Saltafoss

Sponsor e tecnologia, secondo l’italico costume.

Quando eravamo piccoli (primi anni 70: chi era piccolo quando noi lo
eravamo capirà, gli altri si fidino) andava di moda la bicicletta da cross.

Ce n’erano di due tipi, per gli altrettanti ceti di allora: quello popolare
e quello medio borghese.
La Roma Sport era la due ruote dei figli del primo
ceto.
La Saltafoss era per i più abbienti.
Differenziava i due modelli,
che nel loro piccolo erano un modo di affermare lo status, ma senza esagerare,
la predenza di due bei ammortizzatori sull’esemplare destinato ai più ricchi,
che consentiva azioni di cross vere e proprie senza far patire i lombi. Erano,
inconsapevolmente, un simbolo, l’emblema dell’italianità. Sport nazionale, a
queste latitudini, non è il calcio, ma il salto della quaglia, o del fosso che
dir si voglia.
Emblema dell’italianità che vince e si afferma è Valentino
Rossi da Tavullia, Pesaro, che dalla tristanzuola provincia, ma pur sempre
incline a godersela fra lazzi, cibarie e libagioni, si emancipa, arriva sulle
piste di tutto il mondo e spiega come si fa a far soldi.
Si passa dalla
Honda alla Yamaha, si lascia intendere che si potrebbe passare dalle 2 alle 4
ruote, ci si dichiara antifumo ma si porta alla propria scuderia il più grande
sponsor del tabacco del circuito (quello giallo) strappandolo alla concorrenza,
si fa da testimonial per l’ex-monopolista delle Tlc.
Ma fino al 31/12.

Poi, passata l’onda allegrotta del film di Natale, si migra armi e bagagli
in casa del provider emergente.
Anche la banda larga, insomma, è un fenomeno
italiano ne più e ne meno come tanti altri.
Poi uno dice che il Paese si
trasforma…

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