive che delle modalità soggettive della condotta del lavoratore (Cass. 13.4.2006, n. 8679): tale valutazione è comunque necessaria anche quando il comportamento sia previsto nella normativa collettiva come fattispecie tipica da sanzionare (Cass. 25.11.1996, n. 10441).
Quando vengono contestati al lavoratore episodi plurimi, occorre valutare la gravità del comportamento nel suo complesso e non esaminare ad uno ad uno tali episodi (Cass. 5.4.2004, n. 6668).
La valutazione del datore di lavoro circa la proporzionalità tra il comportamento del lavoratore e la sanzione irrogata è sempre soggetta al controllo del giudice (Cass. 27.9.2007, n. 20221). Come in materia di trattamento economico-normativo, così in materia disciplinare non sussiste nel nostro ordinamento un principio di parità di trattamento, anche per la pratica impossibilità di comparare sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo, comportamenti di rilevanza disciplinare tenuti da diversi dipendenti in circostanze e tempi differenziati (Cass. 22.2.1995, n. 2018).
La graduazione della sanzione in relazione alla gravità del fatto illecito disciplinare è espressione di discrezionalità, affidata dall’art. 2106 cod. civ. al datore di lavoro; a tal fine il giudice, adìto dal prestatore di lavoro che lamenti l’eccessiva gravità della sanzione, non può sindacare nel merito i criteri di scelta adottati dal datore-imprenditore, ma deve limitarsi alla sufficienza della motivazione e all’osservanza delle norme legali e contrattuali (Cass. 16.8.2004, n. 15932; tuttavia, qualora il datore di lavoro ne faccia richiesta in via subordinata, il giudice può applicare una sanzione disciplinare meno grave: Cass. 13.4.2007, n. 8910).

Recidiva
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione (Cass. 19.12.2006, n. 27104). Il termine decorre dal momento in cui la sanzione viene formalmente comunicata al dipendente e non a quello successivo dell’effettiva esecuzione della misura sanzionatoria (Cass. 21.5.2008, n. 12958).

Impugnazione del provvedimento
Avverso il provvedimento disciplinare il lavoratore ha la possibilità:
– di promuovere, entro i 20 giorni successivi all’applicazione della sanzione, anche per mezzo dell’associazione sindacale di appartenenza, la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato presso la Direzione provinciale del lavoro; in questo caso la sanzione resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio (vedi Cass. 23.8.2004, n. 16614);
– di adire l’autorità giudiziaria in via ordinaria.
In alternativa il dipendente può ricorrere alle procedure conciliative ed arbitrali previste nei contratti collettivi.
A sua volta il datore di lavoro:
– se il lavoratore ha fatto ricorso al collegio di conciliazione ed arbitrato, deve nominare il proprio rappresentante in seno al collegio stesso entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dalla Direzione del lavoro; in caso di mancata nomina la sanzione disciplinare irrogata non ha effetto;
– può rivolgersi all’autorità giudiziaria per l’accertamento della sanzione irrogata, nel qual caso la sanzione resta sospesa fino alla definizione del giudizio.

 


(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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